è consentita la
riproduzione a fini non di lucro dei materiali dell'Archivio Storico
Benedetto Petrone con l'obbligo di riportarne la fonte
RESISTENZA...ma
non solo ....L'ALTRA RESISTENZA: I MILITARI ITALIANI CONTRO IL
NAZIFASCISMO.PER NON DIMENTICARE CEFALONIA
2 DICEMBRE 1943 : In
Montenegro-Yugoslavia nasce la Divisione Garibaldi
I soldati italiani che decisero
di combattere al fianco dei partigiani yugoslavi:l'esperienza della
DIVISIONE Garibaldi raccontata dai presidenti dell'associazione
garibaldinaA.N.V.R.G
PREMESSA:trattasi
di relazioni
ANNITA Garibaldi Jallet il
24 ottobre 2013 e di Carlo Bortoletto alla
manifestazione antifascista
sulle foibe di Parma 10/2/2009
A.N.V.R.G.
ASSOCIAZIONE NAZIONALE VETERANI E REDUCI GARIBALDINI
GIUSEPPE
GARIBALDI
(Ente
Morale – D.P.R. 29-3-1952 N.1060) Largo Porta S.Pancrazio,
9 -00153 ROMA
Presidente
Annita
Garibaldi Jallet
Cari
amici,
Il
24 ottobre scorso, l'Associazione Nazionale Combattenti della guerra
di Liberazione, presieduta dall'Ambasciatore Alessandro Cortese de
Bosis, ha organizzato a Roma, presso il Comando della Guardia di
Finanza, un convegno dedicato alle Forze Armate italiane presenti
all'estero nel settembre 1943.
Chiamata
a trattare, in nome dell'ANVRG, della Divisione Garibaldi in
Jugoslavia, ho svolto la relazione che accludo, come contributo per la
celebrazione del prossimo 2 dicembre, 70° anniversario dei fatti
dolorosi e gloriosi.
Tra
gli altri nostri contributi, il nostro Ufficio Storico, il cui
direttore è il dott. Matteo Stefanori, ha prodotto, in collaborazione
con l'Istituto per la storia della Resistenza di Torino, un
documentario che in questi giorni possiamo vedere su Rai Storia.
Ricordiamo che a Porta San Pancrazio disponiamo di una ricca
biblioteca sull'argomento, di un archivio fotografico unico e di
grande bellezza, consultabile sul monitor della Sala del Museo
dedicata alla Divisione Garibaldi dove sono tutt’ora conservati
i cimeli.
Buon
2 dicembre a tutti, nel dovere della memoria e nella speranza della
pace. Annita Garibaldi
La
Divisione Italiana Partigiana Garibaldi
La
vicende di questa Divisione italiana che ha combattuto il nemico
nazista in Jugoslavia dal 1943 al 1945 a fianco dell’esercito
di liberazione di Tito sono ben conosciute, sia grazie all’opera
dell’Ufficio storico del Ministero della Difesa e della speciale
Commissione per lo studio della resistenza dei militari italiani
all’estero, sia grazie all’imponente memorialistica dei suoi
reduci, la quale continua ancora ad alimentare la nostra rivista
“Camicia Rossa”.
Nel
contesto politico internazionale degli anni 1945-46, la posizione dei
reduci fu guardata con sospetto. Si erano spenti i governi di
liberazione nazionale, non soffiava più il vento del nord. Iniziò
una nuova guerra, la guerra fredda. I reduci, restituiti per la
maggior parte alla vita civile, vollero allora rimanere uniti per
ricordare e decisero di formare una associazione.
L’Associazione
Nazionale Veterani Garibaldini era rinata nel 1944 nella Roma
liberata dalle ceneri delle associazioni disciolte nel 1926. Di queste
ormai vi erano in vita solo alcuni veterani, per ultimi quelli della
campagna delle Argonne del 1914. Aderirono ovviamente coloro che si
erano rifiutati di riconoscersi nella Federazione delle Associazioni
garibaldine nata nel novero del Regime. Ma a Roma non si sciolsero,
sotto varie spoglie, alcune associazioni che avevano fatto parte della
Federazione e le amnistie avrebbero rapidamente contribuito a
confondere gli ideali della nuova associazione con un generico
garibaldinismo. Si sarebbe arrivati, probabilmente, a breve termine ad
una fusione tra tutte le associazioni.
Roma,
12 novembre 2013
Tra
la fine del 1945 e i primi mesi del 1946, alcuni reduci della
Divisione Garibaldi si erano riuniti a Firenze con il proposito di
costituire una loro associazione. Ma poi si convinsero, sotto la
pressione di alcuni veterani, che era meglio confluire in massa nella
vecchia associazione, le cui tradizioni patriottiche e gli scopi
morali, fissati dallo statuto sociale, avevano bisogno
dell’apporto di chi vedeva nel nome di Garibaldi il legame tra
Risorgimento e Resistenza . L’Associazione, spostando il suo
baricentro a Firenze, si allontanò dai compromessi di Roma.
L’Associazione diventò “Veterani e Reduci “, e fu riconosciuta
come ente morale dal Ministero della Difesa nel 1952. Presieduta fino a
due anni or sono da esponenti della Divisione Garibaldi, ha conservato
gelosamente la sua identità, e la conserverà curandone musei e
biblioteche che illustrano tutte le campagne del Risorgimento, dalla
Repubblica Romana a Mentana, dall’Armata dei Vosgi alle Argonne,
alla Resistenza garibaldina militare e civile.
Perché
la Divisione Venezia, la Divisione Taurinense ed altri piccoli corpi
dispersi nel marasma della Jugoslavia dell’8 settembre 1943
scelsero il nome di Divisione Garibaldi ? La primogenitura della
scelta è controversa, ma sembra tuttavia che debba essere fatta
risalire allo stesso Tito che , credendo di dovere ricomporre
all’interno dell’esercito partigiano jugoslavo i pezzi sparsi
dell’Esercito italiano e di eserciti di altre nazionalità, doveva
dare loro un nome che fosse, da una parte, considerato al disopra
delle parti ma d’altra parte si riallacciasse al volontariato militare
internazionale della guerra di Spagna, al quale Tito stesso si
ispirava. D’altra parte, sostiene Stefano Gestro, uno degli storici
della Divisione Italiana più serio e documentato, “ il nome di
Garibaldi era conosciuto e venerato tra i jugoslavi e
specialmente tra i montenegrini fin dal 1862 perché reparti di
Garibaldini avevano combattuto in Jugoslavia durante le guerre di
insurrezione contro i turchi e gli austriaci”. E in ben altre
circostanze ancora, fino ai tempi moderni. 1 Ma
non vi era d’altra parte nome che più chiaramente potesse
significare il mantenimento della identità italiana da parte di quei
due corpi che avrebbero costituto l’unica Divisione, la
“Garibaldi”. Il fatto che ambedue, seppur distanti sul
territorio, abbiano optato per questo nome, lascia intendere che la
scelta sia stata suggerita dall’alto. Una scelta giusta che
voleva affermare non la fusione in una grande formazione
internazionale, ma la caratteristica di corpo italiano dei nuovi
“partigiani” della Divisione “ Venezia “ di Oxilia e della
Divisione “Taurinense” di Vivalda.
La
Divisione Garibaldi si costituisce il 2 dicembre 1943, ben 5 mesi, si
noti, dopo il 25 luglio, data della caduta del regime
mussoliniano. Al momento l’Italia sembra volere assicurare la
continuità dello Stato, con la presenza di un Re e di un governo, il
Governo Badoglio, che ha i crismi della legittimità. Questa
legittimità è assicurata , per gli Alleati, dal Governo del Re, che
oltretutto essendo rifugiato a sud, è sotto loro controllo. Ma in
Italia e tra i nostri reparti all’estero sono diverse
settimane, se non alcuni mesi, che si fanno tutte le ipotesi sul
futuro dell’alleanza germano- italiana, sapendo che questa, più di
ogni altra ragione, è la posta in gioco nel rovesciamento del regime
di Mussolini. Si parla di resa italiana, di sbarco anglo-americano. I
cetnici tentano di ricreare una struttura politico-militare con l’aiuto
degli occupanti tedeschi, i quali cercano di infiltrarsi nei territori
occupati dagli italiani prevedendo che presto gli italiani
potrebbero non essere più alleati.
Lo
storico Eric Gobetti ha coniato una formula efficace: gli italiani
ormai sono “alleati del nemico”, dice.2 La zona d’occupazione
italiana è come congelata, non vi si svolgono più rappresaglie. Ci
sono azioni sporadiche ma Gobetti parla di “ senso di abbandono
e di inutilità”. L’incertezza, la mancanza di disposizioni
precise, fa circolare un’aria di sconfitta che mina il morale
degli uomini. Mantenere la disciplina in queste condizioni è molto
difficile, benché arrivino messaggi che si vogliono stimolanti o
minacciosi dall’Italia. Il generale Roatta è capo di Stato maggiore
dell’Esercito. Non esita a fare fucilare 28 alpini che si sono
arresi senza eccessiva resistenza ai partigiani. I militari italiani
hanno perso le loro motivazione. E ben prima dell’8 settembre si
ritrovano privi di istruzioni. Questo spiega che il comportamento
sia diverso, secondo la posizione geografica dei corpi, e persino dei
singoli ufficiali. Per esempio, una Compagnia del Battaglione “Intra”,
capitano Piero Zavattaro Ardizzi , aggredito dai partigiani, ne uccide
uno e si prepara ad una azione a vasto raggio in collaborazione con i
tedeschi. L’azione è prevista, fortunatamente, solo per il 9
settembre. Altri come Pirzio Biroli, conosciuto per i massacri
compiuti sui partigiani, ma genero del Generale Von Hassel,
fucilato dopo l’attentato a Hitler guidato da Stauffenberg , riesce
ad arrivare in Italia e a Sud e si vede affidare dagli americani
compiti nell’Esercito alleato. Le poche notizie che arrivano della
situazione della patria contribuiscono alla confusione generale.
All’annuncio
dell’Armistizio i nostri corpi rimangono isolati. Quali sono le
soluzioni? Qualcuno fugge verso l’Italia, la famosa fuga verso
il mare; qualcuno, pochi elementi, si unisce ai nazisti, nei campi
tedeschi finiscono i prigionieri italiani fatti dagli stessi tedeschi.
Alcuni tentano di resistere ai tedeschi, rimanendo uniti, altri sono
persino abbandonati dai loro ufficiali, altri raggiungono i partigiani
dai primi di settembre. Lo sbandamento è prima di tutto morale, e
colpisce soprattutto ovviamente chi si ritrova in piccoli gruppi o
isolato.
Emblematico
il caso della Divisione “Venezia” che confluisce tutta intera
nell’Esercito partigiano, evitando perdite e sbandamenti.
I resti del Divisione “Taurinense” seguono poco dopo, ed altri
piccoli distaccamenti come la Divisione “Italia”. Gli ufficiali
stessi agiscono secondo coscienza, chi tentando di mantenere unita la
sua formazione, chi aderendo alla Repubblica di Salò.
Ma
quale era la situazione alla data dell’Armistizio? L’8 settembre,
il territorio della Slavia del Sud, comprendente il Montenegro, il
Sangiaccato e le Bocche di Cattaro, era presidiato dal XIV ( 14 )
Corpo d’Armata. Vi erano dislocati:
La
Divisione Alpina Taurinense ( generale Lorenzo Vivalda, poi
vicecomandante),
La Divisione di montagna Venezia ( generale G.B.Oxilia, poi comandante
)
La Divisione di fanteria Ferrara ( generale Antonio Franceschini ),
che si proclamò subito fascista e filo tedesca. La Divisione di
fanteria Emilia ( generale Ugo Buttà ).
Gli effettivi erano di 16.986 uomini, di cui 803 ufficiali e 1589
sott’ufficiali.
Il comandante generale di Corpo d’Armata Carlo Ravnich, ultimo
comandante della Garibaldi, così commenta:
“Tutti
gli altri (meno la Divisione Ferrara ) iniziarono la lotta con grande
entusiasmo e spirito di abnegazione, animati dalla ferma volontà
di resistere ad ogni costo ai nemici storici della Patria, spregiando
gli umilianti ordini che questa o quella fazione armata intendeva
imporre. ...Essi sentivano di dovere seguire solo la via stabilita dal
legittimo Governo d’Italia, anche se questo non era in grado di
scendere nei particolari... ( splendido eufemismo ). Tutti coloro che intrapresero
volontariamente l’eroica determinazione ebbero ben chiara la visione
delle avversità eccezionali che avrebbero incontrato in terra
straniera. “
Ravnich
definisce la zona “ povera di tutto fuorché di sassi”, gli
abitanti nemici tra di loro ma comunque nemici dello straniero, ed il
nemico spietato.
La
Divisione “Emilia” riesce ad accorparsi, altri gruppi sono
decimati. Il battaglione “Intra” segue una formazione nazionalista
jugoslava, accorgendosi troppo tardi che collabora con i tedeschi, ai
quali il battaglione “Aosta” si arrende l’8 ottobre.
Tra
l’ultima decade di settembre e la prima di ottobre del 1943, quando
nasce l’idea di collegarsi con i partigiani e di ripiegare verso
l’interno del territorio, in Bosnia, la “Taurinense” ha più di
400 morti, così come quasi 400 sono i morti della “Venezia”
e del battaglione di lavoratori. A questo si aggiunge una micidiale
epidemia di tifo petecchiale.
Questo
disastro dura per tutto ottobre 1943, alcuni aiuti cominciano a
pervenire nel mese di novembre, ma insufficienti. Ci si deve
spostare di continuo, nel freddo e nella fame, e combattendo. Dall’8
settembre al 2 dicembre 1943 si compie il passaggio delle Divisioni
suddette nell’Esercito di Liberazione Jugoslavo. Il 2 dicembre, a
Pljevlja ( Plevia) le due brigate della Divisione
“Taurinense” e le sei brigate della Divisione “Venezia”, per
rafforzarsi e razionalizzare l’uso del materiale, si uniscono nella
Divisione Italiana partigiana Garibaldi. Si costituiscono tre brigate,
e 10 battaglioni di lavoratori. La Brigata “Aosta “ed altri
gruppi rimangono con la loro identità affiancati alla Divisione
Garibaldi.
Il
battesimo del fuoco è del 5 dicembre, a Pljevlja ( Plevia). Le
perdite sono di 560 uomini, molti sono i prigionieri, soprattutto tra
i lavoratori che non sono armati. Altri morti e feriti in quei giorni
nella cosiddetta “ Tomba degli italiani “. Molti dubbi rimangono
sul comportamento dei partigiani: furono avvertiti dell’avanzata
tedesca, e si ritirarono in tempo, lasciando gli italiani senza
le informazioni utili. Difficile non pensare ad un terribile strascico
del periodo precedente, alle sofferenze subite dai partigiani per mano
italiana.
Se
vi furono molte manifestazioni di solidarietà del popolo jugoslavo
verso gli italiani che combattevano con i partigiani, sentimenti che
appaiono soprattutto nei numerosi diari e testimonianze dei
sopravissuti, rimane vero che i partigiani non ebbero sempre come
principale preoccupazione la lotta ai tedeschi, alla quale esposero
volentieri gli italiani. Gli jugoslavi erano dilaniati da lotte
interne e l’occupazione del territorio dalle varie frazioni
prevaleva spesso sul fronte comune contro il nemico, come si vide alla
fine della guerra quando l’Armata tedesca si ripiego abbastanza
indisturbata dal sud della Jugoslavia verso l’Austria perché
l’Esercito jugoslavo si muoveva verso la Venezia Giulia e
l’Istria.
“Anche
questa azione rappresentava in campo internazionale il corollario
della prevalente concezione politica della guerra partigiana, per
cui, ancor prima di avere totalmente sconfitto il nemico, occorreva
mettere le mani sui pegni che la futura vittoria alleata doveva
assicurare. “3 scrivono
Viazzi e Taddia.
I combattimenti dureranno per dodici mesi ininterrotti, su tutto il
territorio della Bosnia, con ingenti perdite, talvolta di corpi
interi. Si lotta contro cetnici, ustascia, musulmani e truppe
bulgare,
oltre che tedeschi. La Divisione riesce ad inquadrare altri italiani
rimasti sbandati, vive e soffre ma unita, sentendosi investitasi del
ruolo di rappresentare l’Italia. Il cappellano militare
benvoluto da tutti, la solidarietà tra questi uomini è esemplare, va
oltre i loro personali convincimenti politici e religiosi, e la
disciplina eccellente, considerato il contesto.
La
1° Brigata è a Sarajevo quando arriva inaspettato, nel febbraio
1945, l’ordine di riunione a Ragusa per il rimpatrio, previsto per
il 7 marzo. Dall’8 marzo partirono a scaglioni vari gruppi composti
complessivamente di 3913 tra ufficiali, sott’ufficiali e truppa, poi
5870 sbandati tra cui 209 mogli e figli.
Al
dolore della sofferenza di tutti, delle tante morti, si aggiunge
l’amarezza del “dopo “. Per capire l’accaduto alla Divisione
Garibaldi dopo il rientro, concluso l’8marzo 1945, bisogna partire
dal messaggio che Umberto di Savoia manda a Taranto, dove sono accolti
i rientranti, al col. Ravnich il 16 marzo 1945:
“Ho
stamane nei vostri soldati molto ammirato magnifico aspetto veramente
degno loro eroico comportamento. A Lei, ufficiali militari tutti
della Divisione Garibaldi rinnovo il mio saluto affettuoso e i miei
migliori voti augurali. Umberto di Savoia. “
Il
magnifico aspetto... dei vivi naturalmente. .. E’ vero che nel
quadro generale della guerra, gli eventi della Jugoslavia possono
non sembrare avere avuto un grande rilievo. La “ Garibaldi “ non
ha avuto molto risaltonelle rievocazioni storiche e nelle
celebrazioni: i reduci se ne sono sempre lamentati.
Se
al ritorno i caduti accertati sono 3556, i dispersi sono circa 5000.
Si raggiunge dunque, decorsi i tempi della speranza, il numero di 8500
caduti.
Anche
nell’opera di Viazzi e Taddia voluta dalla Commissione presieduta
dal Generale Elio Muraka, talvolta severa nel denunciare una
autogiustificazione e una autocelebrazione dei reduci, si riconosce
che “ dal punto di vista storico, può essere di grande
efficacia morale riscontrare che nel crollo generale al momento
dell’armistizio ci sono state delle strutture che hanno retto e che,
pur tra insidie di ogni genere, hanno tenuto fede all’obiettivo
primario di salvaguardare il proprio onore militare.”
Per
l’onore d’Italia, infatti, avevano combattuto questi soldati, e
nella posizione presa accanto ai partigiani jugoslavi avevano cercato
la coerenza dell’impostazione antitedesca che l’armistizio
imponeva ma che nell’incertezza della sorte della guerra, e di
notizie precise, nessuno si sentiva di sostenere come la scelta “
giusta “ moralmente e, si sperava, vincente militarmente.4 L’onore
consisteva di avere potuto finalmente combattere il fascismo, che si
fosse poi monarchici, repubblicani, comunisti, liberali,
cattolici o laici, non importava. Chi non lo voleva combattere sul
terreno se ne era andato, almeno questo era chiaro. E l’avere
al momento del ritorno riposto sui laceri vestiti dell’armata
“stracciona” le stellette e le insegno dell’Esercito italiano
diceva chiaramente la certezza di avere combattuto nella fedeltà
all’impegno iniziale, che non era diretto al Regime vigente bensì
alla patria. 5
Al
momento del ritorno, i reduci della Divisione Garibaldi sono alquanto
imbarazzanti. E’ vero che sbarcano a Brindisi e sono mandati al
deposito di Taranto, ma sopra la linea gotica soffia ancora il
“vento del nord”, e diversi vogliono combattere ancora. I
tempi del loro reinserimento saranno lunghi e faranno si che non lo
potranno fare. Altri saranno mandati in congedo.
Si
sta delineando il nuovo equilibrio del mondo. In Europa le zone
d’influenza sono ormai chiare, e la Jugoslavia è zona molto
sensibile. Tuttavia considerare, con Viazzi e Taddia, quei 18 mesi “una
catabasi, un ritorno durato troppo a lungo “ lascia veramente
sgomenti. Si sarebbe dato una colorazione politica “ negli ultimi
mesi ad una vicenda rimasta fino allora nei cannoni tradizionali di
una formazione militare, sorpresa all’estero dall’armistizio, che
aveva inteso salvaguardare il proprio onore e la propria dignità
respingendo umilianti condizioni di resa.” Ma avrebbero combattuto
con tanto slancio soldati che miravano solo al ritorno in patria, non
lottavano loro anche per la democrazia e per la libertà, che uniti
nella lotta portavano ciascuno in cuore con il colore della propria
coscienza politica ?
In
quanto concerne la Divisione Garibaldi, ci fu un notevole divario tra
la storia ufficiale e la memoria dei singoli. La memorialistica ha
tramandato una storia molto sofferta e mai dimenticata. Stefano Gestro
fu forse il migliore nello scrivere, ma era anche un poeta, e i
Quaderni di camicia rossa hanno pubblicato le sue poesie come tante
altre testimonianze: “Crocefisse nel sangue, dissolte nella
neve, disperse nel vento, erano esse le storie che dovevamo raccontare
e che mai avrebbero fatto la verità della storia ufficiale”.
Ci
furono opere di notevole spessore, come quella di Giacomo Scotti , che
sembrano un grido di dolore, composto, da soldato, una
testimonianza dettagliata, inconfutabile anche su chi raggiunge i
partigiani prima dell’8 settembre. Li chiamarono ” disertori “.
Rileggiamo “ il verde Lim “, di Eugenio Lisserre, e tanti altri.
Ognuno seguì la sua coscienza e la sua sensibilità.
L’archivio del Generale Ravnich, monarchico , fu da lui consegnato
alla Fondazione Maria José di Savoia, ed è irraggiungibile. Non può
non venire il sospetto che l’ultimo comandate della Divisione Garibaldi
non avesse come prima preoccupazione la memoria della lotta partigiana
dei nostri soldati.
Ci
sono tanti reduci che non vollero mai più parlare della loro
esperienza, e rientrarono nella vita civile come erano entrati ,
di leva, nell’Esercito. L’Associazione è servita a dare voce ai
garibaldini moderni, per non dimenticare e tracciare una linea retta
tra i valori Risorgimento e della Resistenza. Un indirizzo lo diede il
nome di Garibaldi: strumentalizzato per un ventennio, fu portato sul
campo di battaglia a ritrovare se stesso, restituendolo alla
democrazia.
24
ottobre 2013.
1 S.GESTRO La Divisione italiana partigiana Garibaldi.
Mursia, 1981-1982.
2 E.GOBETTI Alleati
del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia 1941-1943.
Laterza, Bari, 2013.
3 L.VIAZZI L.TADDIA La
resistenza dei militari italiani all’estero La Divisione “
Garibaldi “ Rivista Militare 1994
4 L.MANNUCCI Per
l’onore d’Italia. ANVRG 1985,1994.
5 GESTRO
S. L’armata Stracciona.
L’epopea della Divisione Garibaldi in Montenegro (1943-1945). Regione Toscana. 1976.
INTRODUZIONE
A nome dell´A.N.V.R.G., Associazione Nazionale Veterani e Reduci
Garibaldini, che ho l´onore di presiedere, un cordiale e sentito
saluto a tutti voi presenti a questo convegno.
Ringrazio il Comitato Antifascista per il gradito invito che ho
accettato molto volentieri, anche perché quando si tratta di
antifascismo mi trovo in casa mia.
Vi chiederete forse come mai sono diventato antifascista a quasi 9
anni di età? Vi dirò che, nel lontano 1929, quando mio padre era uno
dei massimi dirigenti del Partito Socialista nel VCO- Verbano, Cusio,
Ossola, certamente in seguito ad una delazione ci fu una perquisizione
in casa nostra dove trovarono del materiale, giornali, riviste,
tessere, locandine ed altro che requisirono. Mio padre, tornando dal
lavoro, corse in caserma - allora c´erano le guardie regie - e cosa
successe è facile immaginarlo.
Fu arrestato e portato alle carceri di Pallanza (Verbania).
Per interessamento di personalità locali venne rilasciato dopo una
settimana in condizioni pietose. Era stato picchiato e torturato ma
lui non aveva aperto bocca. Le sue condizioni peggiorarono giorno per
giorno e il 25 aprile 1929 morì: aveva 39 anni.
Scusate questo sfogo personale ma la figura e la memoria di mio padre
mi hanno accompagnato, ed ancora oggi mi accompagnano, nella mia vita.
Prima di entrare nel vivo della mia testimonianza vi invito ad
osservare con me un momento di silenzio in ricordo di tutti gli
antifascisti di allora e dei caduti e scomparsi in questo lungo
periodo trascorso.
PERCHE' DIVISIONE GARIBALDI
L´associazione che io rappresento per vostra conoscenza è stata
fondata da Giuseppe Garibaldi nel 1871 come società di Mutuo Soccorso
fra garibaldini, ed i suoi aderenti confluirono, nel 1898, nella
Società Reduci dalle Patrie Battaglie, e in tale società rimasero
iscritti sino al 1924, epoca in cui, per volere di Ezio Garibaldi,
nipote dell´eroe, si addivenne alla costituzione della Federazione
Italiana Volontari Garibaldini, trasformatasi nel 1936 in Legione
Garibaldina.
Caduto il Fascismo, nel 1943 alcuni volenterosi presero l´iniziativa
di ricostituire il vecchio sodalizio dando vita, il 15 luglio 1944,
alla ANVRG che nel 1946 accolse nelle sue fila noi reduci della
Divisione Italiana Partigiana Garibaldi, ritenuti degni di continuarne
gli ideali.
Anche se il nome di Garibaldi fu suggerito dal Comando Jugoslavo ciò
torna a suo onore e a nostro orgoglio perché rappresenta il
riconoscimento di un simbolo che non era solo italiano ma europeo e
mondiale, e vorrei ancora evidenziare che la Divisione Garibaldi
rimase sempre unita all´esercito italiano alle dipendenze tattiche ed
operative dell´Esercito Popolare Liberatore Jugoslavo.
Appena fu possibile, furono ripresi e mantenuti i collegamenti con il
Comando Supremo Italiano del sud perché gli uomini, volontariamente,
così decisero con le loro stellette, con i loro gradi e con i
copricapi dell´arma di loro competenza.
Questa fu e resta una peculiarità che noi reduci vantiamo e che
dovrebbe essere tenuta ufficialmente in maggiore considerazione.
Teatro principale delle nostre gesta fu la regione denominata
Montenegro, una regione estremamente affascinante per le sue bellezze
naturali ma terra quanto mai inospitale perché impervia, con scarse
vie di comunicazione, articolata in una serie di massicci alpini di
media e grande altezza ma aridi, mancanti di vegetazione, di natura
carsica, selvaggia e priva di risorse. Nell´entroterra, modeste
ricchezze naturali soprattutto agricole, ricca di contrasti per
l´alternanza di territori relativamente fertili con zone dove l´acqua
non esisteva se non per le precipitazioni atmosferiche. La vicenda
della Jugoslavia ci fa spesso discutere perché i pareri si dividono
ed
emergono disparità di valutazione anche per i problemi, se così si
possono chiamare, che toccano da vicino noi combattenti che abbiamo
trascorso anni in quelle terre maturando poi la scelta partigiana.
La stampa italiana ha scritto che era ovvio finisse in questo modo
trattandosi di popoli costretti a vivere insieme da una unificazione
imposta dall´esterno e mantenuta grazie a regimi illiberali. Questo
forse può essere vero solo in minima parte, perché tra serbi e
croati
c´è un certo comune sentire testimoniato dall´unità della lingua,
il
serbo-croato, che si parla allo stesso modo pur scrivendosi con due
alfabeti diversi, il latino per i croati ed il cirillico per i serbi,
ed è proprio la costruzione di una lingua comune che dimostra come vi
sia stato nei tempi un ricongiungimento reciproco ed uno sforzo di
assimilazione; infatti Jugoslavia significa esattamente "Terra
degli
slavi del sud", il che indica la presenza di più popoli.
Tra serbi e croati resta invece diversa la scelta religiosa: ortodossa
per i primi, cattolica per i secondi, ma sempre all´interno della
comune fede cristiana.
Ecco come dopo la morte di Tito è venuto meno l´unico elemento
unitario dell´intero paese.
A qualcuno può aver dato fastidio la nostra alleanza di allora con i
"comunisti" ma, considerando i fatti, la scelta fu giusta
perché le
forze partigiane erano le più affidabili e combattevano i
nazifascisti, cosa che non facevano i cetnici e gli ustascia che erano
le altre formazioni.
Gli ustascia, per chiarire, erano da sempre stati alleati dei tedeschi
ed il loro capo era il famoso Ante Pavelich, fondatore dello stato
indipendente di Croazia nel 1941.
A dimostrazione del fanatismo di quella gente voglio leggervi una
invocazione blasfema pubblicata il 27 aprile 1941 dal giornale
«Nedelia», diceva: «Dio che regge i destini della nazione governa i
cuori dei re, ci ha dato Ante Pavelich ed ha spinto Adolfo Hitler capo
di un popolo amico ed alleato ad impiegare le sue truppe per
distruggere i nostri oppressori serbi e consentire di fondare uno
stato indipendente di Croazia. Sia gloria a Dio! Vada la nostra
gratitudine ad Adolfo Hitler e la nostra incondizionata lealtà ad
Ante
Pavelich nostro condottiero». No comment.
I cetnici, da Ceta, compagnia militare - cetnico significa
guerrigliero, ribelle, un termine con radici lontane che si richiama
alle lotte di liberazione sostenute dai serbi contro i turchi - un
movimento facente capo a Mihailovich di ispirazione monarchica e filo
inglese.
A sentire il governo jugoslavo in esilio il movimento cetnico sembrava
dovesse rappresentare tutta la resistenza nel paese occupato.
La realtà era ben diversa perché i successi militari conseguiti dai
partigiani jugoslavi misero subito in risalto l´opera del vero
movimento di liberazione sostenuto dal consenso popolare e guidato da
Tito. D´altra parte la conoscenza reale della situazione era così
scarsa da far pensare che i due movimenti potessero gradualmente
giungere ad una fusione, cosa che non avvenne mai.
Screditato agli occhi del popolo jugoslavo dalla sua politica sempre
più equivoca, il movimento cominciò ad incontrare diffidenza anche
presso gli alleati.
Verso la fine del 1941 l´Unione Sovietica chiese ufficialmente al
governo britannico di cessare i rifornimenti, per cui i cetnici furono
abbandonati al loro destino. Giurarono, e lo fecero, di lasciarsi
crescere la barba - simbolo degli eroi - fino al ritorno della
monarchia, che però non ritornò.
Di Mihailovich si sa che fu catturato nel marzo 1946, fu processato
come criminale di guerra e fucilato il 17 luglio, aveva 53 anni.
Un altro fatto per il quale fummo spesso ignorati è quello della
camicia rossa che fa parte della divisa garibaldina in dotazione ai
soci effettivi della nostra associazione, che ovviamente non ha
riferimenti politici, camicia rossa che portiamo nelle manifestazioni
con fazzoletto bianco al collo, la fascia azzurra alla cintura ed il
copricapo di appartenenza al corpo, nel mio caso il cappello alpino.
Si narra che Garibaldi, nel suo peregrinare, capitò un giorno in un
paese dove c´erano alcune case abbandonate che perlustrò.
In una di quelle stanze trovò numerose pezze di tela di colore rosso
abbandonate dai beccai, i macellai di allora. Requisì tutto il
materiale e con quello fece confezionare delle camicie per i suoi
garibaldini, da qui l´origine della camicia rossa.
E dopo queste doverose premesse entro nel merito del mio intervento
pregandovi di seguirmi a ritroso nel tempo per meglio aprire la
dinamica della nostra epopea garibaldina perché su questa sarà
accentrata la mia testimonianza.
Eravamo stati inviati a presidiare come dicevano in seguito alle lotte
sanguinose che si erano scatenate nel territorio fin dal 1941, e già
allora nacque il movimento partigiano di Tito.
Molti si chiederanno il come ed il perché. Ecco la risposta.
Nel marzo 1941 a Vienna i dirigenti jugoslavi di allora sottoscrissero
un patto tripartito legando così il destino del loro popolo a quello
della Germania e dell´Italia. La notizia del grave passo fece
esplodere l´indignazione popolare; operai, contadini, soldati ed
intellettuali organizzarono pubbliche assemblee, comizi e
manifestazioni di piazza con le quali si chiedeva l´uscita dal
tripartito. Fu così che il 27 marzo 1941 un gruppo di ufficiali
rovesciò il governo, sciolse il consiglio, cacciò il reggente Paolo
e
mise sul trono Pietro II° dichiarandolo maggiorenne a diciott´anni e
chiese la neutralità della Jugoslavia.
Inferocito da quella che considerava insubordinazione, Hitler rinviò
di 5 settimane l´aggressione alla Russia e senza dichiarazione di
guerra invase la Jugoslavia ordinando a Mussolini, alla Bulgaria e
alla Ungheria di fare altrettanto, partendo dalle rispettive
frontiere. Attaccata da tutte le parti, selvaggiamente bombardata
dall´aviazione tedesca, la Jugoslavia potè resistere soli pochi
giorni. Il re ed il governo fuggirono all´estero. Il 18 aprile 1941
l´esercito capitolò e gli invasori cominciarono tranquillamente a
spartirsi i territori. Fu creato uno stato indipendente croato
capeggiato da Ante Pavelich. La parte meridionale della Slovenia, la
Dalmazia ed altre regioni costiere vennero occupate dalle truppe
italiane che cercarono di appacificare con la repressione le
popolazioni della costa adriatica.
L´unica forza politica capace di assumere l´iniziativa fu il partito
socialcomunista jugoslavo che subito emerse nominando Tito
responsabile del Comitato Militare Nazionale, che immediatamente
stipulò un accordo di collaborazione con l´ala democratica del
partito
dei contadini serbi formando il Fronte di Liberazione Popolare della
Jugoslavia.
Il 7 luglio 1941 si ebbero in Serbia i primi scontri tra reparti
tedeschi e forze partigiane.
Il Movimento Partigiano attrasse a sé un gran numero di donne che
impugnarono con orgoglio quelle armi prima riservate solo agli uomini.
Armate di mitra e di moschetto, addette alle infermerie o ai
quadrupedi diedero innumerevoli prove di tenacia, di maturità e di
valore talvolta superando gli uomini.
La lotta armata contro le truppe di occupazione ed i collaborazionisti
si coniugò alla lotta politica contro forze conservatrici e
monarchiche che continuavano a svolgere nel paese un ruolo negativo
mantenendosi su posizioni di attendismo ed ostacolando lo sviluppo
dell´azione anche quando tutte le energie popolari erano impegnate.
Nostro territorio di operazione, come già dissi, fu principalmente il
Montenegro e la storia incomincia nel 1942, quando laggiù fui
dislocato con il Battaglione Intra del IV° Reggimento Alpini
Divisione
Taurinense.
Ci eravamo insediati in quell´ambiente tentando di capire la
mentalità, gli umori, gli usi ed i costumi di quel popolo.
Nei nostri confronti la gente dimostrava rispetto e tolleranza in
quanto capiva che eravamo militari e come tali subordinati agli ordini
superiori.
Ci chiamavano i soldati della Regina Elena.
Purtroppo non tutti la pensavano allo stesso modo e gli scontri si
verificavano fino ad assumere, talvolta caratteri di violenza con
episodi indescrivibili da una parte e dall´altra, soprattutto
vendette
affettive, personali, che inasprivano sempre più gli animi oltre il
limite della possibilità.
Morti, feriti, prigionieri, fucilazioni in un marasma di ordini e
contrordini, di decisioni e ritrattazioni, con continui spostamenti e
rastrellamenti che fiaccavano gli uomini fisicamente e moralmente.
Bisognerebbe condurre uno studio meticoloso e completo per capire il
senso delle lotte interne, politiche, religiose e sociali (come sta
avvenendo ancora oggi) che avevano luogo già a quel tempo.
Non esisteva un vero fronte e conseguentemente dovevamo correre a
destra e a sinistra per sedare scontri che spesse volte nulla avevano
di umano per la ferocia con la quale erano condotti.
I partigiani attaccavano le nostre autocolonne per rifornirsi di armi
e di cibo, attaccavano addirittura nostri presidi ed i combattimenti
si facevano sempre più frequenti con morti e feriti che aumentavano
di
giorno in giorno.
La tirannia del tempo e la dinamica stessa di quanto vorrei raccontare
mi impediscono una dettagliata illustrazione, comunque ho dovuto fare
queste premesse perché possiate seguirmi in quelli che saranno gli
avvenimenti di poi. Tralascio anche fatti e prodezze per non far torto
a vivi e morti pur considerandone l´importanza.
In parecchie occasioni era apparso evidente, come avevamo potuto
constatare nelle truppe, specie alpine, che una componente del
sentimento era chiaramente l´antifascismo, e la dimostrazione
inequivocabile apparve quando via radio giunse la notizia del colpo di
stato con la caduta del governo fascista di Mussolini.
Le dimostrazioni che ne seguirono furono le più realistiche a
testimoniare che non esistevano rimpianti!
Nessuno certamente pensava al secondo evento che ci attendeva pur se
le considerazioni erano indirizzate al futuro.
Le domande erano queste: "Come reagiranno i nostri alleati? Che
posizioni avrebbero assunto? Saremmo rientrati in Italia? Avremmo
concordato nuove alleanze?" La risposta a queste domande arrivò
la
sera del 8 settembre quando fummo informati che l´Italia aveva
chiesto
l´armistizio.
La prima reazione fu il caso.
Spari a destra e a sinistra, assembramenti ed indisciplinate reazioni,
sbandamenti e incoerenti manifestazioni che per fortuna durarono poco.
E quando si riuscì a riprendere in mano la situazione e a calmare i
bollenti spiriti riunimmo gli uomini per dir loro con chiarezza che il
momento era quanto mai critico, e che sarebbe stato necessario tenere
gli occhi ben aperti, in attesa di disposizioni atte a maggiormente
chiarire la situazione. All´alba del giorno dopo, 9 settembre, sulla
città di Niksic, dove eravamo accampati, sede del comando della
nostra
Divisione Taurinense agli ordini del Gen. Lorenzo Vivalda, aerei
tedeschi effettuarono un lancio di manifestini indirizzati al popolo
montenegrino con i quali evidenziavano il tradimento del Governo
Badoglio e la stima per la popolazione invitandola ad unirsi alle
forze germaniche per combattere il bolscevismo ed i venduti
capitalisti d´America e Inghilterra.
Il finale diceva testualmente: «Viva il Montenegro libero, a morte i
traditori italiani».
La risposta della popolazione fu quale si prevedeva. Vennero
accentuate le manifestazioni di cordialità e simpatia nei nostri
confronti specie quando si seppe, alle ore 8,15 del mattino, che la
sesta batteria dell´Artiglieria Alpina del Gruppo Aosta aveva aperto
il fuoco con i suoi 5 cannoni su una colona motorizzata tedesca,
indirizzata verso Niksic, costringendola a fermarsi e a trattare,
tutto questo senza attendere ordine alcuno.
E questo atto mi pare suoni a conferma di quanto ho voluto anticipare
in merito allo spirito delle truppe alpine.
Tentennarono i comandi superiori e divamparono le polemiche sui
differenti punti di vista e sulle diverse valutazioni della
situazione, ma va ricordato che subito emerse in conseguenza lo stato
d´animo e la fermezza dei soldati che furono unanimi nella volontà
di
non cedere le armi ad alcuno.
Continuando nella mia testimonianza voglio ricordare l´illusoria
speranza di un pronto intervento delle forze alleate nei Balcani che
tenne impaniate le decisioni, per cui le truppe tedesche ebbero
la
possibilità di occupare i punti chiave dell´unica breve via per
rientrare, la via del mare.
E sarebbe il caso di parlare anche del sig. Vittorio Emanuele III°,
nonchè di un certo maresciallo Badoglio, ma già l´ho fatto al
famoso
Convegno di Palazzo Ottolenghi in Asti e non voglio ripetermi.
Furono fatti dei tentativi per raggiungere la zona di Cattaro ma non
fu possibile per l´intervento dell´aviazione tedesca e l´arrivo di
rinforzi con artiglieria e mortai.
Nella notte tra il 18/19 settembre ripiegammo verso l´interno,
rinunciando alla via del mare e constatammo che a noi si erano
aggregati: bersaglieri, carabinieri, marinai, autieri, genieri, e
finanzieri di stanza nella zona di Niksic, volontariamente decisi a
seguirci in quella che sarebbe stata la lotta partigiana.
Nel frattempo un´altra unità, la Divisione Fanteria Venezia, al
comando del Gen. Gianbattista Oxilia, stava dibattendo l´intricata
matassa nella zona di Berane, a contatto con i Cetnici nazionalisti,
che chiedevano collaborazione nel tentativo di schiacciare il
movimento partigiano di Tito, e questa tergiversazione assicurò, in
quel frangente, l´integrità e la compattezza dei reparti
indipendenti.
Nei giorni seguenti scoccò la scintilla di una possibile intesa con
le
forze partigiane che si concluse con un accordo, franco chiaro e
leale, nel giro di poco tempo.
Il 2 dicembre 1943 con la fusione delle due Divisioni Taurinense e
Venezia, si costituì la Divisione Italiana Partigiana Garibaldi,
forte
di circa 20000 uomini, alle dipendenze operative dell´Esercito
Popolare di Liberazione Jugoslavo ed al comando del gen. Gb. Oxilia.
Il rapporto fra quadri e militari come ho già accennato, ma voglio
ribadire perché su questo argomento furono fatte e scritte
affermazioni errate, rimase del tutto inalterato e la disciplina non
ebbe mutamenti di sorta.
Ambientarsi nella nuova tattica e nella diversa strategia della
guerriglia non fu cosa facile.
Eravamo cresciuti alla scuola militare nostra che considerava la
ritirata un disonore ed invece dovemmo imparare a nostre spese un
nuovo sistema di combattere fatto di attacchi improvvisi e veloci,
operazioni di sganciamento che richiedevano: prontezza di riflessi,
temperamento, sangue freddo e gambe buone.
Col tempo stabilimmo con i compagni jugoslavi dei vincoli quasi
fraterni consacrati dal sangue versato in comune combattendo una lotta
aspra e durissima. Affrontammo il tremendo inverno senza soste,
laceri, scalzi, privi di indumenti adeguati, di conforto morale e
materiale, in lotta continua non solo con il nemico ma anche con le
insidie della natura ed il pericolo delle epidemie, sfidando la
potenza bellica nazi-fascista. E voglio sottolineare questo stato di
cose riportando un brano che ho stralciato da un libro di Stefano
Gestro, uff. garibaldino della Div. Venezia, intitolato «L´armata
stracciona».
Scrive l´autore: «Ad un certo punto un alpino si rivolge al suo
comandante raccomandandosi in modo particolare perché gli fosse
trovato un paio di scarpe sapendo degli avvenuti aereolanci. Aveva i
piedi avvolti in una pelle di pecora e, per dimostrare quanto la cosa
fosse per lui necessaria ed indispensabile, premette un piede sul
suolo innevato; tutta la neve attorno si colorò di rosso del sangue
che usciva dal piede piagato». Penso sia inopportuno fare dei
commenti.
Un´altra circostanza penso meriti di essere segnalata: dopo furiosi
combattimenti avvenuti in una zona, reparti nostri ritornati sul posto
potevano constatare, nella pietosa incombenza di riesumare delle
salme, che più di 50 morti risultavano colpiti alla nuca, mai noi
mai,
e dico mai, nel periodo della guerra partigiana passammo per le armi
feriti tedeschi.
Il nuovo organico della Divisione formatosi in Brigate creò file di
uomini esuberanti, che furono assegnati ai battaglioni lavoratori,
alle dipendenze di un comando retrovie la cui denominazione non era
certo pertinente data la natura e la caratteristica della guerra
partigiana che non conosceva retrovie.
Verso la fine del gennaio 1944, la I^ e III^ Brigata nostra furono
destinate a compiere una speciale missione in Bosnia. La III^ Brigata
comandata dal Maggiore degli Alpini, Spirito Reineri, per i continui
attacchi di tedeschi, Cetnici ed Ustascia, e falcidiata dal tifo
esantematico, perdette 600 uomini e si sacrificò poi interamente in
un
ultimo combattimento. Di essa rimasero soltanto 60 superstiti che
poterono unirsi ad un reparto jugoslavo.
Anche la II^ Brigata affrontò dure vicissitudini ma potè reputarsi
più
fortunata in quanto 240 dei suoi combattenti su 600 rientrarono alla
base.
Col tempo affrontammo anche problemi di carattere politico con
l´inserimento di commissari a fianco di comandanti di reparto, i
corsi
antifascisti e le scuole di educazione politica, alle quali
parteciparono nostri graduati e sottufficiali scelti nelle varie
brigate.
Resistemmo 18 lunghi mesi ad ogni sorta di fatica e sacrifici pagando
un pesante scotto di morti, feriti, dispersi e prigionieri.
Di 20000 uomini, 400 circa furono i morti accertati, più di 7000 i
dispersi, 2500 i rimpatriati per ferite e malattie, moltissimi, circa
4500, i rientrati dai campi di concentramento, ed in 3800 tornammo in
patria via mare nel marzo del 1945.
Chi non ha vissuto quegli avvenimenti non potrà mai rendersi conto di
ciò che è avvenuto, in quanto tutto può sembrare inverosimile ed al
di
sopra di ogni umana possibilità, purtroppo si tratta invece di una
cruda, eroica e sovrumana realtà volontariamente scelta ed
intensamente sofferta.
So di essermi dilungato; mi sono lasciato trasportare dall´onda dei
ricordi e vi chiedo scusa ma ho dovuto farlo perché le gloriose gesta
della Div. Ital. Part. Garibaldi devono essere conosciute, divulgate
ed inserite nella storia, la storia che hanno scritto col sangue i
nostri 9000 caduti.
Una parte, una buona parte delle nuove generazioni non riesce a
rendersi pienamente conto dei valori ideali della Resistenza perché
ignora il passato dittatoriale fascista ed il prezzo pagato dalle
generazioni di allora e dalle nostre per la conquista della libertà.
Per questo è più che mai necessario insistere per rendere operante e
fattivo l´obbligo di insegnare, in tutte le scuole, di ogni ordine e
grado, la storia del Secondo Risorgimento.
Di fronte alla realtà di un´Europa unita è tempo di dare uno sbocco
concreto e pratico ad un futuro sul quale è doveroso concentrare
tutta
la forza e l´influenza necessaria per la continuazione dei nostri
ideali.
Comunque per concludere è a voi giovani che mi rivolgo per dirvi che
furono gli uomini della Resistenza con le stellette o senza,
all´estero o in patria a presentare al mondo l´Italia che risorgeva
dalle macerie del fascismo. Non dimenticatelo mai e non dimenticate
che i valori della Resistenza, specie con i tempi che corrono, possono
ancora far ritrovare una unità d´azione, al servizio della
collettività. Questo lo scopo per cui noi vogliamo sopravvivere. E
con
questa speranza mi congedo ringraziandovi per avermi ascoltato.
Carlo
Bortoletto
altri link http://www.cnj.it/partigiani/garibaldi_scotti.htm#oxilia
http://www.storiastoriepn.it/blog/wp-content/uploads//La-Divisione-Italia-Partigiana-Garibaldi.pdf
http://it.wikipedia.org/wiki/Divisione_italiana_partigiana_%22Garibaldi%22_(Montenegro)
http://www.raistoria.rai.it/articoli/la-divisione-garibaldi-una-memoria-scomoda/23410/default.aspx
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