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Saverio Saltarelli

12 dicembre 1970

Ucciso da un lacrimogeno che gli spaccò il cuore

La testimonianza di ciò  che scrissero di lui i suoi compagni dei gruppi studenteschi internazionalsiti /Rivoluzione comunista

12 dicembre 1969 - 12 dicembre 1970: due date da non dimenticare
(vedi anche
Brindisi, dicembre 1970, le agitazioni studentesche gli assalti fascisti e la notizia della morte di Saverio Saltarelli )

IL VOLANTINO DELL'AGITATORE COMUNISTA DEL 12 DICEMBRE 1970 (originale in pdf)
Saverio Saltarelli nacque il 25 maggio 1947 a Pescasseroli (L'Aquila) da una famiglia di pastori. Trasferitosi a Milano, frequentò il liceo e poi l'università, alternando studio e lavoro. Al paese aveva organizzato delle lotte contro la devastazione del Parco Nazionale degli Abruzzi ad opera della speculazione edilizia e per alleviare la grave condizione dei lavoratori stagionali e degli edili. Nell'estate del 1969, mentre lavorava come falegname in un cantiere di Pescasseroli, organizzò un gruppo di studenti-lavoratori per denunciare il supersfruttamento degli stagionali costretti a lavorare fino a 14 ore al giorno e senza contributi. Appena articolò la prima protesta venne licenziato. Ma egli non smise di lottare e denunciò con un volantino la politica del sindaco che favoriva la speculazione edilizia ed il saccheggio del Parco

Alla fine di novembre Saverio si avvicina al Partito comunista internazionalista (Rivoluzione Comunista), cominciando ad appoggiare i compagni che operano nell'ambiente studentesco mediante il Comitato di Agitazione Rivoluzionaria (Csar). Il 23 dicembre egli è in piazza col partito per manifestare contro il terrorismo borghese. Il 21 gennaio col gruppo di autodifesa reagisce alle cariche della polizia che blocca il corteo alla partenza e, impegnandola con azioni diversive, permette che il corteo si effettui muovendosi in un'altra direzione. In questa come in altre occasioni egli rivela una notevole capacità di azione nonché i tratti più caratteristici della sua personalità: la fermezza e l'abnegazione. 

È stato ucciso dalla polizia a 23 anni, nel tardo pomeriggio del 12 dicembre 1970 nei pressi della Statale di Milano, durante la manifestazione indetta dagli anarchici per la liberazione di Valpreda-Borghese-Gargamelli appoggiata da Rivoluzione Comunista, con una bomba lacrimogena sparata da pochi metri di distanza che gli ha spaccato il cuore. 

                                                     * * * 

(Dall’Agitatore comunista n.11 – Dicembre 1970) 

Profilo politico di Saverio Saltarelli 

Il compagno Saverio è una creatura tipica del più recente periodo storico. Vissuto in mezzo alle ristrettezze egli, è, fin da giovanetto, un comunista istintivo: uno che prende a cuore la sorte dei lavoratori e odia lo sfruttamento. Il suo sviluppo politico è particolarmente intenso nell’ultimo triennio. In questo lasso di tempo egli raggiunge la sua piena maturità politica. Nella sua breve esistenza egli riflette il travaglio di un’intera generazione: quella che, entrata sulla scena [politico-sociale] nel 1968, si trova ora o impegnata nella lotta o alla ricerca della via per la rivoluzione. 

Lasciato il padre che seguiva da bambino sulle montagne abruzzesi per pascolare il gregge non ancora quindicenne Saverio è introdotto in un seminario; ove, non potendo pagare la retta, si disobbliga facendo il legatore e l’elettricista. Pieno di spirito critico egli ingaggia qui le sue prime discussioni sulle condizioni sociali. Discutendo sulle differenze sociali egli prende la difesa dei poveri contro i ricchi e, nel far ciò, si appella all’esempio di Gesù Cristo. 

Passato a Milano con alcune delle sorelle si iscrive al ginnasio Berchet. Questo passo ha una grande importanza nello sviluppo della sua personalità politica. A contatto con l’ambiente evoluto del Berchet egli deve fare i conti dapprima con le proprie convinzioni religiose, in secondo luogo con l’ostilità sociale degli elementi borghesi del Berchet. Questa seconda prova è la più ardua anche perché Saverio, tra le altre difficoltà, deve vincere quella di esprimersi in lingua italiana. Ma è su questo terreno che egli dimostra le sue qualità di fondo. A differenza di alcuni suoi compagni di scuola che si vergognano delle sue umili origini Saverio se ne dimostra fiero e rintuzza in modo risoluto i tentativi di sopruso messi in atto dagli elementi razzisti. Così un giorno fa a pugni col figlio di un chirurgo che voleva prenderlo in giro per essere figlio di un pastore. 

Acceso sostenitore dell’uguaglianza sociale Saverio rimane durante i primi anni di frequenza al Berchet un comunista sentimentale. Egli crede sia possibile una conciliazione su basi umane. Ma questo comunismo ingenuo viene scosso ben presto dall’ondata impetuosa delle agitazioni operaie e studentesche, con cui si inaugura il 1968. Il Berchet è al centro delle agitazioni studentesche. Qui gli studenti liceali cacciano un professore giudicato da loro incapace di insegnare. A febbraio, mentre gli universitari torinesi occupano Palazzo Campana, i liceali occupano il Berchet (il primo liceo del paese ad essere occupato). Durante le prime ore di occupazione, avviene uno scontro tra studenti e i carabinieri intervenuti per bloccare l’entrata a un migliaio di studenti dell’Einstein. Saverio è a fianco degli occupanti e protesta contro l’intervento dei carabinieri. 

La vita al Berchet in questo periodo è infuocata. Le assemblee si susseguono in modo tempestoso, mentre tra i gruppi studenteschi di tendenza opposta cominciano a verificarsi i primi urti violenti. Tutto ciò accelera, straordinariamente, la sua maturazione politica. Saverio evolve dal comunismo ingenuo al comunismo proletario. Egli si rende conto che le masse sfruttate non possono eliminare gli sfruttatori senza una lotta radicale. Tuttavia egli non ha ancora chiari né il ruolo necessario dell’organizzazione d’avanguardia né i rapporti tra partito e classe; perciò egli non entra a far parte di nessuno dei raggruppamenti di estrema sinistra. 

Nell’autunno del 1968 fa il suo ingresso nell’università statale. Il contatto con nuovi elementi di sinistra e la più vasta vita intellettuale della Statale allargano il suo quadro politico. Egli prende parte attiva alle agitazioni, partecipa ai seminari, ma non accetta le posizioni del Movimento Studentesco (MS): lo giudica confusionario e pieno di “figli di papà” (benestanti). In questo momento alla Statale primeggiano i gruppi filo-cinesi. Saverio dibatte ogni questione con molto interesse. Legge Mao e polemizza coi filo-cinesi che ostentavano di possedere la vera ideologia rivoluzionaria e di essere la vera guida delle masse. Contrario ad ogni dottrinarismo osteggia la boria intellettuale sostenendo che l’organizzazione ci vuole ma che questa non deve distaccarsi dalle masse bensì immedesimarsi con esse. 

Le disagiate condizioni economiche non gli permettono uno studio a tempo pieno. Deve pensare anche a lavorare per vivere. Così giovedì e sabato fa il fattorino ai supermercati; per un certo tempo lavora alla Rizzoli al turno di notte intruppato in una carovana di facchinaggio; qualche volta va a scaricare sacchi di patate ai mercati generali. Pieno di entusiasmo e di vitalità egli si sforza di conciliare l’impegno politico con lo studio universitario e il lavoro. Naturalmente tutto questo non avviene che a prezzo di duri sacrifici e in condizioni di particolare asprezza. Una notte, alla Rizzoli un suo compagno di lavoro scrive una frase anti-padronale abbastanza colorita. La direzione licenzia per rappresaglia tutti gli avventizi. Saverio, pur criticando nella forma l’autore della scritta, ne condivide la sorte senza rammarico. 

Il trasferimento a Milano non lo staccò mai completamente dal paese di nascita al quale ritornava spesso. Due problemi gli stavano particolarmente a cuore e lo tormentavano fin dalla prima giovinezza: la grave condizione della manodopera locale e la distruzione del parco nazionale degli Abruzzi ad opera della speculazione edilizia. Nell’estate del 1969 mentre lavora come falegname in un cantiere organizza un gruppo di studenti lavoratori col proposito di denunciare il supersfruttamento dei lavoratori stagionali costretti a lavorare tutto il giorno senza assicurazioni sociali. La denuncia è appena articolata che egli viene licenziato sui due piedi. Qualche giorno dopo anche il fratello subisce la stessa [sorte]. Saverio non disarma. Sa che la lotta politica va fatta, prima di tutto, nel proprio ambiente. Così, appreso che il sindaco favorisce la speculazione edilizia, non esita a denunciare il fatto con un volantino. Per questa azione egli viene minacciato, pesantemente, dal[lo stesso] sindaco. 

Al suo rientro a Milano iniziano le lotte operaie per il rinnovo dei contratti. Nell’ambiente studentesco non si fa che parlare di ciò: dell’atteggiamento verso i sindacati, degli obiettivi e dei metodi di lotta, della forma di partecipazione. Saverio comprende che per ogni raggruppamento, che si qualifica rivoluzionario, diventa decisiva la propria posizione concreta rispetto a queste lotte. Perciò discute approfonditamente nella cerchia ristretta dei suoi amici tale questione. Passa al vaglio l’atteggiamento dei vari gruppi: formula le proprie critiche; partecipa alle manifestazioni di piazza. L’esperienza accumulata gli consente di distinguere le differenze politiche esistenti tra i diversi raggruppamenti. In tal modo egli è in grado di rompere quella sua naturale diffidenza, che lo portava a ripensare più volte una questione prima di decidersi e di compiere una scelta. Alla fine di novembre, nel pieno sviluppo delle lotte operaie, Saverio si avvicina alla nostra organizzazione [P.C.Int., Rivoluzione Comunista]., cominciando ad appoggiare i compagni che operano nell’ambiente studentesco mediante il Comitato Studentesco di Agitazione Rivoluzionaria (Csar). Il 23 dicembre [1969] egli è al nostro fianco per manifestare contro il terrorismo borghese. 

Con l’inizio dell’anno il suo appoggio diventa stabile. Non manca a nessuna importante azione pubblica di partito. E’ attivo e coraggioso. Il 21 gennaio [1970] col “gruppo di autodifesa” reagisce alle cariche della polizia che blocca il corteo alla partenza e, impegnandosi con azioni diversiva, permette che il corteo si effettui muovendosi in un’altra direzione. In questa come in altre circostanze egli rivela una capacità notevole di adattamento da una situazione all’altra. Ma già fin dai primi contatti con la nostra organizzazione egli rivela i tratti più caratteristici della sua personalità: la fermezza e l’abnegazione. Per lui si può dire, veramente, , che la lotta politica era una cosa seria, un impegno passionale, che egli sentiva fino in fondo. 

Fino alla primavera i rapporti tra Saverio e il nostro raggruppamento si basano essenzialmente sull’attività pratica. Egli appoggia il Csar nella sua attività di agitazione. E’ dopo il 1° maggio che la sua partecipazione all’attività complessiva di partito diviene completa, continua e sistematica. Entrato a far parte del Csar egli partecipa stabilmente al suo lavoro, sia pratico sia teorico. Qui egli mette in luce, accanto alle sue doti pratiche, il suo talento intellettuale. Perspicace e intelligente, egli impara in pochi mesi ciò che richiede anni interi. La sua preparazione teorica migliora così a vista d’occhio, stimolando le discussioni tra compagni e i dibattiti nelle riunioni. Ma il suo miglior talento è lo spirito critico. Trasportando nel Csar il suo spirito critico egli ne anima le riunioni, ne ravviva le analisi, fornendo a tutto il partito un contributo inestimabile. Nel Csar è rimasto fino all’attimo della sua uccisione, cioè fino a quel momento in cui una bomba lacrimogena sparata da pochi metri di distanza colpendolo in pieno petto non gli ha spaccato il cuore. 

Per la sua schiettezza, semplicità, era simpatico a migliaia di studenti; mentre pochi sono gli operai che nelle grandi concentrazioni industriali del Nord non ricordino il suo viso. La sua militanza è una fonte di azioni esemplari. Molti giovani della sua età vi troveranno numerosi esempi preziosi da seguire. Egli ha potuto dare solo questo contributo, ma crediamo che ciò sia sufficiente a farlo entrare nella storia del movimento operaio e comunista. 

(L’Agitatore Comunista, organo dei gruppi studenteschi internazionalisti,

La Rivoluzione Comunista) 
----------------------- 
Edizione a cura di
RIVOLUZIONE COMUNISTA
SEDE CENTRALE: P.za Morselli 3 - 20154 Milano
e-mail: rivoluzionec@libero.it
http://digilander.libero.it/rivoluzionecom/
he cosa è stato il 12 dicembre
Strage di Stato, terrorismo fascista, ipocrisia democratica.


Il 12 dicembre è diventato una ricorrenza della democrazia nazionale
borghese. Gli studenti che percorrono le strade delle grandi città
nell´
annuale corteo, celebrano una tradizione di cui spesso non conoscono
le
origini. Noi, che quel giorno ricordiamo Saverio Saltarelli,
denunciamo
le responsabilità e corresponsabilità dello Stato democratico nelle
stragi e negli assassinii degli anni ´60,´70 e ´80 del secolo scorso.
Questa breve nota è rivolta ai giovani, studenti e proletari,
interessati a conoscere quelle responsabilità per combattere questo
Stato, ormai diventato uno Stato reazionario, militarista,
terrorizzante del capitale parassitario.

Il nostro compagno Saverio Saltarelli, studente universitario di 23
anni e membro del Comitato Studentesco di Azione Rivoluzionaria della
nostra Sede di Milano, è stato ucciso dalla polizia dell´allora
governo
di centro-sinistra mentre manifestava per la liberazione degli
anarchici ingiustamente incarcerati con l´infamante accusa di aver
organizzato la strage di Piazza Fontana, il 12 dicembre 1969. Noi
ricordiamo Saverio come militante rivoluzionario, che si è battuto
per
la rivoluzione proletaria, contro la borghesia italiana ed il suo
Stato, e come esempio per i giovani proletari e studenti.
Commemorando
Saverio, ci pare opportuno ricordare ai giovani studenti e proletari,
che sono oggi in movimento sulla scena politica e intendono
combattere
il potere militarista e reazionario della borghesia italiana, gli
avvenimenti del 1969-70, per meglio capire la realtà d´oggi e il che
fare pratico.

Il 12 dicembre 1969 - Quel giorno vengono compiuti quattro attentati:
una bomba esplode nella sede della Banca Nazionale dell´Agricoltura
di
Piazza Fontana a Milano, facendo 16 morti e oltre 100 feriti; un´
altra
rimane inesplosa nella sede della vicina Banca Commerciale; due altri
ordigni esplodono a Roma, sotto l´altare della patria (4 feriti) e
nella sede della BNL (14 feriti). Questi attentati sono il culmine
della campagna terroristica attuata durante tutto il 1969 da un
gruppo
neofascista di Padova, guidato da Franco Freda, cui partecipano
uomini
collegati ai servizi segreti.

La montatura poliziesca - Governo di centro -sinistra DC- PSI,
partiti
parlamentari e magistratura, prendendo a pretesto la strage di Piazza
Fontana, scatenano la macchina repressiva dello Stato contro i
raggruppamenti anarchici e di estrema sinistra. Centinaia di
militanti
vengono arrestati. Numerose sedi vengono perquisite, I gruppi di
estrema sinistra vengono trattati come se fossero, di fatto, fuori
legge. Il 15 dicembre 1969 vengono imputati degli attentati gli
anarchici del Circolo XXII Marzo di Roma: Pietro Valpreda, Emilio
Borghese, Roberto Mander e Roberto Gargamelli. Con loro viene
imputato
anche Mario Merlino, fascista amico dello squadrista Delle Chiaie,
infiltrato nel gruppo anarchico. Intanto la polizia infierisce
contro
gli anarchici.

Cade la prima testa-: nella notte fra il 15 e il 16 dicembre del 1969
viene ucciso durante un interrogatorio nella questura di Milano il
ferroviere anarchico Pino Pinelli. L´atmosfera politica si fa più
drammatica.
Mentre la paura e lo sbandamento s´impadroniscono dell´ambiente
studentesco e dei gruppi politici, la nostra organizzazione di Milano
lancia un appello di solidarietà a favore dei compagni colpiti. In
un volantino del 17/12/69 dice. " In questo momento in cui gli
anarchici
sono sottoposti al linciaggio fisico e morale da parte degli
sfruttatori
capitalisti, noi Internazionalisti eleviamo il nostro grido di sdegno
ed
esortiamo tutti i compagni, tutti i veri proletari, a manifestare la
loro
solidarietà politica." L´appello trova i gruppi studenteschi
milanesi
indifferenti e sostanzialmente, ostili.

Il 20/12/69 hanno luogo i funerali di Pinelli. La nostra sede
milanese
partecipa coi propri simboli di gruppo Internazionalista (RIVOLUZIONE
COMUNISTA), per manifestare pubblicamente contro il terrorismo
borghese. A portare la loro solidarietà sono centinaia e centinaia di
operai e proletari. Vi è pure, con i propri simboli il PCd´I (m-l);
qualche studente a titolo individuale. Il Movimento Studentesco della
Statale insieme al P.C.I. sono invece affaccendati a gettar fango
sugli
anarchici e a organizzare manifestazioni in difesa della democrazia.
Lotta Continua, pur non partecipando al funerale, denuncia ugualmente
nel proprio giornale l´ "assassinio" di Pinelli e la persecuzione dei
rivoluzionari. L´incalzare degli avvenimenti accelera, in modo
vertiginoso, il processo di delimitazione politica in seno agli
studenti.

Perché la strage? - Per rispondere a questa domanda bisogna ricordare
che nel 1968-69 si chiude l´epoca della grande espansione economica
post-bellica, in Italia e nel mondo; e inizia l´epoca della crisi del
sistema mondiale dell´imperialismo, che - aggravata - dura tuttora.
In
quegli anni, il proletariato italiano entra sulla scena politica con
le
sue grandi lotte per l´aumento del salario e per la riduzione dell´
orario. Il conflitto tra la borghesia e il proletariato si acutizza.
Al
contempo inizia la crisi di regime della borghesia italiana, che si
divide sulle soluzioni politiche da dare alla necessità di
riorganizzare il suo sistema industriale e finanziario e aumentare lo
sfruttamento del proletariato.
Lo squadrismo e lo stragismo fascisti vengono sostenuti da una parte
dei gruppi economico-finanziari più legati ai grandi monopoli
americani
(armatori, petrolieri) o basati sulla rendita, da strati della media
e
piccola borghesia imprenditrice e commerciale, da una parte della
burocrazia statale e militare, che puntano a risolvere con metodi
autoritari ed extraparlamentari la crisi di regime (i conflitti con i
gruppi monopolistici allora predominanti in Italia: IRI, ENI, Fiat,
Pirelli, Montedison) e più in generale il conflitto con la classe
operaia.
Le stragi del 1969, e tra queste Piazza Fontana, dovevano servire a
imporre una svolta a destra della politica di governo e sostenere lo
sviluppo elettorale del partito fascista (il MSI, oggi AN).In
seguito,
fallito questo tentativo, la strage di Brescia (28 maggio 1974) ha
segnato il passaggio dell´ala fascista della borghesia alla politica
del "colpo di Stato", perseguita per tutti gli anni ´70 e parte degli
anni `80 del 1900.

Perché la montatura contro gli anarchici? - L´incarcerazione di
Valpreda e compagni e la caccia al rosso sono servite immediatamente
a
tutta la borghesia per cercare, senza peraltro riuscirci, di mettere
in
ginocchio la classe operaia di fronte al padronato, durante gli
scioperi per i rinnovi dei contratti nazionali. Queste montature sono
servite anche per tentare di stroncare i raggruppamenti di estrema
sinistra, che avevano una presa crescente tra i giovani operai e
studenti. Ma il vero scopo della montatura e della campagna
terroristica di Stato era quello di nascondere che il fascismo stava
nei vertici della Repubblica costituzionale: nella polizia,
magistratura, servizi segreti, alti comandi militari. Nulla di strano
in questo: la Repubblica democratica prese di peso l´intero apparato
amministrativo, giudiziario, militare del fascismo. Il personale
dirigente di questo apparato fu per giunta rivalorizzato nel
dopoguerra
dalla politica controrivoluzionaria della NATO, sotto l´egemonia dell´
imperialismo americano in Europa (vedi le strutture di Gladio e la
Loggia P2). Poliziotti, magistrati e uomini di governo conoscevano
perfettamente da chi e perché era stata organizzata la strage di
Piazza
Fontana e quali fossero i rapporti tra il gruppo di Freda-Ventura,
cellula padovana del gruppo neofascista Ordine Nuovo, gli uomini dei
servizi segreti e gli alti gradi militari, sia italiani sia americani.
Ma essi non potevano colpire i fascisti inseriti nei vertici dello
Stato, con i quali collaboravano da 25 anni per opprimere le masse
sfruttate, né potevano impedire a quei compari di sviare, insabbiare
le
inchieste sulla strage di Piazza Fontana e sulle altre che sono
seguite
(difatti queste indagini continuano tuttora e non avranno mai fine).

12 dicembre 1970: la polizia del centro-sinistra uccide il nostro
compagno Saverio Saltarelli - In questo clima di ipocrisia
democratica
e livore antiproletario, la polizia vieta la manifestazione
organizzata
a Milano il 12 dicembre 1970 dagli anarchici per la liberazione di
Valpreda. Il nostro raggruppamento partecipa al corteo per
solidarietà
con i prigionieri e contro il divieto deciso dal ministro dell´
interno,
che invece ha autorizzato: un corteo antifranchista promosso da PCI-
PSI-DC-Sindacati e un presidio antifascista davanti all´università da
parte del Movimento Studentesco della Statale (MSS). Il corteo
anarchico viene caricato duramente dalla polizia nei pressi dell´
università, ma il servizio dell´ordine del MSS impedisce ai
manifestanti di rifugiarsi nell´ateneo. Durante una carica i celerini
sparano lacrimogeni ad altezza d´uomo: Saverio Saltarelli, 23enne
studente-lavoratore militante del nostro Comitato studentesco di
agitazione rivoluzionaria viene colpito al cuore e muore. Questo
assassinio dimostra che ad un anno dalla strage il governo di centro-
sinistra prosegue la politica di repressione statale e che la
sinistra
parlamentare ( PCI-Psiup-Sindacati, con la ruota di scorta dell´MSS
diventato una polizia civica) è parte integrante dello schieramento
ordinista.

"La strage è di Stato" -Il repressivismo poliziesco non ha piegato le
centinaia di migliaia di giovani che il 12 dicembre del 1971 e del
1972
sono nuovamente scesi in piazza, fino ad ottenere la scarcerazione
dell´
anarchico Valpreda e dei suoi compagni. " La strage è di Stato -
Pinelli è stato assassinato": queste verità, gridate nelle piazze
dimostravano la consapevolezza non solo delle responsabilità dei
fascisti ma anche della complicità dei vertici statali e del livore
antiproletario degli uomini di governo.

La "storia infinita" dei processi su Piazza Fontana - dal 1969 al
2005 lo stato italiano ha celebrato 7 processi su Piazza Fontana. Il
primo processo, a Milano e Roma, fu costruito per imputare gli
anarchici e terrorizzare il movimento operaio e studentesco. Dal
1971,
prima a Treviso e poi a Milano, vennero indagati i fascisti padovani
di Ordine Nuovo, Freda e Ventura; protetti dai servizi segreti. Le
"finezze processuali" della Cassazione riuscirono a far confluire
entrambi i procedimenti nel mostruoso processo di Catanzaro, ove
erano
imputati insieme Valpreda e Merlino, Freda, Ventura, per tenere in
piedi la tesi degli "opposti estremismi contro lo Stato". Dopo varie
vicende, il 27/1/1987 la Cassazione chiudeva definitivamente questo
processo, confermando la sentenza della Corte d´Appello di Bari, che
aveva assolto per "insufficienza di prove" sia Valpreda sia i
fascisti
Freda, Ventura, Merlino.
Negli anni ´90, iniziava a Milano una nuova indagine contro la
cellula
veneta di Ordine Nuovo. Venivano imputati per la strage i componenti
del gruppo di Mestre -Venezia, collegati al gruppo di Padova (ma
Freda
e Ventura non potevano essere nuovamente processati): Carlo Digilio,
"pentito" accusatore; Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi più Giancarlo
Rognoni; noto fascista milanese. La Corte d´Assise di Milano, con
sentenza del 30/6-30/9/2001, condannava all´ergastolo Zorzi, Maggi e
Rognoni, ed assolveva Digilio, riconoscendogli le attenuanti per la
"collaborazione" e dichiarando prescritto il suo reato. Il 12/3/2004,
però, la Corte d´Assise d´appello di Milano ribaltava la sentenza,
mandando assolti Rognoni (con formula piena) e Zorzi più Maggi (per
insufficienza di prove). Nella sentenza d´appello, la Corte ha
scritto
che della strage sono responsabili Freda e Ventura, la cui precedente
assoluzione sarebbe stata un "errore giudiziario", ma che non vi sono
prove sufficienti per collegare la cellula padovana di Ordine Nuovo
con
quella veneziana, nell´esecuzione dell´attentato.
L´ipocrisia giudiziaria ha dunque raggiunto il massimo, poiché lo
Stato ha trovato il modo di non punire i suoi complici neofascisti,
che
sono tutti in libertà. La Corte di Cassazione, il 30/5/2005 Ha
confermato definitivamente questa sentenza, aggiungendo alla beffa il
danno: i parenti delle vittime della strage, che si erano costituiti
parte civile, sono stati condannati alle spese.

Non "celebrare" il 12 dicembre ma lottare per la rivoluzione e il
comunismo -I giovani di oggi non devono perdere tempo dietro alle
ricorrenze ipocrite, che servono solo a nascondere la natura
profondamente reazionaria della borghesia reazionaria, che unisce
contro il proletariato sia i fascisti che gli antifascisti,clericali
e
massoni,golpisti e antigolpisti. I giovani proletari e studenti che
vogliono ricordare con la lotta i morti nelle stragi fasciste e sotto
il piombo poliziesco si portino sulla linea della rivoluzione
comunista, dando il loro appoggio e il loro entusiasmo al partito
proletario, per combattere lo Stato reazionario e costruire una
società
comunista,di liberi e uguali.

L´Esecutivo della Sezione di Milano
di RIVOLUZIONE COMUNISTA 12 dicembre 2007.

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