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1)L’assassinio dell’ambasciatore Italiano in Congo: fatalità o violazione di elementari protocolli di sicurezza? di Antonio Camuso
A meno di una settimana, da quando l’ Osservatorio sui Balcani di Brindisi apriva una pagina specifica sull’Africa,( flussi migratori e futuro globale imminente) segnalando che essa ben presto sarebbe entrata prepotentemente nelle pagine dell’attualità, tale premonizione si è avverata con l’assassinio dell’ambasciatore italiano in Congo,Luca Attanasio, il carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e il suo autista Mustapha Milambo. Poche sono le certezze sui fatti, dalle quali partono le indagini dei carabinieri, giunti da Roma per investigare sull’agguato, mentre voci discordanti si alzano sulle misure di sicurezza adottate in quel viaggio. Il fatto che quel convoglio fosse dell’agenzia delle Nazioni Unite, il World Food Program, ( e che ha nell’aeroporto militare di Brindisi la sua più grande Base Logistica, UNLAB) invece di semplificare, rende ancora più complessa la ricerca delle responsabilità. Possiamo anticipare che come molti altri “incidenti” coinvolgenti volontari di ONG e operatori di agenzie dell’ONU, in contesti complicati come quello Congolese, dove si mescolano il peacekeeping, azioni di polizia locale, attività umanitarie e presenza di bande armate, questa ricerca sarà molto travagliata. Sono i missionari comboniani del posto a far sentire la voce discordante dalle dichiarazioni fatte sin’ora dai responsabili locali del WFP, sulla presunta sicurezza della strada in cui è avvenuto l’agguto. I missionari, al contrario, ritengono quell’area, luogo dove spesso avvengono aggressioni a mano armata contro civili e militari. Ricordiamo anche che qualche giorno fa nella confinante riserva di Virunga è stato ucciso uno dei Ranger, aggiungendosi ad altre decine di suoi commilitoni uccisi in questi anni. Proprio con i Rangers gli assalitori hanno ingaggiato il conflitto a fuoco a seguito del quale, questi ultimi volutamente o incidentalmente hanno ucciso i loro rapiti.
Molte domande attendono risposta: 1) L’ambasciatore perché si trovava su un mezzo del World Food Program e non in una vettura a lui dedicata? 2) La sua missione era stata concordata con la Farnesina, dovendosi recare in una zona ad altissimo rischio, dove sono presenti 120 milizie tribali? 3) Perché non è stata chiesta da parte dell’agenzia ONU, la dovuta scorta da parte del contingente ONU MONISCO? Le immagini che inviano i media internazionali di quei luoghi, mostrano come le missioni ONU sono pesantemente scortate con blindati armati di tutto punto. 4) Perché questo non è avvenuto? Domande che riteniamo legittime visto che il ministro dell’interno del Congo ha dichiarato che le autorità provinciali del North Kivu non erano state messe al corrente della presenza dell’ambasciatore italiano e quindi non avevano potuto provvedere alla sua sicurezza. Imbarazzato è lo stesso capo del contingente ONU di peacekeeping Jean-Pierre Lacroix che afferma che l’ufficialità su quali strade siano sicure o da mettere in sicurezza è compito dello staff militare addetto alla security di quei luoghi. Vedi : http://www.bcdemocrat.com/2021/02/23/ap-af-congo-italy-ambassador-killed/ Purtoppo molti operatori umanitari, e in particolare delle ONG che operano in contesti “difficili”, preferiscono avere un profilo basso, mentre compiono la loro lodevole opera di aiuto alle popolazioni coinvolte in conflitti “ a bassa intensità” come quello congolese, e quindi cercano di evitare di mescolare la loro immagine accompagnandosi con militari che spesso, a loro volta, quando nessuno può denunciarli, sono autori di soprusi contro quegli stessi civili. Considerazioni che portano a ignorare i protocolli di sicurezza e tentare la fortuna, fidandosi dell’esperienza acquisita sul terreno e delle informazioni provenienti dalle popolazioni locali.
Il fatto che la missione del WFP fosse diretta ad una scuola sede di un progetto umanitario, fa venire il dubbio che consapevolmente gli operatori ONU abbiano deciso di evitare la presenza di militari al loro fianco, con le conseguenze del caso. Quanto di ciò fosse consapevole l’ambasciatore occorrerà stabilirlo, visto che il carabiniere e l’autista al suo seguito, hanno anche loro pagato con la vita questa decisione. In ogni caso dopo quanto è accaduto la Farnesina e in primis il Ministro di Maio, dovrà render conto delle indicazioni sul comportamento e sui protoccolli di sicureza che il nostro personale diplomatico avrebbe dovuto seguire in un contesto come quello congolese. Su questo punto i familiari delle vittime hanno tutto il diritto di conoscere quali fossero le procedure e raccomandazioni emesse dal nostro ministero degli Esteri, sulla mobilità del nostro personale civile e militare in aree ad alta conflittualità, come quella della provincia di Goma. Antonio Camuso Osservatorio sui Balcani di Brindisi Brindisi 23-2-2021
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