I
Signor Presidente della Repubblica
Autorità civili e militari, signore e signori,
è grandissimo l’onore che la città di Bari riceve oggi dall’Italia
intera attraverso Lei, Presidente Napolitano: questa medaglia d’oro
riconosce ufficialmente il ruolo fondamentale e, fatemelo dire, glorioso
di Bari nel momento più buio della storia nazionale.
In quel 1943 segnato dalla disfatta della guerra fascista e dal crollo
dello Stato, dall’invasione tedesca e dallo scontro di eserciti stranieri
sul suolo della patria, in questa città del Sud si susseguirono
avvenimenti drammatici e sanguinosi che dettero però il senso, se non il
segnale, che l’Italia era pronta a un nuovo Risorgimento, alla lotta per
riscattare l’onore della Patria e per conquistare la democrazia.
La strage del 28 luglio che colpì la gioventù antifascista formatasi
negli anni della dittatura intorno a Casa Laterza e al magistero di
Benedetto Croce; la straordinaria giornata del 9 settembre, vera e propria
alba della Resistenza italiana che unì esercito e popolo nella lotta in
difesa del porto e di altre installazioni civili e militari; il
bombardamento tedesco del 2 dicembre che causò agli alleati la più grave
catastrofe navale sul fronte europeo e alla città lutti e devastazioni che
la subdola perfidia dell’iprite di tanto in tanto ci rammemora ancor oggi:
in poco più di quattro mesi ecco riassunti i grandi nodi di quel tempo,
l’empito antifascista, la lotta di Liberazione, la catastrofe della
guerra.
Ci sono voluti però più di sessant’anni perché il contributo di Bari a
quei grandi capitoli della storia d’Italia fosse riconosciuto e
“remunerato” con questa medaglia. Non facciamo colpa di questo ritardo a
nessuno più di quanto non ne facciamo a noi stessi: mi è capitato lo
scorso settembre a Marzabotto, quando ho avuto l’onore di pronunciare il
discorso ufficiale alla cerimonia per il 61° anniversario della strage
nazista, di chiedere scusa per il ritardo con cui noi baresi ci recavamo
lassù a onorare quei morti e insieme a rivendicare le glorie della nostra
storia.
Anche per la disattenzione con cui queste memorie sono state da noi
coltivate ha potuto avere fortuna per anni, nella vulgata della storia
nazionale, l’idea che il Mezzogiorno sia stato del tutto assente dalla
Resistenza e dalla Guerra di Liberazione, anzi addirittura ostile ad essa,
sorta di Vandea neanche monarchica, ma addirittura criptofascista, “palla
al piede” di un’Italia desiderosa di democrazia e di giustizia sociale.
E sulla rimozione del grande contributo del Sud alla lotta di
Liberazione nazionale si sono operate semplificazioni della storia
nazionale, quelle che limitano la Resistenza a fatto di piccoli gruppi e
di zone geografiche ristrette del nostro Paese, come quelle che la
vogliono estranea a un sentimento nazionale e patriottico.
Ed è anche su queste rimozioni e semplificazioni che si è fatto avanti
un certo revisionismo storico e il tentativo di cancellare ogni
distinzione tra fascisti e antifascisti, tra chi combatté al fianco dei
tedeschi e chi combatté contro i tedeschi, tra chi si batté per la libertà
e la democrazia insieme agli angloamericani e chi faceva la guerra in nome
della tirannide nazifascista.
Recuperare, anche in senso geografico, il carattere nazionale e
patriottico della Guerra di Liberazione è il miglior antidoto a questi
revisionismi, come ci ha insegnato con magistero costante e appassionato
il suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi.
Ricordare i morti di via Niccolò dell’Arca è onorare Giuseppe Di Vagno,
Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Giacomo Matteotti, Antonio Gramsci e le
migliaia di vittime della dittatura fascista, ricordare la difesa del
porto di Bari e il generale Bellomo (che due anni dopo i comandi militari
italiani avrebbero lasciato solo ad affrontare una ingiusta accusa davanti
a una corte marziale inglese che lo condannò a morte senza che nessuno le
avesse sottoposto l’eroico comportamento di Bellomo quel 9 settembre a
Bari) significa tornare con la mente a Cefalonia e all’eroica disperata
lotta della Divisione Acqui; ricordare lo spavaldo eroismo di Michele
Romito, il quattordicenne di Bari Vecchia che con un preciso lanciò di
bombe a mano bloccò un’autocolonna di tedeschi, rende il giusto merito
anche agli scugnizzi di Napoli.
Napoli: la sua città, signor Presidente, nella quale, come Lei ha
ricordato nelle prime pagine della sua autobiografia politica non fu
semplice nei primi anni del dopoguerra la affermazione e perfino la
testimonianza dei valori della democrazia e dell’antifascismo, non smarrì
però mai il filo comune della memoria delle Quattro Giornate, di un moto
di popolo che fu comunque premessa di un futuro diverso. Noi baresi
abbiamo avuto bisogno di un lungo tempo per riannodare il filo della
nostra memoria.
Questa medaglia allora è insieme un riconoscimento e un ammonimento a
non dimenticare mai più. Perché è in quei giorni che stanno le radici,
ancora feconde della nostra democrazia e delle nostre istituzioni, la
garanzia del nostro futuro di baresi e di italiani.
Michele Emiliano
Sindaco di Bari
14-SETTEMBRE-2006
|