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28 MARZO 1997

CANALE D'OTRANTO

....e la Pivetti disse:- Ributtateli a mare!-

dal Sito di Repubblica riportiamo quest'indicativo articolo sul clima  elettorale che portò alla strage del Canale d'Otranto

http://www.repubblica.it/2005/b/rubriche/

glialtrinoi/naufragio-albanesi/naufragio-albanesi.html

 

Il naufragio degli albanesi
e la giornalista Pivetti


Mercoledì scorso l'Italia non ha celebrato il decennale della tragedia della "Kater I Rades", la nave albanese che il 28 marzo del 1997 fu speronata dalla nave militare "Sibilla". Dunque non si è svolta alcuna iniziativa pubblica - a parte quella organizzata a Brindisi da alcune associazioni di base - per ricordare i 108 migranti che morirono annegati nel mare Adriatico.

La mancata celebrazione dell'anniversario, non impedisce però di celebrarne un altro, quasi coincidente. Quello della dichiarazione rilasciata alla vigilia, cioè il 27 marzo del 1997, da Irene Pivetti, che fino a due anni prima era stata presidente della Camera dei deputati e allora era ancora parlamentare della Repubblica. Suggerì che, per fronteggiarne la "invasione", gli albanesi fossero ributtati in mare.

Una dichiarazione che, dopo dieci anni, continua a essere ai primi posti nella classifica delle uscite razziste di esponenti politici italiani. Intervistato qualche giorno dopo da Gian Antonio Stella per il "Corriere della Sera", l'allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede , Joseph Ratzinger, reagì con sgomenta incredulità: "In mare... Così ha detto?", poi il silenzio. Il Movimento per i diritti civili presentò una denuncia per istigazione all'odio razziale e un esponente politico cattolico, Pier Ferdinando Casini, disse di provare "pena". Ma nemmeno dopo la tragedia della "Kater I Rades", Irene Pivetti corresse le sue affermazioni. Anzi. Disse "non li ho buttati in mare io" e avanzò il sospetto che le vittime del naufragio non fossero più di cento (come dicevano i familiari e i superstiti e come poi si è accertato).

Sono passati dieci anni. Irene Pivetti ha cambiato mestiere. E' una giornalista professionista. Non le può essere sfuggita (e in tal caso gliela segnaliamo) l'intervista di Tommaso Di Francesco pubblicata martedì scorso dal "Manifesto". Krenar Xhavara, che nel naufragio della "Kater I Rades" perse la moglie, la figlia di sei mesi, oltre a tutta la famiglia del fratello, in quell'intervista ha raccontato il dolore non sopito, la rabbia, l'indignazione dei familiari delle vittime che ancora chiedono giustizia.

Sono passati dieci anni. In questo tempo la lista delle frasi razziste si è allungata. Abbiamo avuto i 'bingo bongò di Bossi, il 'quella signora abbronzata di Calderoli, le disinfestazioni dei treni degli immigrati di Borghezio. Una semina di odio particolarmente vile perché, sistematicamente, i loro autori, quando vengono chiamati a risponderne, riducono le loro affermazioni a 'scherzi', 'battute'. Ma Irene Pivetti adesso sa benissimo che le parole pesano. A dire il vero avrebbe dovuto saperlo anche dieci anni fa, visto che, come si legge nelle sue biografie, è stata la curatrice della prima e della seconda edizione del dizionario della lingua italiana di Aldo Gabrielli, che era anche suo nonno. Adesso, però, è una giornalista, conduce programmi di attualità, dunque con le parole lavora. Dovrebbe averne cura.

Ecco perché celebriamo il decennale di quella sua dichiarazione. Non solo perché i familiari delle vittime la ricordano benissimo, ma anche per suggerire alla collega Irene Pivetti un modo per contribuire alla difesa delle parole, del loro senso. Dovrebbe solo spiegare quelle che pronunciò dieci anni fa. Non è necessario che si dica "turbata", come ha fatto di recente a proposito dell'inchiesta sul suo amico Lele Mora, che pure non è annegato nell'Adriatico. Basterebbe che le spiegasse. Intanto gliele abbiamo ricordate, e continueremo a farlo a ogni anniversario.

(glialtrinoi@repubblica. it)

(1 aprile 2007)

 

SENTENZA

La nostra posizione sulla sentenza:

28 MARZO 97- 19 MARZO 2005

UNA STRAGE DI STATO CONCLUSASI CON UNA SENTENZA SCONTATA!

Quella di ieri è stata la conclusione naturale di un processo che sin dai primi passi si è mosso secondo i canoni classici degli iter giudiziari che hanno accompagnato le Stragi di Stato e quella dei profughi albanesi affogati nel Canale d’Otranto non poteva essere un’eccezione.

In quel tragico e lontano marzo 97, sin dalle prime ore conseguenti all’affondamento della Kater I Rades, da parte della nave militare italiana Sibilla, noi dell’Osservatorio permanente Italia-Albania denunciammo nei nostri comunicati che, dopo il clamore mediatico su questa strage, lo Stato Italiano e la classe politica italiana , che ne era direttamente responsabile, avrebbero cercato a tutti i costi di uscirne assolti e, se processo vi fosse stato, esso si sarebbe concluso al massimo con una condanna bipartisan dei due comandanti delle navi entrate in collisione.

Così è puntualmente avvenuto ieri con la conclusione di un processo protrattosi per cinque anni e che si è concluso con una pena a totali 7 anni , quasi equamente divisi tra il comandante italiano Laudadio ( 3 anni) e l’albanese Xhaferi (4 anni) che guidava la motovedetta albanese in quel tragico Venerdì Santo del 97.

Quanto vale la vita di un albanese?

Poco più di ventimila euro, ovvero quasi cinquanta milioni di vecchie lire, questo è quanto verrà dato come risarcimento ai parenti delle vittime , una cifra che è un’ulteriore affronto agli affetti spezzati, alle giovani vite perdute , di neonati affogati senza colpa con le loro madri in nome della ragion di stato o meglio di quella elettorale.

Una sentenza scontata:

E’ una sentenza che si poteva leggere sin dal primo momento, non tra i primi provvedimenti giudiziari che seguirono il fatto, ma sui media italiani che si interessarono della vicenda e che, parallelamente allo svilupparsi del suo iter, continuarono a ribadire l’unica verità , quella della prima versione data dalla Marina, nonostante le testimonianze dei naufraghi sopravvissuti e delle numerose incongruità e reticenze dei responsabili militari e civili italiani.

La versione della Marina:

- La nave Sibilla cercava di dissuadere i profughi ad entrare nelle acque italiane , per colpa delle pericolose manovre degli albanesi urtava contro la Kater determinandone l’affondamento.-

La versione dei sopravvissuti:

- Per ore, due navi militari italiane, la fregata Zefiro e la corvetta Sibilla, ci diedero la caccia girandoci intorno , tagliando la nostra rotta, nonostante che alzassimo bandiera bianca e facessimo vedere che sulla nave vi erano moltissime donne e bambini.

La Sibilla al calare del buio, si avvicinò ancora di più, tentando un abbordaggio, colpendoci due volte e facendo capovolgere la nostra barca.-

 

Sin dal primo momento si cercò di dichiarare inaffidabile la versione dei naufraghi dichiarando che i morti erano al massimo una decina nonostante che gli albanesi giurassero che erano più di cento.

Solo con il recupero della nave, ottenuto dopo le proteste scatenatesi sia in Albania che in tutto il mondo (compresa una durissima posizione dell’ONU, sul blocco navale italiano ritenuto illegittimo), fu possibile procedere al recupero di una ottantina di corpi, che a distanza di sei mesi erano ancora rimasti imprigionati nello scafo.

Nonostante i segni evidenti dei due colpi ricevuti dalla nave albanese si continuò a parlare di sfortunato incidente causato anche dall’imperizia del pilota albanese.

Ieri 19 marzo 2005, dopo che in questi cinque anni le accuse degli ammiragli direttamente responsabili dell’operazione blocco navale erano state stralciate dal processo e i responsabili politici dell’allora governo Prodi , mai portati sul banco degli imputati, lo Stato al massimo livello ne è uscito assolto e esigue condanne sono ricadute sulla testa dei due disgraziati comandanti.

Condanne che lasciano in piedi totalmente tutti i quesiti che ponemmo sin dal primo momento, con la nostra controinchiesta condotta sin dalle prime ore dopo la strage, spinti delle richieste di giustizia dei naufraghi, parenti delle vittime, ospitati in quei giorni del 97 nella caserma Caraffa.

 

Domande che a distanza di otto anni continuano a rimanere senza risposta

Chi aveva autorizzato un blocco navale in acque internazionali dove è libera la circolazione?

Perché si doveva impedire a tutti i costi l’arrivo di un centinaio di uomini, donne e bambini che fuggivano da una Albania in piena rivolta civile?

Quali erano gli ordini che erano stati impartiti ai comandanti italiani?

Perché nonostante si abbiano foto e filmati girati prima dello speronamento, siano invece mancanti, misteriosamente, quelle relative all’affondamento?

Perché si continua a parlare di pericolose evoluzioni della nave albanese quando tutti i dati, filmati della Marina compresi, mostrano una nave sovraccarica che viaggiava in linea retta a poco più di 8 chilometri all’ora mentre la nostra nave Sibilla poteva volare a 80km/h?

Vogliamo un tribunale internazionale!

Questo era quello che si leggeva sugli striscioni portati dagli albanesi superstiti, nei ricorrenti cortei che in quei mesi del 97 organizzammo per richiedere il recupero della nave e un giusto processo.

Quello che era avvenuto il Venerdì santo non era come conclude questa condanna, un semplice incidente di traffico tra due conducenti ubriachi o avventati, bensì un atto di barbarie condotto con un’operazione di pirateria internazionale, in violazione dei principi del rispetto dei diritti umani, sanciti dall’ONU e dalla nostra costituzione e in trasgressione dei trattati sulla navigazione internazionale firmati anche dall’Italia sin dal 1977.

No alla guerra ai Migranti!

Contemporaneamente alla sentenza del tribunale di Brindisi, a Pantelleria andava in onda l’ennesima vergognosa vicenda del rimpatrio forzato, con scende di disperazione di "immigrati clandestini2 provenienti dai paesi magrebini , del Sahara, dall’Iraq e dalla Palestina.

Il cinismo nell’applicazione delle leggi sui migranti italiane, in primis la Bossi-Fini , e quello della fortezza Europa che si organizza con flotte e polizie antimigranti e sovvenziona campi lager in Libia, Marocco e Tunisia, mostrano come quella strage del Venerdì Santo non avrà mai giustizia.

A Brindisi, sabato 26 marzo 2005 , alle ore 17,30 le associazioni e i singoli soggetti che da anni lavorano al fianco dei migranti, e che non si sono mai stancati di definire quella cdel 28 marzo 97, una strage di Stato, saranno sul lungomare a commemorare tutti i migranti morti in mare, con un lancio di fiori al quale seguirà e con un corteo fino al centro cittadino, nei pressi di piazza Vittoria dove si terrà una mostra, con dibattito su tali temi.

Per l’ OSSERVATORIO PERMANENTE ITALIA-ALBANIA

E l’ OSSERVATORIO SUI BALCANI DI BRINDISI

APRILE ROBERTO

ANTONIO CAMUSO

 

1)Brindisi 12 anni di lotte al fianco dei migranti

2)Brindisi,           8 marzo 1991, ventimila albanesi

3)IIl Comitato di solidarietà italo-albanese di Brindisil

4) 28/3/97 la strage del canale d'Otranto

5)le iniziative per ricordare i morti della Kater

6)Kater: i fatti raccontati dai superstiti

7) Il processo ai responsabili della strage della Kater

8) la Pivetti disse ributtateli a mare!

9) The case of the Kater I Rades

10) La mostra sull'affondamento della Kater

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