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I Padrini del Ponte alle 5 Giornate di Messina

 

Nell'ambito delle 5 GIORNATE DI MESSINA, lunedì 30 agosto alle ore 18,30 presso il Monte di Pietà (via XXIV Maggio), verrà presentato il volume "I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto" di Antonio Mazzeo. Interverranno l'autore e la giornalista Manuela Modica.

Le 5 Giornate di Messina nascono da una grande iniziativa popolare e giovanile che con orgoglio sceglie di battersi per contribuire alla rinascita anche etica del Paese. Si tratta di uno straordinario appuntamento di teatro, musica, fotografia, dibattiti e impegno sociale e civile.

L'iniziativa è organizzata da Consequenze, network di Cultura Partecipata.anizzata da Consequenze, network di Cultura Partecipata.Consequenze - Network di Cultura Partecipata, in collaborazione con Libera, Associazione Antimafie “Rita Atria” e Rete No Ponte.

Il libro di Antonio Mazzeo, sulla base di una documentazione che privilegia le fonti giudiziarie, fornisce una sistematizzazione di innumerevoli denunce e indagini sugli interessi criminali che ruotano attorno alla costruzione del Ponte sullo Stretto.

La prefazione è di Umberto Santino, presidente del Centro Siciliano di Documentazione Antimafia “Giuseppe Impastato”, che ha commissionato la ricerca.

 

anizzata da Consequenze, network di Cultura Partecipata.anizzata da Consequenze, network di Cultura Partecipata.Per il programma completo dell'evento consultare il sito http://www.consequenze.org/it/component/content/article/41-le-

5-giornate-di-messina/233-giornatemessinaprogramma.html.

 

 

Dall’Introduzione de “I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina”

 

Speculatori locali o d’oltreoceano; faccendieri di tutte le latitudini; piccoli, medi e grandi trafficanti; sovrani o aspiranti tali; amanti incalliti del gioco d’azzardo; accumulatori e dilapidatori di insperate fortune; frammassoni e cavalieri d’ogni ordine e grado; conservatori, liberali e finanche ex comunisti; banchieri, ingegneri ed editori; traghettatori di anime e costruttori di nefandezze. I portavoce del progresso, i signori dell’acciaio e del cemento, mantengono intatta la loro furia devastatrice di territori e ambiente. Manifestazioni di protesta, indagini e processi non sono serviti a vanificarne sogni e aspirazioni di grandezza. I padrini del Ponte, i mille affari di cosche e ’ndrine, animeranno ancora gli incubi di coloro che credono sia possibile comunicare senza cementificare, vivere senza distruggere, condividere senza dividere.

Agli artefici più o meno occulti del pluridecennale piano di trasformazione territoriale, urbana, ambientale e paesaggistica dello Stretto di Messina, abbiamo dedicato questo volume che, ne siamo consapevoli, esce con eccessivo ritardo. Ricostruire le trame e gli interessi, le alleanze e le complicità dei più chiacchierati fautori della megaopera, ci è sembrato tuttavia doveroso anche perché l’oblio genera mostri e di ecomostri nello Stretto ce ne sono già abbastanza. E perché non è possibile dimenticare che in vista dei flussi finanziari promessi ad una delle aree più fragili del pianeta, si sono potuti riorganizzare segmenti strategici della borghesia mafiosa in Calabria, Sicilia e nord America. Forse perché speriamo ancora, ingenuamente, che alla fine qualcuno avvii una vera inchiesta sull’intero iter del Ponte, ricostruendo innanzitutto le trame criminali che l’opera ha alimentato. Chiarendo, inoltre, l’entità degli sprechi perpetrati dalla società Stretto di Messina. Esaminando, infine, i gravi conflitti d’interesse nelle gare d’appalto ed i condizionamenti ideologici, leciti ed illeciti, esercitati dalle due-tre famiglie che governano le opere pubbliche in Italia.

Forse il recuperare alla memoria vicende complesse, più o meno lontane, potrà contribuire a fornire ulteriori spunti di riflessione a chi è chiamato a difendere il territorio dai saccheggi ricorrenti. Forse permetterà di comprendere meglio l’identità e la forza degli avversari e scoprire, magari, che dietro certi sponsor di dissennate cattedrali nel deserto troppo spesso si nascondono mercanti d’armi e condottieri delle guerre che insanguinano il mondo. È il volto moderno del capitale. Ribellarsi non è solo giusto. È una chance di sopravvivenza.

 

 

Scheda autore

Antonio Mazzeo, militante ecopacifista ed antimilitarista, ha pubblicato alcuni saggi sui temi della pace e della militarizzazione del territorio, sulla presenza mafiosa in Sicilia e sulle lotte internazionali a difesa dell’ambiente e dei diritti umani. Ha inoltre scritto numerose inchieste sull’interesse suscitato dal Ponte in Cosa Nostra, ricostruendo pure i gravi conflitti d’interesse che hanno caratterizzato l’intero iter progettuale. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa).

NATO.:COLPITO E AFFONDATO

LA TRAGICA VICENDA DEL PESCHERECCIO FRANCESCO PADRE E DEI SUOI OCCUPANTI

 

 

giovedì, 18 febbraio 2010

Fori di proiettili sullo scafo del Francesco Padre

Video: la verità del mare

 

Nicolò Carmineo (www.lagazzettadelmezzogiorni.it/…)

Il peschereccio di Molfetta Francesco Padre, ufficialmente affondato 16 anni fa per colpa di una esplosione a bordo, prima della deflagrazione potrebbe essere stato crivellato di colpi, forse esplosi da una mitragliatrice. Mentre la procura di Trani ha ufficialmente deciso di riaprire l’inchiesta su quella misteriosa tragedia che provocò la morte dei cinque marinai a bordo, dal filmato del relitto in fondo al mare recuperato dalla «Gazzetta» spuntano nuovi elementi. Almeno 4 fori sono visibili nella parte poppiera di dritta del natante e - dettaglio ancora più inquietante - un foro nel teschio di uno dei marinai che giace ancora a 248 metri di profondità. 

Non vi può essere nessun riscontro certo fino a quando non venisse disposto un recupero, ma a questo punto l’attacco armato compiuto nei confronti del peschereccio si impone come una delle ipotesi su quanto accadde la notte del 4 novembre 1994. A compiere l’azione potrebbe essere stato un commando armato partito dal Montenegro, sempre che il «Francesco Padre» non sia rimasto vittima di una nuova Ustica del mare. Alcune fonti riportano che quella notte unità militari davano la caccia ad un peschereccio simile a quello di Molfetta, che nei giorni precedenti era stato visto lanciare esplosivi in mare. Non per pescare, dato il fondale profondo di quella zona, ma più probabilmente per compiere attività di spionaggio: va ricordato che in quegli anni si combatteva nell’ex Jugoslavia e che unità militari ma anche imbarcazioni- spia battevano quelle acque per contrastare (oppure alimentare) il traffico di armi.

 La pista delle mitragliate esplose contro il «Francesco Padre» sembra trovare conforto anche in altri fori di proiettile che sarebbero stati riscontrati in uno dei reperti, il tirante dell’albero di poppa, poi stranamente smarrito durante le indagini. Il pezzo del peschereccio era stato ripescato in mare nell’estate del 1995 da una imbarcazione di Manfredonia. Uno dei pescatori, Michele Brigida, interrogato dalla procura, confermò il ritrovamento precisando che il pezzo dell’imbarcazione «presentava alcuni fori». Si trattava di un tubo di ferro che in seguito venne recuperato dal fratello del comandante del «Francesco Padre» per essere affidato agli investigatori. Ma nessuno sembra essere in grado di dire che fine abbia poi fatto. 

Tale circostanze non è stata comunque giudicata rilevante dai magistrati che nel 1997 archiviarono l’inchiesta secondo i quali la causa dell’incidente era stato il trasporto illegale di materiale esplosivo. Determinante fu la perizia dell’ingegnere navale Giulio Russo Krauss nella quale si dimostrava che l’esplo - sione era partita dall’interno del natante, sotto il ponte di coperta, e che l’esplosivo «con ogni probabilità si trovava nella stiva del pescato o nell’alloggio del motorista ». Ciò escludeva che potesse trattarsi di un attacco esterno. Il perito giudicava non attendibile anche l’ipotesi di un ordigno preso nelle reti (n.d.r. piuttosto probabile perchè nella guerra nella ex Jugoslavia molte zone marittime dell’Adriatico jugoslavo vennero minate), poiché riteneva che il «Francesco Padre» non potesse pescare a strascico a quella profondità (230 metri) e a quell’ora di notte.

 In realtà un esame attento del video girato dalla Impresub per conto della Procura nel giugno del 1996 svela che l’impatto è avvenuto dall’esterno. Nella zona poppiera, per esempio, si vede distintamente una scala a pioli - che serviva a scendere nella sala macchine - schiodata e appoggiata al motore (e non verso l’esterno), così anche la cisterna di gasolio di sinistra schiodata dal fasciame e spinta all’interno. Lo stesso motore non sembra avere alcun segno di bruciatura, e ciò significherebbe che l’esplosione è avvenuta fuori e non nel vano interno. Non è possibile poi che l’esplosivo si trovasse nella stiva frigo, perchè nel peschereccio molfettese è posta sotto il ponte di comando (e non a poppa come erroneamente affermato da Krauss), zona dell’imbarcazione che dal video risulta integra. 

Nel video del relitto si evidenzia poi che le reti erano state calate e in pesca, e ciò è possibile perché la pesca dei gamberi viene effettuata anche a profondità superiori ai 230 metri e spesso nelle ore notturne. Ma ammesso che sia fondata l’ipotesi dell’attacco armato a danno del peschereccio di Mollfetta, quale potrebbe essere il movente? Il comandante Pansini poco prima della tragedia aveva rilasciato una intervista televisiva nel programma «Linea Verde» di Federico Fazzuoli nella quale denunciava traffici illegali in Adriatico. In quel periodo le nostre frontiere marittime erano permeabili, vi si praticava ogni tipo di contrabbando, specialmente con il Montenegro. Numerosi furono a Bari i sequestri di ingenti quantitativi di armi provenienti dalla ex Jugoslavia riconducibili a mercanti di pesce. Fu dunque un attacco per vendetta? Ora che le indagini sono state riaperte, la procura potrà rispondere finalmente anche a questo interrogativo.

 


 

 

LA leadership dell’Aviazione Militare Italiana?

Affidiamola ai consigli degli israeliani!

  Recensione critica di un libro scritto da un generale italiano ed uno israeliano.

Fernando Giancotti, Yak ov Shaharabani: LEADERSHIP AGILE NELLA COMPLESSITA’- Guerini e associati Editori_Milano 2008- pp232 E 24

 

 

Colpisce in questo particolare momento, in cui l’aviazione israeliana, con i suoi raid su Gaza, ha spietatamente mietuto vittime  tra ...>>>SEGUE>>> Articolo di Antonio Camuso


Quando il console della milizia fascista di religione ebraica Alberto Liuzzi morì combattendo contro i rossi in Spagna.

Recensione di un libro su un aspetto inconsueto del rapporto tra fascismo italiano e cittadini di religione  ebraica

I SOLDATI EBREI DI MUSSOLINI

I militari israeliti nel periodo fascista

Giovanni Cecini –Ugo Mursia editore- Milano 2008-pp278-E 17

 

Cogliamo l’occasione della giornata della memoria per ricordare come il regime fascista  all’apice della sua forza, esaltato dai successi ottenuti con le guerre coloniali, l’appoggio SEGUE>>>>>>>>>>


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