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La faccia triste dei capi Talebani a Kabul. L’analisi non politicamente corretta di Antonio Camuso Che i difensori dei diritti umani, a partire di quelli delle donne afgane, iniziassero a strapparsi i capelli con l’arrivo dei talebani a Kabul, era per tutti una cosa assodata, ma che i capi talebani si facessero ritrarre in una storica foto nel palazzo presidenziale con delle facce lunghe da funerale, beh!, questa per coloro che si stanno consumando i polpastrelli sulle tastiere per esprimere la loro solidarietà, è passata inosservata, presi dall’isteria pseudoumanitaria, che da un lato accusa USA e NATO delle peggiori nefandezze contro “il “popolo afgano” e contemporaneamente di averlo abbandonato, ritirando le truppe. "-Questa non è la Kabul che avevamo lasciato venti anni fa!…”-Frase detta tra il disappunto malcelato e lo smarrimento da parte di uno dei maggiori capi talebani entrato a Kabul. E’ lo stesso di smarrimento che aleggia negli occhi di quel comitato direttivo dell’Emirato Islamico dell’Afganistan, che si aggira per le stanze presidenziali appena insediatosi per proclamare l’emirato. La Kabul del 2021 è una sorta di macigno sullo stomaco di chi vorrà presentarsi come l’alternativa ai precedenti governi pro- forze occidentali, USA e NATO. Kabul in venti anni ha visto la popolazione raddoppiare raggiungendo dai 2 milioni del 2001 ai quattromilioni e 330mila abitanti del 2021.
Ieri era una città in cui i servizi essenziali erano praticamente nulli, , piena di profughi, mendicanti e rovine… oggi essa è una città riedificata secondo criteri della “modernità” e come tale ha bisogno per vivere di un’ organizzazione ed amministrazione efficiente. Nonostante bombe e attentati suicidi, a far vivere Kabul , in questi venti anni, son state le ingenti risorse in dollari sborsate da USA e NATO, Italia compresa, che hanno messo su una classe media di impiegati, amministratori, imprenditori e tecnici che , se pur pervasa da pratiche corruttive, reggeva la rete di rapporti interni ed internazionali di questo complesso paese. Oggi, quella classe media , presentandosi in massa dinanzi alle piste dell’aeroporto di Kabul, chiedendo di fuggire, di fatto la sta abbandonando al suo destino, lasciandone la responsabilità ai capi talebani. Una responsabilità che si moltiplica per 10 volte se parliamo dell’intera popolazione afgana che oggi rasenta i 40 milioni e cresciuta di “appena “ venti milioni di anime dall’arrivo degli USA e della NATO nel 2001. Oggi il compito dei Talebani è quello o di sfamarla quotidianamente con gli standard che erano “garantiti” durante il precedente governo fantoccio pro-USA o altrimenti, per evitare l’inizio di una frantumazione armata e la fine anticipata dell’Emirato, esso agirà con operazioni alla Pol Pot. , ripulendo innanzitutto Kabul di tutto ciò che puzza di “infedele e blasfemo”. Poiché questa ipotesi sembra essere la più probabile, ci si prepara all’ondata di profughi che accortamente i Talebani useranno come arma di ricatto nei confronti dell’Europa per mungere quei finanziamenti che gli permetteranno di rimanere al potere , visto che ormai in tutto l’Occidente, da destra e sinistra, il coro unanime è: “perché morire per Kabul?” parafrasando il grido “ Perché morire per Danzica?”che in un altro settembre, quello del 1939, era lanciato a gran voce e primeggiava sui cartelli delle manifestazioni pacifiste in Francia ed in inghilterra e che chiedevano che ci si accordasse con Hitler che aveva invaso la Polonia. E’ una frase che sentiremo ripetere nei prossimi anni innumerevoli volte, ma la cui risposta non verrà da quel Vecchio Continente e dal suo cugino protettore, gli USA, che sempre più ricoprono un ruolo marginale in un Pianeta che corre verso l’autodistruzione, con risorse in esaurimento e bomba demografica irrefrenabile su cui sembra che nessuno voglia o possa mettere un controllo. Di essa non solo i talebani , ma i mille signori della guerra e del controllo mafioso delle risorse in continenti come l’Africa, sono i paladini e non accettano che le donne siano libere nella decisione di concepire esseri umani. Brindisi 17 agosto 2021 vedi anche Afghanistan: la guerra perduta
dagli USA e dalla NATO. Ovvero quando la demografia sconfisse droni e bombe
intelligenti… Il non politicamente corretto di Antonio Camuso Qualche giorno fa partecipando a
un’assemblea di realtà impegnate sia nel campo delle lotte ambientali
che in quelle di solidarietà internazionalista, accennavo come la svolta
in corso nella guerra in Afghanistan fosse l’esempio più evidente su
come oggi le soluzioni militari di crisi che hanno come fondamento anche i
problemi demografici, siano perdenti sul lungo periodo. La Nato nell’assemblea di
Washigton di metà 1999, appena conclusa la guerra contro la Serbia
affermava di proporsi coem l’unico l’attore vincente nella soluzione
delle crisi mondiali e due anni dopo, con l’11 settembre era chiamata
alle armi in un conflitto ventennale, quello dell’Afghanistan.
Oggi il ritiro degli USA e dei loro alleati NATO, mentre i talebani
riconquistano in pochi giorni l’Afghanistan, ci riporta indietro a quel
lontano 1975 e alla fuga precipitosa dal Vietnam. In queste ultime ore i talebani
affermano di aver conquistato più territorio di quello che occupavano
venti anni fa prima dell’intervento USA e NATO del 2001. Con questa
notizia le immagini edulcorate di bambine che si toglievano il burqa, che
andavano a scuola a imparare a leggere a scrivere e addittura a crearsi
un’attività lavorativa indipendente grazie all’impegno di tante
pietose ONG e organismi umanitari, ebbene su tutto ciò sta calando il
sipario senza che nessuno tiri fuori una lacrima, perché in altre parti
del mondo si piange o per il fumo degli incendi o per i morti da Covid in
crescita. Che cosa ha determinato negli
strateghi politico-militari occidentali a partire di quelli del Pentagono
ad affrettare il ritiro delle truppe? Semplicemente la convinzione che
l’Afghanistan è un paese perduto, nel senso che condizioni
politco-militari quali quelle di venti anni fa oggi sono irripetibili (es:
impossibilità degli Stati europei a contribuire con altri soldi, uomini e
risorse su un teatro così lontano, senza dover chiedere alla Russia aiuto
logistico e quindi togliergli le sanzioni) ma innanzitutto sapendo che con
la sola arma della demografia il Talebani e i Paesi che li sostengono, dal
Pakistan, quella guerra l’hanno vinta con l’arma più potente della
bomba atomica, quella demografica. Quando gli USA e la NATO
intervenivano nel 2001, l’Afghanistan contava circa 21 milioni di
abitanti, divisi in diverse etnie, tra le quali quella pashtun, principale
sostenitrice dei Talebani. Questi ultimi, a loro volta, hanno nelle scuole
coraniche dei territori pakistani confinanti, quale Quetta, il loro
inesauribile serbatoio di arruolamento, oltre che nei numerosi campi
profughi nel Pakistan Orientale. Fiumi di petrodollari che in precedenza
avevano rifornito l’ISIS e altre formazioni jihadiste, in quest’ultimo
decennio hanno finanziato una guerriglia capillare, molecolarizzata, in
continua trasformazione, tale da rendere inutile l’uso dei droni o
d’interventi di formazioni corazzate. Finanziamenti che son diventati il
pane quotidiano per una moltitudine di giovani senza nessuna prospettiva,
sia che fossero delle diverse etnie afghane, che delle madrasse pakistane. La popolazione afghana è cresciuta in questi vent’anni di guerra del 100 per cento e sfiora i 40 milioni di abitanti dei quali circa 18 milioni hanno dai 19 anni in giù e cui la paga offerta dai talebani fa molta gola. Nella città pakistana di Quetta, vera e propria caserma di addestramento talebana, l’incremento demografico è stato in questi 20 anni ugualmente esplosivo in un trend esponenziale, passando dalla popolazione del 2001 da circa 600,000 abitanti agli attuali Un Milione e duecentomila, di cui 600.000 con età inferiore ai venti anni e circa 800.000 con età inferiore a 40 anni, di questi il 50% uomini, quindi 400.000 e di questi circa 300.000 abili ad impugnare un AK47, ovvero quanti oggi gli eserciti riuniti di Italia , Francia e Germania potrebbero mettere insieme… Sono numeri stratosferici che, se applicati nelle dovute proporzioni nelle etnie afgane vicine ai talebani, fan comprendere come, chi li affronta militarmente sa di far la fine degli eroi di Fort Alamo. Quetta (Pakistan) crescita demografica
Ma
la bomba demografica non ha aspetti solo di “stivali sul terreno da
schierare”: chi vorrebbe oggi sostenere economicamente, a fondo perduto,
40 milioni di abitanti dell’Afghanistan, senza grandi risorse interne,
ma i cui maschi, burqa o non burqa, hanno continuato in questi ultimi
venti anni a ingravidare le loro donne a ritmi coniglieschi,
strafottendosene delle lezioncine sul concepimento responsabile fatte
dalle tante volontarie delle ONG che si sono sacrificate rischiando anche
la pelle?
Oggi più che tenere militarmente
l’Afganistan, il problema più grosso è come dar da sfamare a quei 40
milioni attuali o ai 60 milioni del 2040 se qualche pazzo generale ci
convincesse a continuare una guerra perduta in partenza per altri 20 anni.
In una sorta di dilemma amletico ci si chiederà poi, se i flussi
migratori di giovani afgani verso l’Europa e relativi problemi di
accoglienza siano il male minore da affrontare, visto che comunque
l’afflusso di etnie di origine euroasiatica è più gradito da quei
settori di opinione pubblica “conservatrice” che storce il naso
sull’arrivo di migranti africani, pur sapendo che entrambi sono
l’unica soluzione al suicidio demografico della nostra vecchia Europa.
Antonio Camuso Osservatorio sui Balcani di Brindisi osservatoriobrindisi at libero.it 11 agosto 2021
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