di
VINCENZO SPARVIERO
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Che i topi spaventassero gli elefanti è fin troppo risaputo.
E passi anche che una montagna partorisca un... topolino. Ma che
un ratto potesse mandare in tilt un colosso come il
Petrolchimico, in pochi lo avrebbe mai potuto immaginare.
Eppure, per giustificare il black out alla base di una delle
tante sfiammate delle torce di sicurezza del mega- impianto alle
porte della città, i tecnici dello stabilimento hanno fatto
riferimento proprio ad un topo che ha combinato un casino in un
cabina elettrica di ultima generazione provocando «un corto
circuito che ha bloccato alcuni impianti ubicati nell’area
dello stabilimento», è scritto negli atti che ora sono
all’esame del sostituto procuratore Antonio Negro. Il
magistrato ha deciso di vederci chiaro e non potendo indagare
sul topo, presumibilmente morto durante la «passeggiata» tra i
cavi scoperti della cabina, ha aperto un fascicolo contro ignoti
sulla base di un dettagliato esposto presentato dal presidente
della Provincia Michele Errico al quale si sono aggiunte almeno
una ventina di segnalazioni di semplici cittadini «terrorizzati»
dall’idea che i fumi di quelle torce potessero aggravare ancor
più una situazione ambientale che definire ad alto rischio
appare un eufemismo.
Dalla scorsa estate ad oggi è stato tutto un susseguirsi di
sfiammate. I bene informati parlano di almeno una trentina di
casi: tutti più o meno giustificati dai tecnici del
Petrolchimico. Si tratta, a loro dire, di procedure di sicurezza
in quanto le fiamme bruciano eventuali sostanze dannose. Sarà
proprio così? Questo stanno cercando di accertare gli
investigatori della Digos, che hanno già acquisito una notevole
documentazione che dalla prossima settimana potrebbe essere
esaminata dal perito incaricato dalla Procura. Sarebbero stati
anche prelevati alcuni campioni dai terreni circostanti per
cercare di completare un fascicolo di indagine che - per il
momento - è a carico di ignoti. Quello che appare strano, agli
occhi «interessati» dei brindisini costretti a convivere con
impianti altamente inquinanti, è che le «sfiammate» avvengono
o nei giorni di festa o a ridosso degli stessi.
Capitò, ad esempio, la sera della festa di San Teodoro. Al
porto «sparavano» i fuochi, poco più in là «sparavano»
i... fumi. Poi, sebbene esista una protocollo per far circolare
le informazioni, nessuno si sarebbe mai preoccupato di attivarlo
a dovere. Vale a dire, gli addetti alla sicurezza del
Petrolchimico avrebbero dovuto tempestivamente informare la
Prefettura che a sua volta avrebbe poi potuto chiedere
l’intervento della Protezione civile e dei vigili del fuoco e
attivare le procedure che avrebbero consentito - in tempo reale
- di effettuare i rilievi. Tutto questo non sempre sarebbe
avvenuto. Il perchè qualcuno dovrà spiegarlo in Procura. I
tecnici del Petrolchimico, comunque, hanno una spiegazione per
tutto. Hanno giustificato l’avvenuto alla commissione nominata
dal presidente della Provincia e formata dal presidente stesso,
dall’assessore Antonio Gennari, da Annamaria Attolini, Danilo
Urso, Micaela Faieta, Angelo Semeraro, Stefania Leone e Danilo
Morciano. Si tratta di esperti e di componenti le principali
commissioni anche nazionali che si occupano di ambiente.
«Le sfiammate - per i tecnici del Petrolchimico della società
Polimeri Europa, Basell ed Enipower - rappresentano un «normale
sistema di sicurezza» che si attiva in determinate condizioni
come il blocco degli impianti. Il problema è che la commissione
provinciale, preso atto dell’accaduto, ha riscontrato «assenza
di sistemi di controllo efficaci per monitorare la
concentrazione delle sostanza in ingresso alla torcia e i gas
risultanti dalla combustione emessi in atmosfera»: cosa che
avviene sistematicamente all’impianto di Porto Marghera. Ma
non è tutto. Assente anche un «efficace sistema di controllo e
monitoraggio interno aziendale per la verifica delle ricadute al
suolo delle concentrazioni inquinanti derivanti dalla
combustione in torcia» e «assenza in torcia di sistemi di
rilevazione della temperatura nell’affluente gassoso ed anche
un analizzatore per la misurazioone e la registrazione in
continuo dell’ossigeno libero e del monossido di carbonio».
Eppoi, la commissione ha anche sottolineato che «non è stata
allertata l’Arpa» e quindi «non è stato possibile rilevare
e misurare con mezzi mobili l’incremento dlele concentrazioni
degli inquinanti correrabili all’evento».
A Napoli direbbero «chi ha avuto, ha avuto, ha avuto...
scurdammonce ‘o passato». Il problema è che anche per il
futuro, al momento, è stato fatto ben poco. Sarà perchè
l’impianto brindisino è obsoleto. Sarà altro? Lo stabilirà
la perizia: questa, almeno, è la speranza dei brindisini che si
ritrovano la loro città ad un pugno di chilometri da una zona
estesa 500 ettari ed identificata dal ministero come «Sit»
(sito di interesse nazionale) ancora tutta da bonificare. E
proprio nel bel mezzo di quest’area - compresa tra la zona
industriale e la centrale di Cerano - il cielo è illuminato
dalle «sfiammate» della torcia. Possono i brindisini
considerare il «fenomeno» solo un «romantico rogo» che
illumina il cielo? Oppure non dormono la notte al solo pensiero
che un’altra bomba ecologica si stia abbattendo sulle loro
teste?
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