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La
guerra della discordia e dei politici buoni per tutte le stagioni.
Comunicato della Rete nazionale
Disarmiamoli
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Tempi bui per la NATO in Afghanistan. Gli alleati più “granitici”
vacillano sotto i colpi della resistenza.
L’esecutivo Berlusconi - numericamente tra i più stabili d’Europa
- si divide sul mantenimento delle truppe professionali nelle aree del
conflitto.
Così il sempreverde Bossi, preoccupato di portare quante più risorse
possibili nelle casse delle morenti piccole e medie imprese del Nord,
lancia la parola d’ordine del “tutti a casa”, costringendo per
mezza giornata politici di centro – destra – sinistra a distrarsi
da congiure di palazzo o di corrente, vacanze, veline ed “escort”
per levar compatti gli scudi in difesa della sacra missione di
Finmeccanica, IVECO ed ENI, al lavoro per rifornire truppe e
popolazioni di mezzi militari più potenti e gas caucasico.
Fa specie - in questo vociare sconcio di una classe politica unita
nella guerra e per la guerra - la “vibrante” dichiarazione di
Paolo Cento ed Elettra Deiana per il “….ritorno del problema
Afghanistan in Parlamento” (pag. 4 de “La Stampa” del 27.7.09).
Vorremmo ricordare ai due esponenti neovendoliani che per due anni il
“problema Afghanistan” è stato oggetto di discussione in un
Parlamento dominato da un governo che li vedeva attivamente partecipi.
Anni nei quali Cento e Deiana passavano il tempo a coprire e
legittimare politiche a causa delle quali l’Italia è caduta nelle
mani di una destra tra le più reazionarie e forcaiole del mondo.
A ognuno le sue responsabilità, a nessun popolo l’augurio di avere
a che fare con un ceto politico potenzialmente utile per tutte le
stagioni, ieri al fianco dei massacratori, oggi in recupero al fianco
dei massacrati, domani con tutta probabilità di nuovo con i primi. È
solo una questione di status e di collocazione congiunturale.
Gli afgani intanto continuano a morire ma non demordono, costringendo
- con le loro secolari tattiche di guerriglia - la più potente
coalizione militare della storia a scendere a patti, a cambiare
strategie, a progettare exit strategy lastricate di sangue e terrore,
ordinate oggi dal democratico Obama, fatua speranza di tante anime
belle in giro per il mondo.
In queste ore le agenzie di stampa parlano di tregua in alcune zone
del conflitto. Probabilmente non conosceremo mai i termini ed i costi
di questa tregua per gli aggressori, ma con tutta evidenza essa è il
prodotto di un rapporto di forza imposto dalla guerriglia.
Ne siamo felici, perché ciò significa – anche per un solo giorno -
un numero minore di civili uccisi dai bombardamenti “democratici”
della NATO.
Il movimento contro la guerra chiede che questi brandelli di tregua si
trasformino in un immediato ritiro di tutte le truppe straniere da
quello sfortunato paese.
L’alternativa è la lenta agonia di una strategia rivelatasi
perdente ma, soprattutto, la morte di altre migliaia di afgani.
In Afghanistan oggi, così come in Iraq ieri e recentemente in Libano
l’imperialismo occidentale verifica concretamente i limiti di una
politica militare neo colonialista, antistorica perchè incapace di
risolvere – in queste forme - i problemi di egemonia per i quali è
stata determinata e fomentata.
Le guerre si vincono quando si è in grado di “conquistare intero e
intatto il nemico”. Così diceva un saggio cinese molti secoli fa.
Non sempre però ciò si da nell’evoluzione dei conflitti.
Allora la contraddizione passa nel terreno dell’avversario e lo
corrompe.
Questo è lo stato dell’arte oggi in Afghanistan e gli umili del
mondo, costretti spesso a dover assorbire immense dosi di sofferenza,
non possono che esserne felici.
La Rete nazionale Disarmiamoli
26
luglio 2009
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