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Afghanistan: la guerra perduta
dagli USA e dalla NATO. Ovvero quando la demografia sconfisse droni e bombe
intelligenti… Il non politicamente corretto di Antonio Camuso Qualche giorno fa partecipando a
un’assemblea di realtà impegnate sia nel campo delle lotte ambientali
che in quelle di solidarietà internazionalista, accennavo come la svolta
in corso nella guerra in Afghanistan fosse l’esempio più evidente su
come oggi le soluzioni militari di crisi che hanno come fondamento anche i
problemi demografici, siano perdenti sul lungo periodo. La Nato nell’assemblea di
Washigton di metà 1999, appena conclusa la guerra contro la Serbia
affermava di proporsi coem l’unico l’attore vincente nella soluzione
delle crisi mondiali e due anni dopo, con l’11 settembre era chiamata
alle armi in un conflitto ventennale, quello dell’Afghanistan.
Oggi il ritiro degli USA e dei loro alleati NATO, mentre i talebani
riconquistano in pochi giorni l’Afghanistan, ci riporta indietro a quel
lontano 1975 e alla fuga precipitosa dal Vietnam. In queste ultime ore i talebani
affermano di aver conquistato più territorio di quello che occupavano
venti anni fa prima dell’intervento USA e NATO del 2001. Con questa
notizia le immagini edulcorate di bambine che si toglievano il burqa, che
andavano a scuola a imparare a leggere a scrivere e addittura a crearsi
un’attività lavorativa indipendente grazie all’impegno di tante
pietose ONG e organismi umanitari, ebbene su tutto ciò sta calando il
sipario senza che nessuno tiri fuori una lacrima, perché in altre parti
del mondo si piange o per il fumo degli incendi o per i morti da Covid in
crescita. Che cosa ha determinato negli
strateghi politico-militari occidentali a partire di quelli del Pentagono
ad affrettare il ritiro delle truppe? Semplicemente la convinzione che
l’Afghanistan è un paese perduto, nel senso che condizioni
politco-militari quali quelle di venti anni fa oggi sono irripetibili (es:
impossibilità degli Stati europei a contribuire con altri soldi, uomini e
risorse su un teatro così lontano, senza dover chiedere alla Russia aiuto
logistico e quindi togliergli le sanzioni) ma innanzitutto sapendo che con
la sola arma della demografia il Talebani e i Paesi che li sostengono, dal
Pakistan, quella guerra l’hanno vinta con l’arma più potente della
bomba atomica, quella demografica. Quando gli USA e la NATO
intervenivano nel 2001, l’Afghanistan contava circa 21 milioni di
abitanti, divisi in diverse etnie, tra le quali quella pashtun, principale
sostenitrice dei Talebani. Questi ultimi, a loro volta, hanno nelle scuole
coraniche dei territori pakistani confinanti, quale Quetta, il loro
inesauribile serbatoio di arruolamento, oltre che nei numerosi campi
profughi nel Pakistan Orientale. Fiumi di petrodollari che in precedenza
avevano rifornito l’ISIS e altre formazioni jihadiste, in quest’ultimo
decennio hanno finanziato una guerriglia capillare, molecolarizzata, in
continua trasformazione, tale da rendere inutile l’uso dei droni o
d’interventi di formazioni corazzate. Finanziamenti che son diventati il
pane quotidiano per una moltitudine di giovani senza nessuna prospettiva,
sia che fossero delle diverse etnie afghane, che delle madrasse pakistane. La popolazione afghana è cresciuta in questi vent’anni di guerra del 100 per cento e sfiora i 40 milioni di abitanti dei quali circa 18 milioni hanno dai 19 anni in giù e cui la paga offerta dai talebani fa molta gola. Nella città pakistana di Quetta, vera e propria caserma di addestramento talebana, l’incremento demografico è stato in questi 20 anni ugualmente esplosivo in un trend esponenziale, passando dalla popolazione del 2001 da circa 600,000 abitanti agli attuali Un Milione e duecentomila, di cui 600.000 con età inferiore ai venti anni e circa 800.000 con età inferiore a 40 anni, di questi il 50% uomini, quindi 400.000 e di questi circa 300.000 abili ad impugnare un AK47, ovvero quanti oggi gli eserciti riuniti di Italia , Francia e Germania potrebbero mettere insieme… Sono numeri stratosferici che, se applicati nelle dovute proporzioni nelle etnie afgane vicine ai talebani, fan comprendere come, chi li affronta militarmente sa di far la fine degli eroi di Fort Alamo. Quetta (Pakistan) crescita demografica Ma
la bomba demografica non ha aspetti solo di “stivali sul terreno da
schierare”: chi vorrebbe oggi sostenere economicamente, a fondo perduto,
40 milioni di abitanti dell’Afghanistan, senza grandi risorse interne,
ma i cui maschi, burqa o non burqa, hanno continuato in questi ultimi
venti anni a ingravidare le loro donne a ritmi coniglieschi,
strafottendosene delle lezioncine sul concepimento responsabile fatte
dalle tante volontarie delle ONG che si sono sacrificate rischiando anche
la pelle? Oggi più che tenere militarmente
l’Afganistan, il problema più grosso è come dar da sfamare a quei 40
milioni attuali o ai 60 milioni del 2040 se qualche pazzo generale ci
convincesse a continuare una guerra perduta in partenza per altri 20 anni.
In una sorta di dilemma amletico ci si chiederà poi, se i flussi
migratori di giovani afgani verso l’Europa e relativi problemi di
accoglienza siano il male minore da affrontare, visto che comunque
l’afflusso di etnie di origine euroasiatica è più gradito da quei
settori di opinione pubblica “conservatrice” che storce il naso
sull’arrivo di migranti africani, pur sapendo che entrambi sono
l’unica soluzione al suicidio demografico della nostra vecchia Europa.
Antonio Camuso Osservatorio sui Balcani di Brindisi osservatoriobrindisi at libero.it 11 agosto 2021
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