FOIBE E PROFUGHI: no
all'ammucchiata revisionista storica
"A Pola c´è l´Arena, a Pisino c´è la foiba: in quell´abisso
vien gettato chi ha certi pruriti." Lo squadrista istriano Giorgio Alberto
Chiurco, nella sua Storia della rivoluzione fascista (Vallecchi Editore,
Firenze, 1929) si gloria di un´orrenda serie di violenze, tra cui
l´infoibamento di slavi e antifascisti italiani. ...
DAL SITO DI CARMILLAONLINE, UN
INTERESSANTE ARTICOLO E APPROFONDIMENTO DI CLAUDIA CERNIGOJ SUL TEMA DELLE
FOIBE INSERITO NELL'ESAME DI STATO 2010
http://www.carmillaonline.com/archives/2010/07/003537.html
TEMA
DI MATURITA': LE FOIBE
di Claudia
Cernigoi
Un mio sogno ricorrente è quello di dover
affrontare di nuovo l’esame di maturità, sogno che mi dà sempre una
sensazione di angoscia perché mi rendo conto che, a distanza di tanti
anni, ho ormai dimenticato buona parte delle cose che avevo studiato al
liceo. Però, quando ho visto che tra le “tracce” dei temi per i
maturandi di quest’anno c’era un titolo sulle “foibe”, ho pensato
per un attimo che mi sarebbe piaciuto rifare la maturità in modo da
scrivere su questo tema.
Poi mi sono messa nei panni di uno studente maturando nell’anno di
grazia 2010 e mi sono detta: alt, non è una passeggiata. Intanto perché
bisognerebbe capire quale preparazione hanno avuto gli studenti su questo
argomento, su quali testi storici sono stati istruiti, o se piuttosto
quello che sanno è solo quanto è stato diffuso come propaganda, se la
loro conoscenza delle foibe deriva dal filmino “Il cuore nel pozzo”,
dalle esternazioni dei gruppi neofascisti o neoirredentisti, dalle
semplificazioni ideologiche (e non storiche) sulle quali si basano la
maggior parte degli storici “accreditati”.
No, non sarebbe stato un tema facile da
svolgere per un maturando. Però io, che ho al mio attivo una quindicina
di anni dedicati allo studio delle “foibe”, ho pensato di sviluppare
questa “traccia” nel modo seguente, che è la rielaborazione di un
intervento che ho fatto al festival delle culture antifasciste di Bologna
il 1° giugno scorso. Consapevole che uno svolgimento del genere non
avrebbe probabilmente ottenuto il massimo dei voti dalla commissione
esaminatrice, lo propongo qui.
Resistenza al confine orientale e
questione “foibe”: ricerca storica o disinformazione strategica?
I fase: dopo l’ 8/9/43: ecco
il conto!
Nella ricerca storica sulla questione delle
“foibe” il primo periodo storico da esaminare è quello
dell’immediato dopo 8 settembre 1943, quando, in seguito
all’armistizio firmato con gli Alleati, i militari italiani furono
abbandonati dai vertici dell’esercito e si trovarono allo sbando. In
questo stato di vacanza del potere alcune zone dell’Istria passarono per
breve tempo sotto il controllo delle formazioni partigiane; vi furono
arresti di persone, in genere compromesse con il regime fascista, ed anche
esecuzioni sommarie causate da vendette personali. Le vittime di questo
periodo furono circa 300; i corpi di 200 di queste vittime furono
riesumati da svariate “foibe”, ma su questi recuperi torneremo più
avanti.
Consideriamo ora invece che per riprendere il controllo del territorio i
nazifascisti causarono, tra fine settembre ed i primi di ottobre, migliaia
di vittime nel territorio istriano: il fatto è che di questi morti non si
parla mai, come se non esistessero, nonostante siano almeno dieci volte più
numerosi degli “infoibati” nel periodo immediatamente precedente.
Da subito iniziò l’uso strumentale delle foibe per nascondere i crimini
commessi dai nazifascisti: si misero in evidenza esclusivamente le
violenze operate dai partigiani tacendo della feroce repressione
nazifascista. Esempio di questa manovra è la pubblicazione di un libello
dal titolo “Ecco il conto!”, pubblicato sia in lingua italiana che in
lingua croata, contenente alcune foto di esumazioni di salme e basato
fondamentalmente su slogan anticomunisti. Si volle in tal modo creare un
clima di terrore nella popolazione allo scopo di isolare il movimento
partigiano, che veniva descritto come feroce e pericoloso per tutti i
civili, e che lo scopo del potere era proprio quello di difendere la
popolazione dalle violenze dei partigiani.
Per comprendere come iniziò la propaganda nazifascista cito ora
un’analisi di Paolo Parovel (1): < I servizi della X Mas assieme a
quelli nazisti organizzarono la riesumazione propagandistica degli uccisi,
con ampio uso di foto raccapriccianti dei cadaveri semidecomposti e dei
riconoscimenti da parte dei parenti. Le prime pubblicazioni organiche di
propaganda sulle foibe sono due: “Ecco il conto!” edita dal Comando
tedesco già nel 1943, ed “Elenco degli Italiani Istriani trucidati
dagli slavo-comunisti durante il periodo del predominio partigiano in
Istria. Settembre-ottobre 1943” redatto nel 1944 per incarico del
Comandante Junio Valerio Borghese, capo della X Mas e dell’on. Luigi
Bilucaglia, Federale dei Fasci Repubblicani dell’Istria, da Maria
Pasquinelli con l’ausilio di Luigi Papo ed altri ufficiali dei servizi
della X Mas >.
Oltre a queste due pubblicazioni vanno citati
come basilari per la creazione di questa propaganda anche gli articoli che
comparivano sul “Piccolo” di Trieste e sul “Corriere istriano”.
Nell’autunno del ‘43 il giornalista del “Piccolo” Manlio Granbassi
(fratello di Mario, giornalista ma anche volontario fascista in Spagna
caduto in sostegno dei golpisti di Franco), che firmava i propri articoli
con la sigla P.C., si recò in Istria da dove relazionò sui recuperi
dalle foibe effettuati dal maresciallo dei Vigili del Fuoco Arnaldo
Harzarich per conto dei nazisti. Non avendo trovato documenti datati
precedentemente agli articoli di Granbassi, supponiamo che sia stato lui
il primo a descrivere con dovizia di particolari le presunte sevizie ed
esecuzioni cui sarebbero stati sottoposti “sol perché italiani”
coloro che furono poi riesumati dalle varie cavità istriane.
La propaganda sulle foibe, dovendosi basare
su circostanze inesistenti, non considera logicamente la documentazione
storica del periodo. Vi sono due documenti dell’epoca che possono
servire ad inquadrare le vicende, sono ambedue noti agli storici da
decenni, ma di essi anche recentemente gli storici continuano a non tenere
conto.
Il primo documento è la cosiddetta relazione Cordovado, redatta dal
dottor Marcello Cordovado, che si trovava a Pisino alla fine del 1943.
Secondo un appunto (probabilmente del capitano Ercole Miani, membro del
CLN triestino, che fu successivamente il fondatore della Deputazione di
storia del movimento di liberazione di Trieste) l’autore redasse questa
relazione su incarico dello stesso CLN, che a Trieste era di sentimenti
anticomunisti e nazionalisti.
Lo scritto, intitolato “La dura sorte di Pisino”, consta di 7 pagine e
descrive gli avvenimenti dal 10 settembre ai primi di ottobre del 1943. Ne
leggiamo alcune parti che possono servire ad inquadrare la situazione.
Dopo avere descritto come i partigiani prendessero il controllo di Pisino
senza colpo ferire, dato che i comandanti militari e dei carabinieri
cedettero loro le armi alla prima richiesta, Cordovado fa queste
descrizioni: “Il dominio partigiano si svolgeva senza eccessivi
disordini, salvo qualche ammazzamento tra i partigiani stessi nelle
frequenti liti durante le loro libazioni” (…) “Alcuni squadristi
vennero uccisi ed altri vennero imprigionati nel castello Montecuccoli.
Perquisizioni, arresti e minacce si susseguirono in questo periodo di
ansia da parte della popolazione che assisteva e subiva impotente la
situazione” (…) “Il Capo partigiano tuttavia si scusava di qualche
eccesso e dell’uccisione di alcuni squadristi, biasimando il fatto ed
attribuendolo ad elementi fanatici ed estremisti”.
Dopo questo periodo di relativa calma arrivarono i tedeschi. Il 4 ottobre
verso le 11 del mattino 13 Stukas iniziarono il bombardamento a bassa
quota con bombe di medio calibro “colpendo indistintamente tutto
l’abitato”. La popolazione cercò scampo nelle campagne, ma “molti
incappavano nel peggio”, perché i reparti tedeschi di rastrellamento
“non badavano troppo per il sottile” e spesso mitragliavano ed
uccidevano i fuggiaschi “che non sapevano spiegarsi in tedesco e
giustificare la loro presenza fuori di casa” (come se questo fosse un
motivo valido per venire falciati?), ed in tal modo vennero uccisi dai
tedeschi anche il podestà ed il preside del ginnasio che stavano
scappando verso nord.
Verso mezzogiorno cessò il bombardamento e nello stesso tempo si avvicinò
la prima colonna corazzata germanica dal sud di Pisino, accolta da
“nutrito fuoco di fucileria dalle prime case”. I carri armati aprirono
il fuoco contro le case “che tosto andarono in fiamme e distrutte.
Coloro che da dette case scappavano venivano indistintamente tutti
mitragliati e stesi al suolo”, e furono uccisi “molti innocenti tra
cui donne e bambini”. Proseguendo verso il centro di Pisino se da
qualche casa proveniva una fucilata essa veniva “per pronta rappresaglia
immediatamente incendiata”.
“Pisino presentava uno spettacolo pauroso: incendi in tutte le
direzioni, in parte dovuti al bombardamento del mattino ed in parte al
cannoneggiamento delle colonne (…) la popolazione era letteralmente
atterrita dalle distruzioni compiute: l’ottanta per cento delle case era
rimasto distrutto in poche ore”.
Le colonne tedesche fermarono gruppi di persone tra le case, sottoposti ad
interrogatorio ed in parte fucilati, o portati al castello, dove “per
una pura combinazione non successe una tragedia più grande”, in quanto
alcuni reparti tedeschi vedendo il castello pieno di prigionieri italiani
che erano stati lì abbandonati dai partigiani che avevano lasciato Pisino,
li scambiarono per partigiani e puntarono loro contro le mitragliatrici
pesanti. Solo per l’intervento di un capitano tedesco che riuscì a
spiegare la situazione solo “il primo che si era presentato davanti”
venne ucciso.
Da questo documento, che descrive chiaramente sia il comportamento dei
partigiani, sia quello successivo dei nazifascisti, appare senza ombra di
dubbio chi fu a mettere a ferro e fuoco l’Istria e provocare il martirio
di quel popolo.
Andiamo ora a vedere un altro documento, redatto nell’estate del 1945,
il cosiddetto “Rapporto Harzarich”, così chiamato dal nome del
sottufficiale dei Vigili del Fuoco di Pola maresciallo Arnaldo Harzarich,
che eseguì diversi recuperi da varie “foibe” istriane, dal 16 ottobre
1943 (immediatamente dopo che le truppe tedesche ebbero preso in mano il
controllo di tutta l’Istria) fino alla primavera del ‘44. Lavorava
sotto il diretto controllo dei nazisti e non era sicuramente sospettabile
di simpatie “filoslave” o “filocomuniste”. Questo documento non è
la relazione dei recuperi ma una “Relazione tratta dall’interrogatorio
di un sottufficiale dei VV.FF. del 41° Corpo di stanza a Pola”,
interrogatorio reso al “Centro J” dell’esercito angloamericano nel
luglio 1945 (2) .
In esso Harzarich descrive i recuperi effettuati dalla sua squadra (circa
200 corpi), ma è degno di nota che per le identificazioni degli
“infoibati” il maresciallo faccia riferimento, più che non a
documentazione propria o ricordi personali, a quanto apparve all’epoca
delle riesumazioni sia sulla stampa (cioè gli articoli di Granbassi,
anche se spesso molti particolari riportati da Granbassi nei suoi articoli
non corrispondono proprio a ciò che Harzarich dichiarò di propria mano),
sia in “Ecco il conto!”.
È però fondamentale dire che dal racconto di Harzarich risulta
chiaramente che i corpi, riesumati più di un mese dopo la morte furono
trovati in stato di avanzata decomposizione, ed era quindi praticamente
impossibile riscontrare su essi se le vittime fossero state soggette a
torture o stupri mentre erano ancora in vita; così come certi particolari
raccapriccianti che vengono riportati dalla “letteratura” delle foibe
(ad esempio il sacerdote con il capo cinto da una corona di spine ed i
genitali tagliati ed infilati in bocca) non hanno alcun riscontro nella
relazione di Harzarich. Così come, a proposito di una delle
“mitologie” che furono create intorno alle foibe, e cioè che gli
“infoibatori” usassero gettare un cane nero sopra i corpi degli
infoibati (gesto al quale sono stati dati negli anni i significati più
vasti, dalla superstizione allo spregio, rasentando la magia nera), nei
fatti Harzarich disse che in UNA foiba fu trovata la carogna di UN cane
nero.
Un altro documento che dovrebbe servire a
mettere fine alla querelle sul numero degli infoibati nel
periodo in questione è una nota inviata al capitano Miani dal federale
dell’Istria Bilucaglia, nell’aprile 1945, che accompagnava 500
pratiche relative a risarcimenti destinati a parenti di persone uccise dai
partigiani dall’8/9/43 fino allora. È quindi una stessa fonte ufficiale
fascista a dichiarare che, ad aprile 1945, gli “infoibati” in Istria
non erano stati più di 500, comprendendo in questo numero anche gli
uccisi per fatti di guerra nei 18 mesi successivi al breve periodo di
potere popolare nella zona di Pisino.
Questa nota è stata pubblicata da Luigi Papo nel suo “E fu
l’esilio” (Italo Svevo 1998), lo stesso che dichiarò al PM Pititto
che indagava sulle “foibe” istriane che all’epoca “si trattò di
vero e proprio genocidio (…) gli italiani, per il solo fatto di essere
italiani venivano prelevati a centinaia e portati quasi tutti nel castello
di Pisino (...) ne vennero ammazzati circa 400” (3).
Proseguendo con la creazione delle false notizie sulle foibe, è sempre
Papo a dirci che fu Maria Pasquinelli (4) a portare “in salvo” da Pola
sul finire della guerra “per incarico del Centro Studi Storici di
Venezia ” (5) assieme ad altri documenti, anche “copia di tutta la
documentazione sulle foibe”. Giunta a Milano il 26 aprile 1945, in
Piazzale Fiume (dove aveva sede l’Ufficio Stampa della X Mas), prese
contatto con Bruno Spampinato, l’ufficiale della Decima che aveva
ricevuto l’incarico dal comandante Borghese, e gli consegnò tutto il
materiale, parte del quale era già stata utilizzato per la stesura di
svariati articoli e che successivamente fu diffuso dagli uffici stampa
della Decima. Fu così che iniziò quell’operazione propagandistica che
dura da sessant’anni ed i cui effetti arrivano fino al giorno d’oggi e
sono ben evidenti ai nostri occhi: le foto sono le stesse che vengono
pubblicate in ogni occasione in cui si parla di foibe, indipendentemente
dalla zona o dal periodo storico di cui si parla, amplificando in questo
modo anche il numero reale dei morti. Nel dopoguerra i servizi segreti che
avevano fatto riferimento alla Decima collaborarono anche con i servizi
segreti degli Alleati in funzione anticomunista ed una delle loro attività
fu appunto continuare a propagare la “mitologia” dei “migliaia di
infoibati dai titini”.
II fase: dopo il maggio 1945: le foibe
come “contraltare” ai crimini di guerra italiani.
La propaganda sugli infoibamenti e sui
crimini che sarebbero stati commessi dai liberatori ricominciò dopo la
fine della guerra. In tutta Italia (come del resto negli altri paesi
d’Europa che furono occupati dai nazifascisti) si verificarono delle
rese dei conti contro chi aveva collaborato con il nemico invasore, però
(pur in presenza di operazioni come la corposa produzione letteraria sui
“crimini dei liberatori”, della quale Giampaolo Pansa è uno dei
capiscuola) la propaganda oggi sembra concentrarsi per la maggior parte
sugli avvenimenti del confine orientale.
A Trieste, nonostante la vulgata generalizzata, le esecuzioni sommarie
furono molto limitate, proprio perché la dirigenza jugoslava che aveva
sotto controllo la città vigilava in modo che non si svolgessero abusi.
Ricordiamo qui quanto scrisse lo storico triestino Mario Pacor a proposito
del “malcontento operaio” nel maggio del ‘45, quando Trieste era
sotto amministrazione partigiana jugoslava:
“Fu così che agli operai insorti non fu permesso di procedere a quelle
liquidazioni di fascisti responsabili di persecuzioni e violenze, a quegli
atti di “giustizia sommaria” che invece si ebbero a migliaia a Milano,
Torino, in Emilia e in tutta l’Alta Italia nelle giornate della
liberazione e poi ancora per più giorni. “Non ce lo permettono” mi
dissero ancora alcuni operai “pretendono che arrestiamo e denunciamo
regolarmente codesti fascisti, ma spesso, dopo che li abbiamo arrestati e
denunciati, essi li liberano, non procedono. E allora?” ne erano
indignati... > (6).
In questo senso scrisse anche, nel lontano 1948, il quotidiano “Trieste
Sera”: < a Trieste non avvenne come nell’Italia settentrionale.
Niente morti ai margini delle strade, niente uccisioni sulla soglia di
casa. Gli arresti o “prelevamenti” avvenivano sulla base di precedenti
segnalazioni. La maggior parte degli arrestati ritornavano a casa dopo
alcuni giorni di indagini e molti subito. Sarebbe interessante invitare
tutti gli arrestati durante i primi giorni di occupazione della città che
hanno ripreso immediatamente la loro vita civile e sarebbe interessante
vedere quanti di essi erano compromessi col fascismo e col nazismo per
giudicare le autorità popolari d’allora. Circa 2.500 persone vennero
arrestate e trattenute, 2.500 su 250.000, dunque l’uno per cento. Molte
di queste ritornarono durante questi due anni e mezzo, ma del loro numero
nessuno si occupò di tener conto. Oggi tutti, anche i ritornati, vengono
sempre fatti figurare come scomparsi > (7) .
Nella “fabbrica” della propaganda sulle foibe un ruolo preminente lo
ebbe il CLN triestino, quello che si era staccato dal CLN Alta Italia
perché non voleva conformarsi alle direttive nazionali di collaborare con
il Fronte di Liberazione-Osvobodilna Fronta di Trieste, che aveva contatti
con l’esercito di liberazione jugoslavo. Già da maggio 1945 il CLN di
Trieste iniziò a fornire notizie false ai comandi alleati per creare un
“allarme” sulla questione degli infoibamenti, dando false notizie su
presunti infoibamenti a Basovizza di 400 o addirittura 600 persone gettate
dagli jugoslavi nel pozzo della miniera (quello che oggi è diventato il
monumento nazionale). Nonostante queste bufale venissero di volta in volta
smentite dalle autorità, nonostante lo stesso capitano Miani avesse
dichiarato allo studioso triestino Diego de Henriquez che “le persone
scomparse durante l’occupazione di 40 giorni jugoslavi erano circa
cinquecento e non migliaia come egli (cioè Miani,ndr) usa dire
nelle sue azioni di propaganda contro gli slavo-comunisti” (8), ancora
oggi si continua a fare confusione e mistificazione sul reale numero degli
“scomparsi” nel maggio 1945 a Trieste.
Nello stesso tempo, a livello internazionale
si creò un altro tipo di problema, riguardante la punizione dei criminali
di guerra italiani richiesti dalla Jugoslavia, problema che fu sollevato
dagli storici Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer (9) nel 2001:
< Come dimostra un importante documento dell’agosto 1949 (doc. 19
Segr. Pol. 875, inviato il 20/8/49, firmato Zoppi, inviato A S.E.
l’Ammiraglio Franco ZANNONI, Capo Gabinetto Ministero Difesa ROMA),
nessuno dei pur pochi indagati considerati dalla Commissione d’inchiesta
deferibili alla giustizia fu mai giudicato. Nei confronti di alcuni fu
spiccato un mandato di cattura da parte della magistratura italiana, ma
venne dato a tutti il tempo di mettersi al riparo. Qualcuno lo fece
rifugiandosi all’estero. La tattica dilatoria delle autorità italiane
ebbe quindi pieno successo. Ciò anche in ragione dei mutamenti
internazionali avvenuti nel 1948. La rottura fra Jugoslavia ed URSS del
giugno 1948 privò, infatti, Belgrado dell’appoggio dell’unica delle
quattro grandi potenze dimostratasi fino ad allora disposta a sostenerne
le rivendicazioni >.
A questo punto va inserito un intervento del procuratore militare di Roma
Antonino Intelisano, < “alla fine degli anni Quaranta fu aperto
presso questo ufficio un procedimento nei confronti di 33 persone accusate
di concorso in uso di mezzi di guerra vietati e concorso in rappresaglie
ordinate fuori dai casi consentiti dalla legge. Il procedimento si
concluse il 30 luglio 1951 con una sentenza del giudice istruttore
militare. Questi stabilì che non si doveva procedere nei confronti di
tutti gli imputati, perché non esistevano le condizioni per rispettare il
principio di reciprocità fissato dall’articolo 165 del Codice penale
militare di guerra”. Secondo tale norma, un militare che aveva commesso
reati in territori occupati poteva essere processato a patto che si
garantisse un eguale trattamento verso i responsabili di reati commessi in
quella nazione ai danni di italiani. Vale a dire, per esempio: noi
processiamo i nostri militari colpevoli, voi jugoslavi condannate i
responsabili delle uccisioni nelle foibe. L’articolo 165, continua
Intelisano, è stato riformato, con l’abolizione della clausola di
reciprocità, nel 2002 > (10).
Lo studioso triestino Fabio Mosca ha tratto queste conclusioni: il
“nuovo” esercito italiano ricostituito al Sud, “formato da ufficiali
già impegnati nella guerra fascista, minacciati di essere processati dai
paesi aggrediti che ne chiedevano l’estradizione” si unì ai
“politici della ‘nuova Italia’ in un coro nel gridare alle foibe”;
cioè avrebbero “visto nelle foibe una buona occasione per occultare le
sue colpe”. In questo contesto “la foiba di Basovizza, unica in zona
accessibile, assurse a grande valore nella campagna per delegittimare la
nuova Jugoslavia nelle sue richieste di estradizioni. Gli anglo americani
acconsentirono alla manovra conservando il segreto sulla realtà del
ricupero di ‘soli” 10 corpi in divisa di tedeschi dalla suddetta
foiba. Nel 1948 la Jugoslavia non contò più sul suo alleato sovietico e
smise di richiedere le estradizioni. I criminali non vennero mai
consegnati né processati e cessò per decenni la campagna sulle foibe.
Dalla morte di Tito in poi, le foibe vennero nuovamente riproposte per
preparare l’opinione pubblica per l’eventuale blitz per il recupero
dei territori perduti nel ‘45” (11).
La situazione rimase poi statica fino
all’inizio degli anni ’90: la destra continuava ad usare la questione
delle foibe in senso anticomunista, antijugoslavo ed irredentista, mentre
la sinistra preferiva ignorare il problema. Unica voce fuori dal coro il
professor Giovanni Miccoli dell’Università di Trieste che nel 1976,
all’epoca del processo per i crimini della Risiera di San Sabba (campo
di concentramento e di sterminio nazista a Trieste), di fronte alla
richiesta di settori della destra estrema (tra i quali l’ex esponente
triestino di Ordine nuovo, Ugo Fabbri, supportato dalla rivista “Il
Borghese”) di procedere anche contro gli “infoibatori”, definì
“accostamento aberrante” quello che si voleva fare tra foibe e
Risiera, in quanto i crimini della Risiera furono il prodotto di una
violenza di stato, organizzata a tavolino, con fini ben determinati,
mentre ciò non si poteva dire per le vittime delle foibe (all’epoca,
ricordiamo, la terminologia “foibe” non aveva ancora assunto quella
caratteristica di generalizzazione che vedremo più avanti).
Le richieste della destra non tenevano inoltre conto delle decine di
processi celebrati dal GMA tra il 1946 ed il 1949 contro membri della
Resistenza accusati di essersi fatta giustizia da sé, spesso condannati a
pene piuttosto severe.
Possiamo fissare come punto fermo della storiografia nel 1990 lo studio di
Roberto Spazzali “Foibe. Un dibattito ancora aperto” (edito a cura
della Lega Nazionale di Trieste), dove lo storico raccoglie quasi tutto ciò
che era stato pubblicato e detto sulle foibe fino a quel momento.
III fase, anni ’90, grandi
manovre.
All’inizio degli anni ‘90, dopo il crollo
del muro di Berlino e l’asserita “fine del comunismo”, con il
contemporaneo sfascio della Jugoslavia, anche la pubblicistica sulle foibe
ha conquistato nuova linfa.
Fondamentale in questa operazione il ruolo del pordenonese Marco Pirina,
che negli anni ‘60 e ‘70 era stato un attivista di estrema destra
(quale rappresentante del Fronte Delta fu coinvolto nelle indagini sul
tentato golpe Borghese, e poi prosciolto), che iniziò una serie di
pubblicazioni sulle vicende del confine orientale, finalizzate a
dimostrare la “barbarie” dei partigiani, la violenza dei
“vincitori”, ma usando a questo scopo metodi poco ortodossi, come il
moltiplicare la quantità di “infoibati” inserendo negli elenchi delle
“vittime dei titini” anche moltissimi nominativi di persone che non
erano state uccise dai partigiani.
Verso metà degli anni Novanta, all’opera di falsificazione storica di
Pirina si aggiunsero le dichiarazioni politiche di personalità della
sinistra, come il segretario del PDS triestino Stelio Spadaro, il quale
iniziò a dire che era giunta l’ora che anche a sinistra si
riconoscessero i crimini delle foibe; ed anche le prese di posizione
dell’onorevole Luciano Violante, che si attivò a favore del
riconoscimento dei “ragazzi di Salò” e promosse assieme a Gianfranco
Fini un convegno (svoltosi non si sa se casualmente o per scelta proprio a
Trieste nel 1998), il cui scopo era di giungere ad una
“pacificazione”, che in pratica significava nient’altro che la
riabilitazione e legittimazione del fascismo e dei combattenti della
Repubblica Sociale Italiana.
Nello stesso periodo il PM romano Giuseppe Pititto iniziò un’indagine
sulle “foibe”, che prese l’avvio da un paio di denunce presentate da
figli di “infoibati” che erano supportati, dal punto di vista legale,
dall’avvocato Augusto Sinagra, piduista ed irredentista, che nel corso
dei convegni cui partecipava usava dire che lo scopo di quel processo era
di restituire in sede legale agli esuli ciò che era stato loro tolto in
sede storica.
Questa istruttoria, presentata sulla stampa come risolutiva della vicenda
“foibe” si concluse alla fine con un nulla di fatto: le richieste di
rinvio a giudizio erano relative ad un decina di vittime a Pisino nel 1943
e tre a Fiume nel 1945, e la sentenza finale sancì che l’Italia non
aveva giurisdizione sul territorio dove si erano svolti i fatti.
Di fronte a questa offensiva di criminalizzazione della Resistenza al
confine orientale si costituì un gruppo di lavoro sia per organizzare la
difesa degli imputati nel processo iniziato da Pititto, sia per rispondere
in maniera storica alle mistificazioni che venivano diffuse dagli organi
di stampa. Un primo prodotto di questa attività fu il mio breve studio
(“Operazione foibe a Trieste”) pubblicato nel 1997, che nel mare
magnum di pubblicazioni sull’argomento era uno dei pochi che
inquadrava la cosiddetta “questione delle foibe” da un punto di vista
storico e non agiografico o politico.
In esso, oltre a contestualizzare i fatti nell’epoca in cui si svolsero,
inserii un elenco di nominativi di presunti “infoibati” (tratto dal
“Genocidio…” di Pirina, pubblicato nel 1995) analizzati uno ad uno e
dal quale risultava che il 64 % dei nominativi dati per “infoibati” da
Pirina non c’entravano nulla: o si trattava di trascrizioni errate per
cui i nominativi erano duplicati, oppure erano nomi di persone arrestate
ma poi rilasciate, o rimpatriate dalla prigionia, di morti nel corso del
conflitto, di uccisi per regolamenti di conti anche molti anni dopo la
fine della guerra, o addirittura (la mistificazione suprema) si trattava
di partigiani uccisi dai nazifascisti.
Questo studio, essendo basato su documenti (alcuni dei quali inediti) era
quindi inoppugnabile da un punto di vista storiografico, e suscitò
(com’era da aspettarsi) reazioni negative da parte di coloro che avevano
da sempre usato a scopo politico la questione delle foibe, ingigantendo il
numero delle vittime
Le risposte non mancarono, da Pirina che pubblicò un pamphlet dal
significativo titolo “Ecco il conto!”, che non a caso riprende in
copertina il titolo, la grafica ed una delle foto che apparivano
nell’omonimo libello edito dai nazisti nell’inverno del ‘43 sulle
foibe istriane, al ponderoso volume di Giorgio Rustia che oggi viene
propagandato sul sito dell’ANVGD (12) come “la risposta completa e
dettagliata a tutte le teorie negazioniste di sedicenti storici e
trinariciuti divulgatori che imperversano su internet, nelle librerie, ai
convegni e nelle scuole”. Nessuna di queste “risposte” è stata in
grado di confutare i risultati delle ricerche pubblicate in “Operazione
foibe a Trieste”, né tantomeno nella successiva edizione del 2005
(“Operazione foibe tra storia e mito”), ma in riferimento al termine
“teorie negazioniste” cui accenna l’ANVGD bisogna spiegare che nel
corso degli anni si è costituito un gruppo di ricercatori storici
(Resistenza storica) che sulla base di nuova documentazione trovata in
archivi non solo italiani, ha prodotto svariati studi sull’argomento.
Queste ricerche sono state sbrigativamente definite “negazioniste” in
quanto non concordano con quanto è stato finora sostenuto in maniera del
tutto propagandistica, proprio dalle stesse persone ed associazioni che
non si fanno scrupolo di affermare il falso pur di mantenere viva la
“mitologia” delle foibe.
Se queste reazioni da parte della destra non stupiscono, la cosa che dà
da pensare, invece, è che gli storici accreditati in materia (Pupo e
Spazzali) bollarono “Operazione foibe a Trieste” come “tesi
militanti” (13), negandogli dunque una qualsivoglia dignità di testo
storico (quanto alla successiva edizione, “Operazione foibe tra storia e
mito”, spesso non viene neppure citata nelle bibliografie
sull’argomento). Questi sono gli stessi storici che hanno iniziato la
pubblicazione di alcuni testi la cui intenzione sembra essere quella di
analizzare il “fenomeno delle foibe” in senso politico e non
storiografico, in quanto ritengono che non sia più necessaria la ricerca
storica sull’argomento. Pertanto questi testi non tengono conto tanto di
documenti (inediti o già noti) ma si basano piuttosto su quanto già
pubblicato precedentemente da altri studiosi.
Inoltre, nel citato “Foibe” del 2003 Pupo e Spazzali diedero una
svolta notevole nella storiografia in materia:
< Quando si parla di “foibe” ci si riferisce alle violenze di massa
a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi
nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della
Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di
vittime. È questo un uso del termine consolidatosi ormai, oltre che nel
linguaggio comune, anche in quello storiografico, e che quindi va accolto,
purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale >.
Gravissima affermazione, dato che solo una minima parte di coloro che
morirono per mano partigiana durante e dopo la guerra furono
effettivamente uccisi nelle foibe, mentre la maggior parte di coloro che
persero la vita nel dopoguerra morirono nei campi di prigionia o dopo
condanna a morte. Ma accettare a livello storicistico una tale
definizione, che nell’immaginario collettivo ha sempre richiamato
l’immagine di una morte terribile, significa soltanto voler perpetuare
una generalizzazione mistificante che non fa certo un buon servizio alla
realtà storica.
Punto finale, 2010: “colpire la
memoria, riscrivere la storia”.
“Operazione foibe a Trieste” si apriva
con la citazione di alcuni versi della canzone “Ruggine” degli Africa
Unite: “colpire la memoria, riscrivere la storia”, parole che a
distanza di 13 anni appaiono quanto mai appropriate. Nel 2004 fu approvata
la legge per l’istituzione del Giorno del ricordo “della tragedia
degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro
terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più
complessa vicenda del confine orientale” (14), da celebrare il 10
febbraio, cioè nell’anniversario della firma del Trattato di pace del
1947. La legge prevede dunque che in tale giornata si approfondisca la
conoscenza dei fatti del confine orientale, il che significa parlare non
solo delle foibe e dell’esodo, ma anche dei crimini di guerra italiani e
più genericamente del fascismo e dell’antifascismo nelle nostre terre.
Dal 2005, quindi, si sono moltiplicate le iniziative sull’argomento, non
solo quelle meramente celebrative, organizzate dalle associazioni degli
esuli (principalmente l’ANVGD), che ripropongono le vecchie teorie
propagandistiche delle “migliaia di infoibati solo perché italiani”;
ma anche iniziative che vedono la partecipazione di storici seri, tra i
quali anche i rappresentanti di Resistenza storica.
Contro questi ultimi si è scatenata un’offensiva feroce che, partendo
dal presupposto che tutto quanto era stato detto “prima” sulle foibe
è verità conclamata, tutti coloro che (pur portando a dimostrazione di
quanto scrivono fior di documenti) non vi si conformano, diventano
automaticamente “negazionisti”, ai quali dovrebbe essere, secondo le
posizioni di Lega nazionale, Unione degli Istriani e ANVGD (supportati da
alcuni esponenti politici) impedito di parlare, e magari in un futuro
comminata la galera se insistono a voler esprimere le loro posizioni.
È interessante che il presidente dell’Unione degli istriani,
Massimiliano Lacota, che vorrebbe venisse emanata una legge a questo
scopo, abbia anche preso le distanze da coloro che non conoscendo i fatti
storici tendono ad ingigantire il fenomeno foibe, esagerando la quantità
delle vittime, ed ha invece considerato quali storici seri Pupo e
Spazzali, che in effetti negli ultimi mesi sembrano avere monopolizzato la
gestione storiografica sulle vicende del confine orientale alla fine del
secondo conflitto mondiale.
È necessario a questo punto fare
un’analisi della storiografia secondo Pupo e Spazzali, come l’abbiamo
sentita esprimere nel corso di una conferenza tenutasi a Gorizia il 23
maggio scorso.
Come accennato sopra, nel corso degli ultimi quindici anni, soprattutto da
parte di giovani ricercatori di buona volontà, spesso del tutto ignorati
da altri storici “accademici” (tra i quali gli italiani Valdevit,
Spazzali, Pupo e la slovena Troha) sono emersi documenti interessantissimi
sull’argomento “foibe”, tra essi il carteggio di fonte alleata
rinvenuto dal ricercatore triestino Gorazd Bajc negli archivi di
Washington, che chiarisce cosa effettivamente NON ci sia nella foiba di
Basovizza. Citiamo soltanto il documento del febbraio 1946 nel quale i
vertici militari angloamericani ordinano di sospendere le ricerche a
Basovizza con la raccomandazione però di dire che lo si fa per problemi
tecnici e non perché oltre alla decina di corpi esumati sei mesi prima
non c’è più nulla da recuperare, dato che non si può smentire quanto
asserito dal CLN (15).
Del resto Pupo sostiene che nel corso degli ultimi anni non sono emersi
nuovi documenti sulle foibe (in effetti nelle sue opere e nei suoi
interventi egli non solo non considera nulla di quanto altri ricercatori
hanno rinvenuto negli ultimi anni, ma non tiene conto neppure di documenti
vecchi, ad esempio la relazione Cordovado che abbiamo visto prima), tutto
quello che c’era da trovare è stato trovato e, pur senza avere ancora
preso visione degli archivi di Belgrado afferma già con sicurezza che non
ci sono neppure lì documenti importanti. La sua conclusione è quindi che
i fatti storici sono assodati ed ormai sulla questione delle foibe non
c’è altro da sapere (un’inedita sintonia con le posizioni espresse da
Fausto Bertinotti nel famoso convegno di Venezia del 2004) e l’unica
cosa da fare oggi, su questi argomenti, sono valutazioni ed
interpretazioni di tipo politico anziché storico.
Sostanzialmente in tal modo viene lasciato ai propagandisti come Pirina di
entrare nel merito concreto della questione (cioè il numero dei
cosiddetti “infoibati”), senza valutare se quanto detto corrisponda a
verità; e considerando che Pupo ha fatto anche un breve cenno alla
questione dei “negazionisti”, da lui definito come fenomeno marginale
al quale è stato dato anche troppo risalto, ciò che viene da pensare è
che Pupo ritenga valide le cifre di Pirina, visto che considera
“negazionisti” coloro che lo hanno smentito.
Nell’ambito della valutazione di questi fenomeni storici da un punto di
vista politico, vediamo poi anche che la vicenda non solo non viene
inquadrata nell’ambito di quella che fu la sistemazione degli equilibri
internazionali alla fine della seconda guerra mondiale, ma che si è
addirittura giunti alla creazione di un “non-fenomeno”, utilizzando il
metodo di Pupo e Spazzali di considerare l’accezione più ampia del
termine “foibe” nel “suo significato simbolico e non letterale”.
Se consideriamo i milioni di morti della seconda guerra mondiale, il
numero di vittime “delle foibe” (circa trecento nel settembre 1943),
risulta talmente minimale da non poter essere preso in considerazione come
“fenomeno” a sé stante, a meno che non si decida di accomunare in
senso “simbolico” le vittime della jacquerie del settembre ’43 in
Istria, le vittime di regolamenti di conti e vendette personali, i
militari morti di tifo nei campi di internamento, i condannati a morte per
crimini di guerra alla fine del 1945. Solo con questa
“generalizzazione” si riesce a raggiungere un numero di vittime
(attribuibili genericamente agli “jugoslavi”) tale da poter essere
considerato rappresentativo di un fenomeno (“alcune migliaia”,
scrivono Pupo e Spazzali), che viene letto come pianificazione operata dal
nascente Stato jugoslavo per l’eliminazione di chi avrebbe potuto
costituire un pericolo per l’instaurazione del nuovo “regime”.
In realtà, come abbiamo evidenziato in precedenza, la Jugoslavia non
aveva in alcun modo “pianificato” le uccisioni di chi poteva essere
considerato un “nemico”; così i militari prigionieri nei campi di
internamento, morti per malattia, non furono uccisi scientemente perché
“pericolosi” per la costruzione della nuova Jugoslavia, né si può
attribuire alle autorità jugoslave la responsabilità degli uccisi per
vendette personali o regolamento di conti. E nel contempo diventa
necessario, per perpetuare questa teoria politica, considerare con
sufficienza, se non con disprezzo, gli storici che insistono nel voler
fare la “contabilità dei morti”, cioè distinguere le modalità delle
uccisioni e le qualifiche delle vittime.
Così assistiamo a manipolazioni storiografiche di non poco conto: quando
Pupo afferma che le autorità jugoslave a Trieste arrestarono tutti coloro
che non vollero mettersi a loro disposizione (ciò accadde ad un reparto
di guardie di finanza e parte del CVL locale), “dimentica” che la
Jugoslavia era un paese alleato del blocco antinazifascista (l’Italia
era solo cobelligerante) e che gli accordi armistiziali prevedevano che
quando un esercito alleato arrivava in un territorio già occupato dai
nazifascisti, tutti gli elementi armati dovevano porsi a disposizione
degli alleati, consegnando loro le armi. Questo valeva nei confronti degli
angloamericani come nei confronti degli jugoslavi, quindi a Trieste chi
non accettava di consegnare le armi agli jugoslavi veniva considerato come
nemico con le conseguenze del caso. Accettare questo dato di fatto non
significa prendere le parti dell’una o dell’altra fazione, come
sostiene Pupo, è invece vero il contrario, quando si interpretano gli
eventi storici in modo fazioso per portare acqua al mulino delle proprie
tesi; tesi che, nel caso di Pupo, è che tutti gli uccisi dagli jugoslavi,
dai militari prigionieri di guerra ai collaborazionisti italiani, sloveni
e croati, alle vittime di vendette personali, tutti costoro, secondo Pupo,
sarebbero stati uccisi per permettere la costruzione della “nuova
Jugoslavia”.
Ma questa interpretazione storica sui generis porta
infine alla seguente valutazione politica: coloro che collaborarono con la
resistenza jugoslava (il Partito comunista, il Fronte di
Liberazione-Osvobodilna Fronta ed Unità operaia-Delavska Enotnost a
Trieste) non vengono considerati come combattenti antifascisti per la
libertà, ma come sostenitori di un “regime” nato dalla violenza, e di
conseguenza esecrabili. In questo contesto è anche fondamentale operare
un’altra mistificazione, e cioè affermare che il Partito comunista
triestino era uscito dal CLN di Trieste perché preferiva collaborare con
il Fronte di Liberazione collegato con la resistenza jugoslava. In realtà
le cose andarono diversamente: quando il CLN di Trieste prese contatto con
la dirigenza del CLN Alta Italia le direttive di quest’ultimo furono che
nella Venezia Giulia era necessario collaborare con la resistenza
jugoslava, come già faceva il Partito comunista. I dirigenti del CLN
triestino, però, nazionalisti ed anticomunisti, si opposero e preferirono
rompere il collegamento col CLNAI, che a quel punto rimase in contatto col
solo Partito comunista. Quindi non fu il PC ad uscire dal CLN ma il CLN a
staccarsi dal CLNAI, e se storici come Pupo ribaltano la storia in questo
modo, il sospetto è che lo facciano per uno scopo meramente politico, cioè
dipingere la resistenza di sinistra (che fu l’unica vera resistenza
armata nella Venezia Giulia) come “asservita” al movimento di
liberazione jugoslavo, e quindi colpevole e complice, quantomeno da un
punto di vista “morale”, delle “foibe”, che secondo queste
interpretazioni più politiche che storiche, avrebbero avuto lo scopo
politico dell’eliminazione di chi si opponeva alla politica jugoslava,
alla presenza jugoslava a Trieste, alla costruzione della Jugoslavia.
In tale modo la resistenza di sinistra non può che apparire al lettore in
modo negativo, e va da sé, a questo punto, che l’unica resistenza
accettabile diventa giocoforza quella nazionalista, cattolica,
anticomunista, quella che secondo una definizione di Pupo avrebbe
combinato assieme “antifascismo e rivendicazione risorgimentale di
italianità”; resistenza che, però, si era costituita concretamente
soltanto all’inizio del 1945, quando i nuovi dirigenti, subentrati a
coloro che erano stati arrestati dai nazifascisti nella terza operazione
condotta dai nazifascisti contro i vertici del CLN (dietrologicamente a
posteriori si potrebbe anche pensare che tali arresti, causati da un
delatore che denunciò i membri di una missione del Regno del Sud, il
comandante della quale collaborò con i nazisti in funzione antijugoslava,
siano stati molto opportuni per la successiva politica del CLN triestino),
avendo valutato la possibilità che l’esercito jugoslavo giungesse a
Trieste prima degli angloamericani, decisero di organizzarsi per il
passaggio di potere e costituirono le brigate del CVL (raccogliendo
personale dalle forze armate collaborazioniste, PS, Guardia di finanza e
Guardia civica ed anche singoli provenienti dalla Decima Mas) il cui scopo
(dichiarato a posteriori da esponenti del CVL) era non tanto quello di
combattere i nazisti che comunque stavano abbandonando Trieste, quanto il
far apparire sia all’Esercito jugoslavo che entrava in città, sia agli
Angloamericani che sarebbero arrivati alcuni giorni dopo, che a Trieste
esisteva anche una “resistenza patriottica” oltre a quella comunista
ed internazionalista che aveva operato durante l’occupazione germanica.
Ricordiamo che uno dei nuovi dirigenti del CLN era il poeta Biagio Marin,
che fino ad un paio di anni prima non era stato solo un gerarca fascista,
ma anche un convinto assertore della positività della politica
hitleriana. Quale opinione potevano avere di un CLN rappresentato da
persone come questa i combattenti del Fronte di liberazione e del Partito
comunista?
Inoltre la Brigata Venezia Giulia del CVL (che raccoglieva diversi
transfughi sia dalla Decima Mas che dalla polizia politica fascista) operò
nei “40 giorni” di amministrazione jugoslava non solo con azioni di
propaganda, ma anche con attentati dinamitardi, ed arrivò addirittura a
rapire un paio di membri del Comitato esecutivo antifascista triestino (il
governo provvisorio della città, composto da membri sloveni ed italiani).
Fu perché questo settore del CVL operò in maniera terroristica che una
decina di membri di esso fu arrestata dalle autorità verso la fine di
maggio 1945, e non perché (come sostiene Pupo) fossero contrari in senso
generico alla politica jugoslava.
Tra gli attivisti di questa “resistenza” troviamo il triestino Fabio
Forti, oggi rappresentante dell’AVL-Associazione Volontari della Libertà,
nonché promotore, assieme a Stelio Spadaro ed allo storico Patrick
Karlsen, di un progetto editoriale di pubblicazione di testi che
riscrivono la storia della resistenza “patriottica” a Trieste. Forti
ha più volte asserito che il loro CLN è stato l’unico in Italia che
rimase in clandestinità fino al 1954 (quando Trieste fu definitivamente
affidata all’amministrazione italiana), aggiungendo anche che “nel
nostro spirito siamo ancora in clandestinità”.
Consideriamo che da questa “resistenza” derivarono, nel dopoguerra,
quelle organizzazioni armate, clandestine, che operarono nella Venezia
Giulia, nel Friuli e nelle Valli del Natisone (tricoloristi,
organizzazione “O”, Gladio, squadre di Cavana e del Viale a Trieste),
causando anche diverse vittime; e ricordiamo anche come operarono in
funzione anticomunista (non si poteva permettere che il Partito comunista
andasse al governo in Italia) tanti ex rappresentanti di questa
“resistenza patriottica” (Fumagalli con il suo MAR, Edgardo Sogno con
il suo tentativo di golpe) e le connessioni ancora non del tutto chiarite
tra esponenti dei servizi, ex partigiani bianchi e neofascisti, che
emergono dalle indagini sulle stragi di piazza Fontana e di Brescia, fatti
che ancora oggi pesano sulla storia dell’Italia democratica.
Eppure è proprio questa la “resistenza” che emerge come positiva
dalle riletture storiche di accademici come Pupo, a scapito della
resistenza “rossa”, che viene descritta come antidemocratica,
responsabile di esecuzioni sommarie; riletture dove la criminalizzazione
della resistenza comunista va di pari passo con la riabilitazione dei
fascisti, dei “ragazzi di Salò” ai quali Luciano Violante aveva già
teso una mano a metà degli anni ’90. Perché troppo spesso abbiamo
sentito dire che in fin dei conti se i fascisti hanno commesso dei crimini
lo fecero per amore di patria, e che invece i comunisti commisero dei
crimini per motivi ideologici, e quindi ambedue le parti hanno le loro
responsabilità negative, dal che sorge l’elogio della “zona
grigia”, quella che nella migliore delle ipotesi si costituì in
“resistenza democratica”, limitandosi ad aspettare che gli
angloamericani arrivassero a liberare l’Italia. E non abbiamo forse
sentito dire anche da esponenti della sinistra (ad esempio Fausto
Bertinotti, segretario di Rifondazione comunista, nel 2004) che non fu
giusto armarsi e ricorrere alla violenza, come se fosse più eticamente
corretto lasciare che siano altri a sporcarsi le mani di sangue, ma
tant’è.
Questa la storia d’Italia che si vuole riscrivere a distanza di
sessant’anni, a fini meramente politici, e logicamente per raggiungere
questo scopo è necessario mettere a tacere ogni voce che non si adegua,
dal punto di vista storiografico, a questo “nuovo corso”.
Forse è per questo che oggi ci troviamo, noi rappresentanti di
“Resistenza storica” ad essere criminalizzati da propagandisti di
quella destra nazionalista e neoirredentista, così come snobbati o
addirittura tacciati di ideologismo da storici che invece sono i primi ad
usare la storia per dimostrare le loro teorie politiche. Perché, si badi
bene, siamo gli unici che ricercano documenti originali e li analizzano
per poi trarne delle conclusioni di tipo storico, mentre gli uni e gli
altri che ci tacciano di “negazionisti” non solo non scrivono di
storia, limitandosi a produrre analisi politiche, ma non considerano
minimamente la documentazione esistente che potrebbe minare le loro certezze
affermazioniste, quella sorta di “miti” che servono a perpetuare
la propaganda anticomunista e nazionalista sulle foibe, quella propaganda
iniziata dai nazisti nel 1943 e che ancora oggi, nonostante sia stata
smentita più e più volte, non sembra avere la possibilità di un
riscontro neppure a livello di storici accademici come Pupo, Spazzali ed
altri.
Infine una breve considerazione personale: quando, ormai molti anni fa,
avevo iniziato a studiare queste cose, la reazione che avevo riscontrato
da parte della mia componente politica di riferimento, la sinistra
cosiddetta “radicale”, era stata di sufficienza se non di fastidio,
come se fosse una perdita di tempo occuparsi di fatti di cinquant’anni
prima. Oggi, quando dovrebbe essere chiaro che speculare su fatti di
sessant’anni fa, riscrivendo la storia non solo d’Italia ma di tutta
Europa, ha lo scopo di negare ogni dignità politica ai partiti comunisti
in modo da eliminare completamente ogni forma di opposizione al
neoliberismo capitalista ed imperialista, non posso fare a meno di
considerare che se la sinistra fosse stata meno miope tempo addietro,
forse oggi non ci troveremmo in questa situazione.
NOTE:
1) Paolo Parovel, “Analisi sulla questione
delle foibe”, inviata al Ministero degli Interni.
2) Archivio IRSMLT, n. 346.
3) Istruttoria 904/97 RRG.
4) Luigi Papo, “L’ultima bandiera. Storia del reggimento Istria”,
supplemento a “L’Arena di Pola”, 1986.
5) Il Centro, presieduto da Libero Sauro, fu rifondato a Roma nel 1947.
6) Documento conservato presso l’Archivio dell’Istituto Regionale per
la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, XXX 2227.
7) “Trieste Sera”, 4/2/48, articolo siglato “B.C.”.
8) Nei “Diari” di Diego de Henriquez, conservati presso i Civici musei
di Trieste, pag. 12.512.
9) “La questione dei ‘criminali di guerra’ italiani e una
Commissione di inchiesta dimenticata”, in “Contemporanea”, a. IV,
n.3, luglio 2001, pp. 497-528.
10) Intervista a cura di Dino Messina in http://lanostrastoria.corriere.it/2008/08/italiani-mala-gente.html.
11) Nel sito www.italy.indymedia.org.
12) Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, organizzazione
irredentistica che opera in tutta Italia.
13) In "Foibe” edito da Bruno Mondadori nel 2003.
14) Articolo 1 della Legge 92/04.
15) “Priorità/Combined Chiefs of Staff/W.D. Ext.
77500/Secret to Allied Force Headquarters Caserta Italy – British Joint
Staff Mission Washington DC (Signed C.R. Peck, Colonel, Infantry U.S.
Executive Secretary)/Secret/19 February 1946”.
Parte della documentazione è fotocopiata e
le fotocopie sono depositate nel Pokrajinski Arhiv Koper (PAK), ae 648.
Pubblicato
Luglio 1, 2010 05:05 AM
Iniziativa
a ANCONA 27 febbraio 2010
In attesa della prossima
pubblicazione: I profughi fiumani a Brindisi: accolti come fratelli dalla
popolazione ma trattati solo come arma elettorale e fonte di guadagni
illeciti dalle opere assistenziali dalla classe politica che non volle
accogliere i loro progetti di inserimento economico nella città. ( di Antonio Camuso)
Pubblichiamo un breve editoriale
su:
FOIBE E PROFUGHI SOLO NEL GRANDE
SCANNATOIO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE O SONO UNA COSTANTE DELLA GUERRA
CAPITALISTA ED IMPERIALISTA?
10
febbraio 2010 giornata del ricordo o dell’ipocrisia?
Il rituale di dichiarazioni contrite,sul dramma
dei profughi di Istria e Dalmatia e sulla tragedia delle foibe ( ancor
oggi arena di disputa sui numeri se si tratti di
alcune centinaia o di qualche migliaio di italiani, militari e
civili gettati nelle foibe dall’esercito yugoslavo dopo la fine della
guerra)non può esser motivo di cancellazione dei motivi scatenanti di
quell’ultimo colpo di coda di barbarie infinita che fu la Seconda Guerra
mondiale. Vinti e vincitori utilizzarono il genocidio, la pulizia etnica ,
lo stupro sistematico, la violazione di tutti i diritti umani e tutele convenzioni
internazionali che essi stessi avevano giurato di rispettare. Furono usate
le armi di distruzione di massa come la bomba atomica, il napalm, i
bombardamenti incendiari, furono attaccati nel corso della seconda guerra
mondiale ospedali, ambulanze, affondate navi che trasportavano feriti che innalzavano il vessillo della croce rossa. Furono
sterminati milioni di esseri umani solo perché di un’altra religione,
un’altra etnia, un altro credo politico. Fu uccisa la ragione
e purtroppo con essa ogni segno di umanità.
Chiara ed evidente è la responsabilità totale
del fascismo ed il nazismo nell’aver scatenato quel grande scannatoio
che fu appunto quella guerra, ma assolvere i macellai che sotto tutte le
uniformi diedero sfogo ai loro impulsi bestiali per soddisfare la loro
sete di sangue e di grandezza , solo perché alla fine furono dalla parte
dei vincitori, questo non mi sembra giusto, ma senza poi voler cercare di
riscrivere la Storia in chiave anticomunista.
Della tragedia degli italiani d’Istria dobbiamo
dire che avvenne in questo contesto e la stragrande maggioranza di loro
pagò innocentemente le colpe
delle atrocità dei fascisti italiani in Yugoslavia
e la loro sorte seguì quella di cosacchi, degli estoni e Lituani, dei tedeschi dell’Est, e di tanti altri popoli che alla fine della Seconda GM furono
estromessi dalle loro terre o costretti a vivere divisi da un Muro. Popoli
che pochi anni prima convivevano mescolandosi tra loro e dove muri e
confini erano solo disegni su carte geografiche delle quali essi in gran
parte non conoscevano neanche l’esistenza e che videro l’esistenza
sconvolta dalla follia della guerra capitalista e fascista.
Se dovessimo ricordare nella giornata odierna
questi fatti dovremmo ricordare allora anche il milione e mezzo di
profughi che ancor oggi, dal lontano 1948 , vive lontano dalla propria
terra: i palestinesi anch’essi scacciati sotto l’incalzare di
baionette, di bombardamenti e massacri Ed ancora come fare a dimenticare
lo scannamento in poche ore di migliaia di donne e bambini nei campi di
Sabra e Chatila in Libano,da parte delle cristianissime milizie falangiste
dopo che i nostri soldati, pochi
giorni prima, con il casco blu in testa, avevano allontanato, trasportando
lontano, i loro mariti e
padri combattenti palestinesi? Non fu quella un’unica foiba a cielo
aperto?
E che dire degli orrori ai quali abbiamo assistito
in tutta la vicenda Balcanica?Perchè a pagare non sono tutti coloro che
vollero la disgregazione della Yugoslavia? e poi l'infamia della Cecenia e
delle tante guerre del Caucaso per il possesso del Petrolio?
AC per l'archivio storico B Petrone
10 febbraio 2010
SEGUONO
ALCUNE OPINIONI DIVERSE SU QUELLO CHE FU IL FENOMENO DELLE FOIBE.
Le foibe: una ricostruzione oltre la propaganda.
di Marco Ottanelli
http://bellaciao.org/it/spip.php?article25989
"Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la
slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella
del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso
e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari
a 50.000 italiani". Benito Mussolini, 1920
Premessa: Questa redazione ha, tra i suoi impegni, sempre
privilegiato quello della ricerca quanto più obiettiva della realtà dei
fatti, anche quando scomoda e dolorosa. In un momento storico in cui gli
eredi del partito fascista sono al governo del Paese, ed in cui la
retorica patriottarda risuona ancor più violenta e oscurantista del
solito, riteniamo necessario ricollocare storicamente e documentatamente
la vicenda delle foibe istriane, vicenda alla quale la destra e le
sinistra amorevolmente unite hanno deciso di dedicare una speciale
giornata della memoria. Anzi, l’allora ministro Gasparri ha voluto, nel
2005, sollecitare tutti i mezzi di informazione liberi ad occuparsi della
vicenda. Scrivemmo un articolo, su questo dicktat, “Ultime dal Minculpop”,
andato purtroppo perso quando i nostri computer furono sequestrati. La
nostra redazione ha partecipato, sempre nel 2005, e proprio in seguito a
quell’articolo, ad una trasmissione radiofonica – trasmessa da
Controradio, e alla quale hanno partecipato Raffaele Palumbo, Nicola
Tranfaglia, Giacomo Scotti, Marco Ottanelli, Giovanni Bellini, Sandro
Damiani - che è servita a far luce e a chiarire quanto possibile la verità,
appunto, di quel tragico periodo. Da quell’incontro, dalla lettura di
molti libri, di molti testi storici e d’archivo, e soprattutto da un
viaggio effettuato in quelle terre, scaturì questa nostra breve ricerca.
E’ con immenso rammarico che dobbiamo rassegnarci ad aver perduto,
sempre in quel sequestro, una serie di foto, testimonianze, ricordi, dati
e conferme da noi raccolti o che ci erano giunti dai nostri lettori.
Questo articolo, che è stato pubblicato su centinaia di siti, compresi
quelli della resistenza italiana e della resistenza slovena; tradotto in
inglese, è stato inserito nel sito della internazionale e, con nostro
estremo onore, ha dato seguito a dibattiti ed incontri che si sono svolti
in Toscana ed Emilia.
Cosa sono, le foibe? Cioè, quale episodio della storia
evocano?
In poche ed essenziali parole, le foibe (tecnicamente
caverne e aperture carsiche del terreno) sono, per la nostra storia, il
luogo in cui, a fine guerra mondiale, furono uccisi e gettati, spesso dopo
umiliazioni e tormenti, moltissimi italiani. Gli eccidi si svilupparono in
due momenti: il primo, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre
1943, quando si scatenarono vendette e rancori mai sopiti dopo 20 anni di
italianizzazione forzata; il secondo, molto più grave per numero delle
vittime, nella primavera del ’45, quando le truppe titine occuparono la
Venezia Giulia, la Dalmazia, Trieste e parte del Friuli.
Le origini antiche di un odio feroce.
Sia nella Serenissima Repubblica Veneta, sia nell’Impero
Austro-Ungarico, il concetto di nazionalità era tanto sfumato quanto poco
“etnico”. È solo dopo la prima guerra mondiale, cioè quando i
nazionalismi si affermano fino a sfociare nei razzismi di Stato, che il
Regno di Italia comincia una politica di italianizzazione forzata delle
“terre irredente”. Da ogni regione, piovono funzionari e impiegati
pubblici, che sostituiscono i locali. La lingua ufficiale, anzi, quella
obbligatoria, diventa l’italiano, e dialetti e lingue dei popoli
presenti sul territorio sono vietati, proibiti. Se l’effetto di tale
norma è assai violento nelle città della costa, dove comunque gli
“italiani” erano in maggioranza o assai numerosi, e dove bi e
trilinguismo erano la norma, è nelle zone rurali e nell’interno che gli
slavi (sloveni, croati, dalmati, cicik), in gran parte contadini poco
alfabetizzati, si ritrovano ad essere stranieri in patria. Le durissime
condizioni imposte dal Regno si fanno ancora più rigide ed intolleranti
con il fascismo. Tra gli episodi da ricordare in questa prima fase: la
chiusura del liceo classico di Pisino, dell’istituto magistrale
femminile di Pisino e del ginnasio di Volosca (1918), la chiusura delle
scuole elementari slovene e croate, e il confino di alcuni esponenti
Sloveni e Croati in Sardegna e in altre località italiane.
A ciò si aggiungevano le violenze squadriste fasciste non
contrastate dalle autorità, come gli incendi delle sedi associative a
Pola e a Trieste. In Istria l’uso dello sloveno e del croato
nell’amministrazione e nei tribunali era stato limitato già durante
l’occupazione (1918-1920). Nel marzo 1923, con Mussolini già al
governo, il prefetto della Venezia Giulia vietò l’uso dello sloveno e
del croato nell’amministrazione, mentre per decreto regio il loro uso
nei tribunali fu vietato il 15 ottobre 1925.
Il colpo definitivo al sistema scolastico sloveno e croato
in Istria arrivò il 1 ottobre 1923 con la riforma scolastica del ministro
Gentile. L’attività delle società e delle associazioni croate e
slovene era stata vietata già durante l’occupazione, ma venne
definitivamente annichilita con l’entrata in vigore della Legge sulle
associazioni (1925), della Legge sulle manifestazioni pubbliche (1926) e
della Legge sull’ordine pubblico (1926). Nel 1927 fu il turno del
cambiamento dei cognomi (la toponomastica era già stata italianizzata nel
1923). Così vennero italianizzati quasi tutti i cognomi sloveni e croati.
Un vero atto di brutalità verso le identità personali. (Non dobbiamo
dimenticarci che tali provvedimenti vennero presi anche a Zara e Fiume,
città “extraterritoriali” che furono annesse a forza dopo la prima
guerra mondiale e al di fuori dei trattati di pace.)
Le leggi razziali antiebraiche e genetiche del 1938 (che
seguono le meno famose, meno organiche, ma altrettanto famigerate leggi
razziali del ’36-’37 emanate nei confronti dei popoli di pelle nera, e
altri “coloniali”) dividono ancor più la cittadinanza in due
categorie, gli “italiani puri” e gli inferiori. Duramente colpita, in
particolare, la numerosa e antica comunità ebraica di Trieste, da sempre
città cosmopolita e multiculturale.
La seconda guerra mondiale
La ignobile aggressione alla Grecia e la eroica resistenza
ellenica obbliga i comandi italiani in difficoltà a chiedere
l’intervento della Germania, mettendo così fine alla illusione della
“guerra parallela”. Nel 1941, dopo un criminale bombardamento su
Belgrado, che viene rasa al suolo, tedeschi, ungheresi ed italiani
invadono la Jugoslavia, occupandola completamente in poche settimane.
All’Italia spettano: l’intera costa dalmata, parte del
Montenegro, quasi l’intera Slovenia, e la Croazia, sotto forma di
protettorato.
La Slovenia viene annessa, e diventa la provincia di
Lubiana. La Croazia diventa un regno “indipendente”, con primo
ministro Ante Pavelic, un fascista feroce e sanguinario, amico di vecchia
data di Mussolini, e come Re un cugino di Vittorio Emanuele III, Aimone di
Aosta. Il partito fascista e razzista croato, gli Ustascia, formato da
fanatici religiosi (cattolici) e nazionalisti, appoggiati dal vescovo di
Zagabria e primate di Croazia Stepinac, intraprendono fin da subito una
opera di pulizia etnica nei confronti di Serbi e altre minoranze, spesso
spalleggiati dalle truppe italiane.
L’intera Jugoslavia diventa territorio di stragi e di
crudeltà. Alla fine della guerra, sarà uno dei paesi che avrà pagato il
più alto tributo di morti, da calcolarsi in circa 1 milione e mezzo di
persone su 16 milioni di abitanti (si pensi che i caduti italiani tra
civili e militari, fra battaglie e bombardamenti, repressioni e
fucilazioni, non supera le 250-300 mila unità su 45 milioni di abitanti).
In particolare, sono da attribuirsi alla responsabilità
diretta delle truppe di occupazione italiana almeno 250 mila morti, che le
fonti serbe però portano ad un totale di 300 mila.
Di questi, i morti in combattimento sono una parte esigua,
perché la stragrande maggioranza delle vittime fu dovuta a vere e proprie
stragi e repressioni, a saccheggi e a brutalità. In particolare, è da
ricordare il ruolo della II Armata Italiana, sotto il comando del generale
Roatta.
La situazione è differenziata nei diversi territori: le
peggiori e più inumane condizioni si verificarono nella Jugoslavia
meridionale, dove si aprì una vera e propria caccia al serbo. Vere e
proprie spedizioni italo-croate partivano alla volta dei villaggi e delle
cittadine serbe, dove, in un’orgia di violenze di ogni tipo, centinaia
di uomini, donne e bambini venivano torturati e uccisi. I villaggi
jugoslavi distrutti dagli italiani sono non meno di 250, ai quali vanno
aggiunti quelli distrutti in collaborazione con i tedeschi o con altre
milizie dell’Asse.
250 Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema in cui i
colpevoli, i macellai, eravamo noi. Gli episodi di efferatezza e di
crudeltà non si contano, e le mutilazioni, gli stupri, gli accecamenti
erano all’ordine del giorno. Il comandante partigiano cattolico Edvard
Kocbek così descriveva un’offensiva sferrata dall’esercito italiano
nell’agosto del 1942: "I villaggi bruciano, i campi di grano e i
frutteti sono stati devastati dal nemico, le donne e i bambini strillano,
quasi in ogni villaggio degli ostaggi vengono passati per le armi,
centinaia di persone vengono trascinate nei campi di prigionia, i bovini
muggiscono e vanno vagando per i boschi. La cosa più sconvolgente è che
questi orrori non vengono perpetrati da un’accozzaglia di primitivi come
al tempo delle invasioni turche, ma dai gioviali soldati del civile
esercito italiano, comandati da freddi ufficiali che impugnano fruste per
cani... ".
Spesso i partigiani slavi, o gli indifesi abitanti delle
campagne, erano bruciati vivi (su roghi di fascine, o chiusi nelle chiese
ortodosse, che furono distrutte – in questo modo- in gran numero). Le
deportazioni della “inferiore razza serba” furono massicce, e decine
di migliaia di ex soldati o di cittadini serbi fu avviata ai campi di
sterminio tedeschi o a quello della Risiera di San Sabba, a Trieste,
assieme con ebrei ed altre minoranze.
In Croazia, nel “regno indipendente”, l’opera delle
truppe italiane fu di supporto e affiancamento alle feroci milizie
ustascia, mentre nelle coste e isole annesse, la repressione della II
armata fu assai più pianificata e programmata. Stessa cosa in Slovenia,
che, entrata a far parte del territorio nazionale, doveva essere
completamente assimilata.
Gli occupanti italiani costruirono campi di concentramento
che, seppur non scientificamente predisposti allo sterminio, furono la
causa di migliaia di morti e di infinite sofferenze. Tutti conosciamo
Auschwitz e Buchenwald, ma decenni di censure ci hanno impedito di sapere
che noi, italiani, costruimmo e gestimmo i leger di Kraljevica, Lopud,
Kupari, Korica, Brac, Hvar, Rab. Furono creati campi anche in Italia, per
esempio a Gonars (Udine), a Monigo (Treviso), a Renicci di Anghiari
(Arezzo) e a Padova. Secondo stime rapportate nel volume dell’A.N.P.P.I.A.
Pericolosi nelle contingenze belliche, i fascisti internarono quasi 30.000
sloveni e croati, uomini, donne e bambini.
In Slovenia, già dall’ottobre del 1941, il tribunale
speciale pronuncia le prime condanne a morte, il mese dopo entra in
funzione il tribunale di guerra. La lotta contro i partigiani, che
diventano una realtà in continua espansione, si sviluppa nel quadro di
una strategia politico-operativa rivolta alla colonizzazione di quei
territori. Con l’intervento diretto dei comandi militari italiani la
politica della violenza si esercita nelle più svariate forme: iniziano le
esecuzioni sommarie sul posto, incendi di paesi, deportazioni di massa,
esecuzioni di ostaggi, rappresaglie sulle popolazioni a scopo
intimidatorio e punitivo, saccheggiamento dei beni, setacciamento
sistematico delle città, rastrellamenti… prende corpo il progetto di
deportazione di massa, con il trasferimento forzato degli abitanti di
Lubiana, progetto che i comandi discutono con Mussolini in un incontro a
Gorizia il 31 luglio 1942 . In una lettera spedita al Comando supremo dal
generale Roatta in data 8 settembre 1942 (N. 08906), viene proposta,
addirittura, la deportazione della intera popolazione slovena.
STRALCIO DELLE COMUNICAZIONI VERBALI FATTE DALL’ECC.
ROATTA NELLA RIUNIONE DI FIUME DEL GIORNO 23-5-1942
"Il DUCE è assai seccato della situazione in
Slovenia perchè Lubiana è provincia italiana. /.../ Anche il Duce ha
detto di ricordarsi che la miglior situazione si fa quando il nemico è
morto. Occorre quindi poter disporre di numerosi ostaggi e applicare la
fucilazione tutte le volte che ciò sia necessario. /.../ L’Ecc. Roatta
esprime il suo pensiero nei riguardi del sistema da usare per risolvere la
situazione in Slovenia: 1) - Chiudere la frontiera con la provincia di
Fiume e con la Croazia, specialmente nella zona di Gorjanci. /... / 2) -
Ad oriente del vecchio confine sgombrare tutta la regione per una zona di
una profondità variabile (3-4 km.). In tale zona sarebbe interdetta
qualsiasi circolazione tranne che sulle ferrovie e sulle strade di grande
comunicazione. Apposite pattuglie in servizio di vigilanza aprirebbero
senz’altro il fuoco contro chiunque. Il Duce concorda nel concetto di
internare molta gente - anche 20-30.000 persone. Si può quindi estendere
il criterio di internamento a determinate categorie di persone. Ad
esempio: studenti. L’azione però deve essere fatta bene cioè con forze
che limitino le evasioni. /.../ Il C. d’A. in base alle direttive
suesposte dovrà compilare uno studio, da presentare entro 3-4 giorni, dal
quale risulti: 1) - zone da sgomberare dalla popolazione, indicando
l’entità della popolazione da internare, suddivisa in famiglie (per
categorie); 2) - quali altri provvedimenti sono ritenuti necessari; 3) -
intenzioni operative nei vari stadi della situazione. /.../ Ricordarsi che
tutti i provvedimenti di sgombero di gente, li dovremo fare di nostra
iniziativa senza guardare in faccia nessuno.
Solo per quel che riguarda la piccola Slovenia, nei lager
italiani morirono 13.606 sloveni e croati. Nel lager di Arbe (sull’isola
di Rab) ne morirono dai 1.500 ai 2.500 circa. I civili e partigiani
“fucilati sul posto”, cioè durante azioni belliche, furono non meno
di 2.500; 1.500 invece i fucilati civili trattenuti come ostaggi, uccisi
cioè mesi dopo il loro internamento, per stanare le bande partigiane o
per vendetta contro azioni verso i nostri militari. I morti per sevizie,
torture, o bruciati vivi arrivano ad un totale documentato di 187.
Ripetiamo: questo solo nella “provincia di Lubiana”, dove più
numerose sono le documentazioni giuntaci.
S L O V E N I !
Al
momento dell’annessione, l’Italia vittoriosa vi ha dato condizioni
estremamente umane e favorevoli. Dipendeva da voi, ed unicamente da voi,
di vivere in un’oasi di pace.
Invece
molti di voi hanno impugnato le armi contro le autorità e le truppe
italiane.
Queste,
per un alto senso di civiltà ed umanità, si sono limitate all’azione
militare, evitando misure che gravassero sul’insieme della popolazione
ed ostacolassero la normale vita economica del paese. E’ solo quando i
rivoltosi sono trascesi ad orrendi delitti contro italiani isolati, contro
vostri pacifici concittadini e persino contro donne e bambini, che le
autorità italiane sono ricorse a misure di rappresaglia ed a qualche
provvedimento restrittivo, di cui soffrite per causa dei rivoltosi
Ora,
poichè i rivoltosi continuano la serie di delitti, e poichè una parte
della popolazione persiste nel favorire la ribellione, disponiano quanto
segue:
1°) - A partire da oggi nell’intera Provincia di
Lubiana:
sono
soppressi tutti i treni viaggiatori locali;
è
vietato a chiunque viaggiare sui treni in transito, tranne a chi è in
possesso di passaporto per le altre provincie del regno e per l’estero;
sono
soppresse tutte le autocorriere;
è
vietato il movimento con qualsiasi mezzo di locomozione, fra centro
abitato e centro abitato;
è
vietata la sosta ed il movimento, tranne che nei centri abitati, nello
spazio di un chilometro dai due lati delle linee ferroviarie. (Sarà
aperto senz’altro il fuoco sui contravventori);
sono
soppresse tutte le comunicazioni telefoniche e postali, urbane ed
interurbane.
2°) - A partire da oggi nell’intera Provincia di
Lubiana, saranno immediatamente passati per le armi:
coloro
che faranno comunque atti di ostilità alle autorità e truppe italiane;
coloro
che verranno trovati in possesso di armi, munizioni ed esplosivi;
coloro
che favoriranno comunque i rivoltosi;
coloro
che verranno trovati in possesso di passaporti, carte di identità e
lasciapassare falsificati;
i
maschi validi che si troveranno in qualsiasi atteggiamento - senza
giustificato motivo - nelle zone di combattimento.
3°) - A partire da oggi nell’intera Provincia di
Lubiana, saranno rasi al suolo:
gli
edifizii da cui partiranno offese alle autorità e truppe italiane;
gli
edifizii in cui verranno trovate armi, munizioni, esplosivi e materiali
bellici;
le
abitazioni in cui i proprietari abbiano dato volontariamente ospitalità
ai rivoltosi.
Sapendo
che fra i rivoltosi si trovano individui che sono stati costretti a
seguirli nei boschi, ed altri che si pentono di aver abbandonato le loro
case e le loro famiglie, garantiamo salva la vita a coloro che, prima del
combattimento, si presentino alle truppe italiane e consegnino loro le
armi.
Le
popolazioni che si manterranno tranquille, e che avranno contegno corretto
rispetto alle autorità e alle truppe italiane, non avranno nulla a
temere, nè per le persone, nè per i loro beni.
gen. Roatta, Lubiana luglio 1942 - XX
Altrettanto duro, e crudele, è il campo di Gonas vicino
Udine. Qua sono migliaia i bambini, soprattutto croati, lasciati a morire
letteralmente di fame.
(A proposito di morte per fame, è da ricordare come una
buona parte dei 100 mila greci deceduti sotto l’occupazione italiana,
morì appunto di inedia, poiché, per mantenere i numerosissimi uomini del
contingente di occupazione- al quale sono da includere anche i famosissimi
reparti di Cefalonia e di Corfù- si procedette con una espoliazione
totale delle risorse locali).
Nota del Generale Robotti Al Capo di Stato Maggiore Galli,
chiarire bene il trattamento dei sospetti, perchè mi pare che su 73
sospetti non trovar modo di dare neppure un esempio è un po’ troppo.
Cosa dicono le norme della 3° circolare, e quelle successive ?
Conclusione : SI AMMAZZA TROPPO POCO !
Dopo l’otto settembre 1943, ad una prima ritirata
(precipitosa) delle truppe regie, subentrano i tedeschi e i repubblichini
di Salò. I partigiani slavi (ai quali, è onesto e necessario dirlo, si
sono uniti nel frattempo anche migliaia di soldati italiani) intensificano
le loro azioni (è in questo senso istruttivo andare alle grotte di
Postumia: si noterà che la prima grande caverna, dove transitano milioni
di ignari turisti, è completamente spoglia e annerita; essa infatti era
un deposito di armi nazi-fascista che fu fatto esplodere dalla
resistenza). Ciò provoca azioni sempre più feroci ed intense. Questa
volta sono proprio i civili i primi obiettivi, e riprendono le
deportazioni e le stragi, stavolta dirette dalle SS. Comandante delle SS
era il triestino Odilo Globocnik, che si distinse per crudeltà. Se la
Dalmazia e la Croazia sono ormai in mano ai partigiani jugoslavi
(ricordiamo che la Jugoslavia è l’unico paese europeo che si liberò da
solo dalla occupazione nazi-fascista), è nella Venezia Giulia e nella
Slovenia che si concentrano le azioni militari.
Chiunque si addentri nel centro montano dell’Istria,
troverà il piccolo villaggio di Vodice (Vodizza, in Italiano). Esso si
trova, in linea d’aria, a non più di 20 km dal confine friulano, e si
presenta ancor oggi con macerie e abitazioni distrutte. Una lapide sul
palazzo principale ricorda come, nel 1944, il paese fu attaccato dalle
camice nere e dall’esercito repubblichino. (Esso è ovviamente in lingua
slava; ci venne tradotto da un anziano che parlava il dialetto locale,
ovvero il veneto antico, sopravvissuto alla italianizzazione e alla
slavizzazione). Circa 400 vecchi donne e bambini furono massacrati.
Immediatamente dopo, in una operazione combinata, intervenne la Luftwaffe,
che rase al suolo l’abitato e bombardò anche i dintorni, per annientare
gli scampati alla strage.
Ciò che più impressiona, oltre ovviamente al carico di
sangue e sofferenze che ci ricorda, è che Vodice-Vodizza, nel 1944,
faceva parte della provincia di Pola, era cioè italiana, ed italiani
erano i suoi abitanti, da ben 26 anni. La loro colpa? Quella di essere di
etnia cicik, insomma, istriani non latini. Un crimine rimasto impunito. Un
crimine rimasto sconosciuto. Uno dei tanti. Uno dei troppi.
I morti italiani
Come accennato all’inizio di questo scritto, non
vogliano, ne potemmo, negare né sottovalutare le sofferenze degli
italiani (e dei giuliani, istriani e dalmati di lingua e “etnia”
italiana). Ricordando, sempre e comunque, che la guerra di aggressione la
scatenò, senza neanche dichiararla, Mussolini contro la Jugoslavia, e che
quindi siamo stati noi i diretti responsabili della guerra e indiretti
responsabili di ogni sua più tragica conseguenza, illustriamo quanto
accadde nei due periodi (1943 e 1945) della “vendetta slava”.
Crollato il regime fascista, si verificò un fenomeno
alquanto strano e significativo: le “terre irredente” vennero
precipitosamente abbandonate. Le autorità civili (composte in gran parte
da ferventi fascisti, quasi tutti meridionali) fuggirono verso le loro
città di origine, lasciando una terra che evidentemente non avevano mai
riconosciuta come loro, nella più totale anarchia. Le alte autorità
militari consegnarono, senza neanche tentare una ombra di resistenza o di
trattativa, alle poche centinaia di tedeschi presenti, non solo l’intera
regione, ma anche migliaia di soldati e carabinieri, che furono in gran
parte uccisi, internati, deportati in Germania.
Questa vera e propria strage in conto terzi, commissionata
dai comandi dell’esercito e dai dirigenti fascisti, dagli stessi comandi
che si erano macchiati dei peggiori crimini di guerra, non è però
considerata da quella propaganda patriottarda che enumera martiri ed eroi,
ma che sa sempre tacere sui nomi e le responsabilità.
Le recenti scuse per il decennale silenzio sui fatti
d’Istria, scuse porte da eminenti politici della cosiddetta sinistra,
non hanno avuto in contropartita le scuse di coloro che, per vigliaccheria
e incompetenza, consegnarono migliaia di giovani al lager e alla morte.
Dunque, settembre 1943: dopo decenni di repressione e
violenze, i contadini croati e altri elementi insorgono contro tutto ciò
che è “fascismo”, purtroppo spesso identificato con “Italia”.
Come purtroppo accade sempre, quando odio attira e crea odio, gli orrori
furono tanti, quanto terribili. Il leader del partito comunista sloveno,
Kardelj, aveva dato la direttiva di "epurare non sulla base della
nazionalità ma del fascismo", ma, quasi inevitabilmente, è
l’elemento italiano che patisce le peggiori persecuzioni, anche a causa
del fatto che i posti di potere, sia economico, che terriero, che di
responsabilità, sono tutti occupati da italiani. Come illustra nei suoi
lavori Giacomo Scotti, con il quale abbiamo condotto la trasmissione
radiofonica di cui sopra, nel caos generale di quei mesi, furono circa
250-300 i fucilati e “infoibati” dai partigiani o dal popolo in
rivolta. La stima più pessimistica, ma anche la meno verosimile, parla di
600 morti. Paradossalmente, furono contestualmente salvati e protetti,
rifocillati e ospitati dagli stessi sloveni e croati, migliaia e migliaia
di soldati delle armate italiane allo sbando, poiché le violenze si
scatenarono quasi esclusivamente verso i pochi carabinieri rimasti, i
gerarchi, le camicie nere. Ripetiamo: quasi esclusivamente. Molte però
furono le vittime tra i civili, donne, vecchi. Furono passati alle armi
anche fascisti sloveni e croati (d’altronde, nella guerra partigiana di
ogni parte d’Europa, tali tristi fatti erano all’ordine del giorno),
mentre ben maggiore fu il numero di caduti tra i partigiani stessi negli
scontri con l’esercito tedesco. Il quale, come accennato, riprese presto
il controllo del territorio.
Altre vittime, ma non da ascriversi, se si vuole essere
onesti intellettualmente, nel capitolo “Foibe”, furono fatte in
Dalmazia, a Fiume, a Zara, nelle isole. Si può parlare di un totale
generale di circa 2.000 persone. La propaganda di destra ha da sempre
gonfiato tali cifre, fino a farle giungere alle decine di migliaia. E
parliamo solo del 1943.
Ben altro successe con l’occupazione titina di Trieste e
della Venezia Giulia. Con il crollo della Germania, (che, ricordiamolo, si
era annesso tutto il nord-est italiano strappandolo all’alleato di Salò.
Dunque, da quel momento, Trentino, Friuli, Venezia Giulia, Slovenia e
Dalmazia divennero formalmente parte del Reich), le formazioni jugoslave
si gettarono in una corsa contro il tempo verso le coste adriatiche per
impedire agli anglo-americani di prendere il controllo di quelle terre.
Giungono a Trieste, Gorizia, Fiume tra il 1° e il 3
maggio, e, per quaranta giorni circa, tengono sotto controllo –sotto
occupazione- la fascia adriatica. In questi terribili quaranta giorni, si
scatena una violenta epurazione. La volontà jugoslava è chiara: creare
uno stato di fatto che preceda l’annessione. Non si tratta più di
cacciare i fascisti, si tratta di prendere il controllo assoluto dei
territori. Le stesse giunte del CNL partigiane vengono disarmate,
destituite, in certi casi arrestate.
La “jugoslavizzazione”, il tentativo cioè di
annessione, è reso chiaramente da questo dispaccio del partito comunista
sloveno già nel 1944: “tenere preparato tutto l’apparato.
Dappertutto, il più possibile, bandiere slovene e jugoslave. Ad eccezione
di Trieste, non permettere in nessun caso manifestazioni italiane.
Rinforzare l’Ozna (polizia politica, nda)”.
Tutti coloro che possono essere considerati per un motivo
o per l’altro, ostili, vengono arrestati, deportati, in parte uccisi.
D’altronde, lo stesso stava accadendo in tutte le altre regioni della
neonata repubblica titina, e non era una specifica anti-italiana. In quei
giorni, dunque, si vive un clima di terrore. A Fiume, i primi ad essere
eliminati sono addirittura i fautori dello Stato Libero, coloro che negli
anni a cavallo tra il 1919 e il 1925 si erano opposti alla annessione
italiana; a Gorizia sono gli esponenti partigiani ad essere indicati come
“concorrenziali” e fatti immediatamente prigionieri; ma è nella
cruciale Trieste che si raggiunge l’apice: in città operano
l’esercito popolare jugoslavo, l’Ozna, bande irregolari croate, serbe,
slovene, (e anche italiane!), elementi del Partito Comunista… ognuno di
questi elementi arresta, confisca, deporta, stupra, tortura, uccide quelli
che considera “gli ustascia, i cetnici,gli appartenenti alle formazioni
armate al servizio del nemico, i collaboratori, le spie, i delatori, i
corrieri, tutti traditori della lotta popolare, tutti i disertori del
popolo, tutti i demolitori dell’esercito popolare”. La situazione
sfugge immediatamente di mano alle autorità militari e politiche
jugoslave, che ammettono, fin dal 6 maggio: “ci sono stati arresti e
fucilazioni arbitrarie. È necessario riprendere il controllo … l’Ozna
si rifiuta di capire la situazione, e continua in arresti di
massa…dobbiamo renderci conto che tali errori ci portano il danno
maggiore” .
Le esecuzioni si susseguono a ritmo impressionante, e i
cadaveri vengono gettati nelle foibe giuliane (nb: la circostanza secondo
la quale venivano infoibate anche persone vive legate a cadaveri è stata
smentita da testimoni oculari, quali in parroco di Corgnale. Egli, che
aveva dato l’estrema unzione ai disgraziati di Basovizza, dichiarò, con
espressione un po’ burocratica, che le vittime erano “state fucilate
in modo corretto prima di essere gettate dentro”. Ciò non esclude che,
nel clima di violenza e sadismo, episodi come quello ipotizzato si siano
verificati, anzi, ma essi rimarrebbero, comunque, casi sporadici). Chi non
cade fucilato sul posto o nella mattanza carsica delle foibe, viene
avviato verso inumani campi di prigionia, in particolare quello di
Borovnica, alle porte di Lubiana. Fame, fatica, maltrattamenti… il
destino atroce di tutti gli internati si abbatte sugli italiani
d’Istria.
Le foibe localizzate con certezza: Basovizza, Corgnale,
Opicina , Scadaicina , Casserova, Podubbo, Semich, Drenchia, Sesana e Orle,
Vifia Orizi, Obrovo, Raspo, Brestovizza, Castelnuovo d’Istria, Cava di
bauxite di Lindaro, Vescovado, Surani, Pucicchi, Treghelizza, Cava di
Bauxite di Gallignana, Vines, Gropada, Gargaro o Podgomila, Zavni,
Pinguente, Creogli , Cernovizza (più altre fosse e cave nell’arco tra
Gorizia e Fiume)
Il bilancio
Anche se le dimensioni di una tragedia non dovrebbero
essere misurate solo dal numero delle vittime, è chiaro che le cifre sono
sempre di forte impatto. In questa ottica, sul numero dei morti dei
quaranta giorni di occupazione slava (Tito fu poi indotto a ripiegare e ad
abbandonare almeno la fascia costiera) e di quelli del periodo successivo
dell’immediato dopoguerra, si è scatenato un indegno balletto. Fonti
della destra e di associazioni di profughi parlano di 20-30 mila morti, ma
tali numeri sono assolutamente esorbitanti. Il dibattito triestino e
giuliano, dentro e fuori dei confini nazionali, ha spesso esasperato i
calcoli, le cifre sono state, talvolta, sparate alla cieca. Gli studiosi,
ma non soltanto loro, hanno, invece, fatto un buon lavoro. Si è arrivati
a indicare cifre attorno alle quattro-cinque migliaia. Una cifra che
comprende, lo ribadiamo, non solo gli infoibati. I quali, calcolati
secondo il criterio dei corpi estratti direttamente dalle caverne, sono in
effetti 570. Tale numero è documentato dalle affidabilissime commissioni
militari di indagine anglosassoni.
Cinquecentosettanta sono dunque gli ufficialmente
infoibati. Molti. Ma nulla giustifica i bilanci di fantasia, stilati
nell’ordine delle decine di migliaia solo a scopo di pura propaganda e
di falsificazione della Storia.
Perchè dunque perdura tanta incertezza sulle cifre? Perchè
le foibe, per la loro stessa natura, furono usate, durante tutto il
periodo bellico, come una sorta di grande cimitero, o, se vogliamo usare
una espressione più cruda ma più realistica, di grande discarica di
corpi umani. Nelle grotte e nei burroni furono precipitati cadaveri dagli
stessi italiani, durante la loro fase di occupazione e repressione; dai
tedeschi, fin dal 1941, e, con intensità, dal 1943; dai partigiani, che
non osavano lasciare i loro morti o le loro sepolture ad indicare ai
nazisti i loro movimenti. Anche i civili, in un periodo di miserie e
orrori, spesso preferivano una inumazione frettolosa e non impegnativa per
i loro cari.
I morti degli altri
Se non esistono morti buoni e morti cattivi, non crediamo
debbano esistere morti eroi e morti da dimenticare a seconda di chi li ha
uccisi. Perché la stragrande maggioranza delle perdite italiane nella
guerra derivano dai bombardamenti angloamericani. Qua non vogliamo
elencare le stragi provocate dai massicci e spesso indiscriminati
bombardamenti sui civili anche – e soprattutto- dopo la firma
dell’armistizio, perché il terreno è troppo vasto. Potremmo raccontare
dei 20 mila morti (questi sì, documentati) di una piccola città come
Foggia, o di Isernia, che perse un terzo dei suoi abitanti sotto gli
attacchi aerei. Potremmo raccontare di Napoli, Livorno, Messina, Palermo e
Genova, dove i lutti furono numerosissimi e i danni incalcolabili. O del
terribile bombardamento di Treviso. O di quelli indiscriminati che gli
aeroplani anglosassoni facevano al ritorno dalle loro missioni, sganciando
il “carico in eccesso”, cioè le bombe avanzate, su case e paesi
(pratica in uso anche nella guerra alla Serbia del 1999, con lo scarico di
bombe in Adriatico). Potremmo anche soffermarci su episodi di esplicito
cinismo e crudeltà, come il mitragliamento di bambini alle giostre di
Grosseto, o quello dei civili in fila per il pane nelle campagne di
Caltagirone. Ma circoscriveremo l’analisi alla sola zona geografica
della quale stiamo trattando.
Trieste viene attaccata massicciamente, per la prima
volta, nel 1944. Il bombardamento più pesante è quello del 10 giugno,
che viene effettuato come rappresaglia per l’anniversario dell’entrata
in guerra dell’Italia. Solo quel giorno, i morti sono più di 400,
migliaia i feriti. Solo nei raid del 15 luglio, del 9 - 10 settembre e del
23 ottobre 1944, si contano rispettivamente 50, 150, e 75 morti. I
bombardamenti proseguono fino al maggio 1945 sia sul capoluogo, che sulle
cittadine circostanti. Molti i morti anche a Muggia.
Pola, Istria e Fiume: anche le più piccole località
furono martellate ininterrottamente. Pola fu gravemente danneggiata, con
decine e decine di morti, fin dal 1943, ma il primo attacco massiccio è
datato 8 settembre 1944. Fiume, con porto e industrie militari, subisce
distruzioni enormi e paga un altissimo tributo in vite umane.
Ma l’accanimento degli anglo-americani si manifesta
soprattutto nei confronti di Zara. La piccola enclave (1,5 Km quadrati)
subirà infatti ben 54 bombardamenti, che ne provocheranno la quasi
distruzione. I morti saranno più di 4.000 su una popolazione di 38mila
persone.
Ma per i revisionisti, per i professionisti della
cantilena anticomunista, questi morti – dilaniati, straziati, bruciati
dagli ordigni caduti dal cielo- non contano. Non contano come non contano
gli altri, nel resto d’Italia, caduti – dal 1943, anno
dell’armistizio, in poi- esattamente come gli infoibati, anche se la
loro morte cadeva dal cielo.
La teoria della “pulizia etnica” è tanto forzosa
quanto miserabile, poiché la parte politica che, con questo pretesto,
insiste da 60 anni in una violenta e brutale campagna (basta leggere
alcuni siti web ed alcune riviste di … irredentisti) è la stessa che,
negli anni del conflitto, intraprese una pianificata, scientifica,
ufficiale e legale, nel senso che fu supportata da infami leggi razziste,
campagna di genocidio e di morte nei confronti di ogni minoranza etnica,
e, nelle terre conquistate, verso anche i popoli autoctoni maggioritari.
Chi ha approvato ed esaltato, forse anche eseguito, i massacri, le
deportazioni, i lager, i forni crematori, oggi dovrebbe avere la dignità
di tacere.
I criminali di guerra.
Nell’immediato dopoguerra, tutte le parti politiche
italiane (salvo forse gli azionisti), con l’appoggio ed il contributo
determinante del comando anglo-americano, intrapresero una campagna
intensa, ed una opera paziente, di deresponsabilizzazione. Gerarchi,
federali, comandanti fascisti non solo evitarono punizioni ed epurazioni,
ma furono lasciati ai più alti gradi di comando. Nessun generale, nessun
comandante di armata, nessun ufficiale che si fosse macchiato di crimini
di guerra, crimini contro l’umanità, venne mai processato o anche solo
destituito. Il culmine della ipocrisia fu toccato, contemporaneamente, da
De Gasperi e da Togliatti; dal primo, quando, alla Conferenza di Pace,
illustrò meriti e onori del nostro Paese, e addirittura denunciò le
pretese territoriali jugoslave che costringevano migliaia di profughi a
scampare nella madrepatria (…l’Italia, stato aggressore, aveva perso
la guerra! Esemplare la risposta di Truman: "ho 12 milioni di
profughi da sistemare in Europa, a vostri pensate voi"); il secondo,
quando, da ministro di Grazia e Giustizia, emanò una amnistia generale
che, se presentata come necessaria per pacificare il paese, in realtà
permise la liberazione e il reintegro di migliaia e migliaia di fascisti
ad ogni livello dele vita pubblica. Mentre Germania, Polonia, Romania,
Ungheria subivano mutamenti territoriali drammatici, con trasferimenti di
milioni e milioni di persone (otto milioni soltanto i tedeschi che
abbandonarono la Prussia), le clausole del trattato di pace di Parigi
venivano presentate in Italia come un affronto alla Patria. Nessuno vuole
negare né disconoscere il dramma dei 250mila profughi istriani e dalmati,
che dovettero abbandonare le loro terre (spesso indotti a farlo, lo si
ricordi, dallo stesso governo italiano), ma è necessario ribadire che
quello non fu un dramma causato dalla volontà persecutrice titina e
comunista, come è stato troppe volte ripetuto, ma fu un dramma causato
dalla sete di potere e di sangue di un regime dittatoriale militarista ed
espansionista, che non aveva esitato, solo pochi anni prima
dell’aggressione all’allora Regno di Jugoslavia, ad aggredire un altro
membro della Società delle nazioni, l’Etiopia, nel quale aveva
provocato non meno di mezzo milione di morti in soli cinque anni di
occupazione.
Ma il senso di responsabilità mancò del tutto all’italia
post-bellica, e, mentre le carceri si riempivano di ex partigiani, mentre
i CNL venivano sciolti, mentre i consigli di fabbrica venivano cancellati,
tutti i prefetti, tutti i questori, tutti i vicequestori nominati dal
fascismo rimanevano saldamente sulle loro poltrone. Saranno gli stessi
che, nel 1948, repressero con brutalità le manifestazioni seguite
all’attentato a Togliatti, e gli stessi che, una volta epurata la
polizia dai membri “sovversivi” (8.000 poliziotti definiti comunisti
furono licenziati, o trasferiti in Sardegna e in Sicilia in una inutile e
sanguinosa lotta al banditismo), assisteranno agli gli scontri e ai morti
del 1960, inavobili ed intoccabili a distanza di 14 anni, al tempo
dell’infausto governo Tambroni.
I militari, in particolare, ebbero le più alte
protezioni. Lo stesso Badoglio, considerato dal governo abissino come il
diretto responsabile di stragi e bombardamento con i gas asfissianti,
godeva dei favori particolari degli inglesi. I quali inglesi negarono in
modo risoluto ogni possibilità di consegna dei criminali di guerra
fascisti ai paesi richiedenti. In una Italia che vedeva il passaggio di
gerarchi nazisti da Roma, in fuga verso il sudamerica, fuga organizzata e
gestita direttamente dal Vaticano, la cosa non deve – purtroppo-
sorprendere. Lo stesso Ante Pavelic, il più sadico dei dittatori
d’Europa, si rifugiò in Vaticano per poi imbarcarsi verso
l’Argentina. (a titolo di cronaca: l’arcivescovo di Zagabria, Aloysius
Stepinac, che già abbiamo visto collaboratore e co-direttore delle bande
ustascia di Pavelic, è stato beatificato da Giovanni Paolo II nel 1998).
Le autorità jugoslave fornirono immediatamente dopo la
fine del conflitto la lista dei criminali di guerra, con grande profusione
di documenti. Le competenti autorità militari inglesi, preoccupate del
pericolo comunista, trovarono fin da subito ogni scusa per rimandare
l’esecuzione degli arresti. Quando poi la sovranità nazionale, fino a
quel momento tenuta sotto tutela dagli alleati, tornò completamente al
governo italiano, le richieste di estradizione furono semplicemente
ignorate.
Da Belgrado era stata presentata una lista con circa 800
nomi. Difronte ai continui dinieghi e ai più palesi pretesti addotti
dagli italiani, essa fu via via ristretta, fino ad arrivare al numero
quasi simbolico di 40 . Ma neanche questo indusse De Gasperi e gli alleati
a ricercare la verità e la giustizia. Anzi! È in quegli anni che si
decide di occultare, nascondere, insabbiare anche ogni inchiesta sulle
stesse stragi nazi-fasciste compiute in Italia. Sarà solo nel 1994 che un
caparbio procuratore militare, Antonino Intelisano, scoprirà un armadio,
con le ante chiuse e rivolte verso il muro, contenente i fascicoli e le
prove di decine e decine di massacri compiuti nell’Italia
centro-settentrionale da tedeschi e repubblichini. È “l’armadio della
vergogna” che Franco Giustolisi racconta con profusione di particolari
nel suo libro omonimo.
Mentre in Germania si celebrano i processi di Norimberga
(il più famoso, quello ai grandi gerarchi, provocò la condanna a morte
di tutti i più alti esponenti del terzo Reich, ed altri ne seguirono
contro funzionari minori, contro generali, medici, funzionari, magistrati
e industriali corresponsabili delle barbarie naziste), in Italia le
responsabilità della guerra e delle sue atrocità vennero semplicemente
ignorate, ovattate, nascoste, poi, negate.
L’unico grande gerarca condannato (ma soltanto per il
suo ruolo nella Repubblica di Salò, non per i crimini contro i popoli
stranieri) fu il Maresciallo Rodolfo Graziani. Graziani fu processato da
un tribunale militare e condannato il 2 Maggio 1950 a 19 anni di carcere,
di cui 13 subito condonati, per la sua attività legata alla RSI. La pena
da scontare fu ulteriormente ridotta a quattro mesi per la richiesta della
difesa, subito accolta, di far iniziare la decorrenza della carcerazione
preventiva dal 1945. Pertanto, quattro mesi dopo la sentenza, il 29
agosto, Graziani tornò in libertà lasciando l’ospedale militare dove
aveva trascorso gran parte della durata del processo. Nel marzo 1953
divenne presidente onorario del MSI. Morì nel 1955 per collasso cardiaco.
totale di 1992 italiani accusati di aver commesso crimini
di guerra, da nazioni belligeranti o che avevano subito l’occupazione
militare durante il conflitto mondiale. Non viene tenuto conto delle
azioni svolte dai militari italiani in Africa (Libia, Eritrea, Etiopia e
Somalia)
Paesi richiedenti Inclusi nella lista della Commissione
delle Nazioni Unite per i crimini di guerra Richiesti al Ministero degli
Affari Esteri con Note Verbali dai singoli paesi
Jugoslavia 729 45
Grecia 111 74
Francia 9 34
Alleati 833 Circa 600 casi sono già sottoposti a giudizio
da parte dei Tribunali Alleati
URSS 12 -
Albania 3 142
La lista dei nomi completa è disponibile presso molti
archivi ufficiali. Tra gli incriminati, ricordiamo in particolare il Gen.
Mario Roatta, capo del corpo di spedizione italiano in Spagna e comandante
della citata II Armata in Croazia; il comandante dell’XI corpo
d’armata Gen. Mario Robotti, il grande deportatore di Lubiana, il Gen.
Taddeo Orlando, comandante dei Granatieri di Sardegna, poi sottosegretario
nel governo Badoglio, e poi comandante dell’arma dei carabinieri nel
dopoguerra! Il Gen. Paolo Berardi, capo di stato maggiore del Regio
esercito dopo l’armistizio, il Gen. Gastone Gambara, comandante a
Lubiana e della piazza di Fiume…
E poi altri generali, e colonnelli, e ufficiali, e
sottufficiali, soldati, funzionari, comandanti dei campi di
concentramento… nessuno di loro dovrà rispondere mai delle proprie
azioni.
Anzi, spesso li rivedremo nella storia della Repubblica
occupare incarichi e uffici delicatissimi.
È da notare che Mario Roatta fu, in effetti, processato e
condannato all’ergastolo, ma per un altro reato: l’assassinio dei
fratelli Rosselli. Il 4 maggio 1945, evade, fugge con la complicità dei
carabinieri (al cui comando in quel periodo e’ proprio il citato Taddeo
Orlando). Immediata fu la reazione popolare, e durante le manifestazioni
di protersta ci furono due morti. Il giorno successivo Taddeo Orlando fu
sostituito.
L’evaso Roatta si era intanto rifugiato in Vaticano e di
lì sarebbe partito con la moglie per la Spagna franchista, da dove
ritornerà, amnistiato, nel 1966. Morì a Roma nel 1968.
1992 torturatori, massacratori, genocidi rimangono quindi
impuniti. Non varrà neanche l’offerta jugoslava di uno scambio con i
responsabili delle foibe a cambiare le cose. Una cortina di omissioni e
falsità scende sull’Italia. Tutto questo, e le responsabilità
britanniche nel processo di occultamento, è talmente noto (all’estero!)
che la BBC, la televisione pubblica del Regno Unito, ha prodotto nel 1989
“Fascist Legacy”, un documentario estremamente approfondito sia sui
crimini di guerra italiani in Africa e Balcani, sia sulla loro impunità
successiva. “Fascist Legacy” è stato trasmesso da molte televisioni
del mondo, ed è stato acquistato anche dalla RAI. Ma non è stato mai
mandato in onda.
(slovenski / italiano)
Giorno del Ricordo: revanscismo bipartisan
0) Per infangare la Resistenza il TG3 manomette le foto dei crimini
italiani nella Slovenia occupata
1) Giornata del Ricordo o giornata della mistificazione? / Dan spomina
ali dan mistifikacije?
(Gruppo Consiliare Sinistra Arcobaleno - Regione Friuli Venezia Giulia)
2) Memoria IN CAMPO
(Giacomo Scotti)
3) Libri e cartine per Alemanno
(Tommaso Di Francesco)
4) GIORNO DEL RICORDO: SE LA STORIA NON E' UN'OPINIONE
Volantino del Partito Socialista dei Lavoratori della Croazia
5) NON SANNO NEPPURE DI COSA STANNO PARLANDO
Il Presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia,
Lucio Toth, scavalca a destra l'Associazione Nazionale Venezia Giulia
e Dalmazia: attacca Chiamparino per una mostra basata sulla
documentazione fornita dall'ANVGD
(A. Kersevan + ANSA)
6) IL GIORNO DEL RICORDO DELLE FOIBE E DELL´ESODO
E DELL´AMNESIA
STORICA
(nuovaalabarda.it)
Segnaliamo inoltre:
VOLANTINO DI PIATTAFORMA COMUNISTA per il Giorno del Ricordo 2010:
http://www.cnj.it/documentazione/IRREDENTE/volPIATTCOM2010.pdf
Incongruenze nei riconoscimenti agli "infoibati" segnalate dall'ANPI
di Viterbo. I casi di Carlo Celestini e Vincenzo Gigante:
http://www.cnj.it/documentazione/paginafoibe.htm#viterbo09
=== 0 ===
Per infangare la Resistenza il TG3 manomette le foto dei crimini
italiani nella Slovenia occupata
Nei video mostrati il 10 febbraio dai telegiornali di Rai 3 e su Linea
Notte, tra filmati e immagini sulle foibe sono state subdolamente
inserite anche foto che documentano invece i crimini italiani nella
Slovenia occupata.
Il servizio per il TG3 di Sergio Criscuoli, montato da Roberto
Barbanera, si può ancora vedere al sito:
http://www.tg3.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-
246e6824-d129-42b4-a5aa-a6a65cee6e26.html
Le foto si trovano più o meno al punto fra i minuti 2'17'' e
2'21''.
Una, in cui si vedono alcune persone scavare una fossa, è la stessa
che si può visionare in http://muceniskapot.nuovaalabarda.org/galleria-ita-3.ph
p tra le tante foto dei crimini commessi dall'esercito di occupazione
italiano.
Nel suo articolo "La malastoriografia" in Revisionismo storico e
terre
di confine (http://www.kappavu.it/catalog/product_info.php?products_id=216
) Alessandra Kersevan già aveva documentato un caso analogo: sul
Messaggero Veneto, tre anni fa avevano usato una immagine della
fiction "Il cuore nel pozzo" apponendo la didascalia:
"Immagini
d'epoca. [sic] Rastrellamenti di partigiani jugoslavi contro la
popolazione" [sic].
(segnalato da Alessandra Kersevan, che ringraziamo)
=== 1 ===
Gruppo Consiliare Sinistra Arcobaleno - Regione Friuli Venezia Giulia
Piazza Oberdan 6, 34133 Trieste telefono 040 3773257
fax 040 362052 email: cr.gr.sa@regione.fvg.it
Ai mezzi di comunicazione
Con cortese preghiera di pubblicazione
COMUNICATO STAMPA
Giornata del Ricordo o giornata della mistificazione?
Da qualche anno siamo abituati, in questo paese e nell´Unione
Europea "dei confini definitivamente caduti", grazie soprattutto
alla tendenza generalmente revisionista delle più svariate politiche
europee della memoria - che continuano pervicacemente a confondere i
crimini fascisti e nazisti in una narrazione generale sulle vittime
del 20° secolo, il cosiddetto secolo dei totalitarismi - a sentirci
raccontare di tutto ed a sopportare cumuli di sciocchezze senza
nemmeno indignarci. In Italia il fascismo di oggi si presenta
solitamente svestito della propria uniforme e dei costumi che l´hanno
caratterizzato storicamente, a volte però si traveste da "democrazia
formale" ed egemonizza il dibattito e la scena mediatica nella
Giornata del Ricordo.
Ogni anno crescono esponenzialmente i numeri dei presunti infoibati e
delle vittime della barbarie slavocomunista, mentre le Istituzioni
fanno ormai fatica a rintracciare famigliari, congiunti e discendenti
di tanta umanità tragicamente perita: fossero tutte vere le
affermazioni in proposito, verbali e scritte, ci dovrebbe essere
almeno una certa corrispondenza tra numero di vittime ed onorificenze
e medaglie assegnate...
Da ieri sembra che la Giornata del Ricordo possa servire anche per
dare inizio all´ennesima campagna negazionista. Sembra che lo
scrittore - giornalista Arrigo Petacco abbia affermato, nel corso di
una trasmissione radiofonica RAI in prima serata, che la Risiera di
San Sabba non sarebbe stata un campo di sterminio (l´unico lager
nazista in Italia), ma che sarebbe una sorta di montatura storica per
attenuare la tragedia delle foibe. Chissà cosa saprà dire in
proposito il Presidente Napolitano...
Trieste, 11.02.2010
Igor Kocijancic
Consigliere regionale PRC - SE
Presidente gruppo consiliare La Sinistra L'Arcobaleno
--- slovenski ---
Gruppo Consiliare Sinistra Arcobaleno - Regione Friuli Venezia Giulia
Piazza Oberdan 6, 34133 Trieste telefono 040 3773257
fax 040 362052 email: cr.gr.sa@regione.fvg.it
P.n. sredstva javnega obvescanja
Vljudno prosimo za objavo
TISKOVNO SPOROCILO
Dan spomina ali dan mistifikacije?
Ze nekaj let smo vajeni, v tej drzavi in v sklopu Evropske unije
"dokoncno padlih meja", predvsem zaradi prisotne splosno
revizionisticne teznje raznovrstnih evropskih politik spominjanja -
ki vztrajno utapljajo fasisticne in nacisticne zlocine v
brezbrezno morje brezoblicne pripovedi o zrtvah 20. stoletja, tako
imenovanega stoletja totalitarizmov - da nam servirajo kakrsnekoli
lazne kvaziinformacije in da nas dobesedno sipajo z vsakovrstnimi
neumnostmi, ne da bi se pretirano razburjali. V Italiij se danasnja
razlicica fasizma navadno predstavlja brez uniform in preoblek, ki so
ga zgodovinsko okarakterizirali. Vcasih se preoblece v "formalno
demokracijo" in hegemonizira razpravo in medijsko sceno ob Dnevu
Spomina.
Vsako leto eksponencno raste stevilo domnevnih infoibirancev ter
zrtev slavokomunisticnega barbarstva, medtem ko pristojne
Institucije le stezka pridejo na sled sorodnikom in potomcem
toliksnega clovestva, ki je tragicno preminulo: ko bi bile tovrstne
trditve in zapisi blizu resnici, bi moralo obstajati neka skladnost
vsaj med stevilom zrtev in izdanimi spominskimi kolajnami...
Od vceraj bo Dan Spomina lahko sluzil tudi za zacetek nove
negacionisticne kampanje. Zdi se namrec, da je znani pisatelj in
casnikar Arrigo Petacco, med potekom vecerne radijske oddaje
vsedrzavne mreze RAI izjavil, da Rizarna pri Sv. Soboti naj bi ne
bila koncentracijsko taborisce (edini nacisticni lager v Italiji),
ampak da bi v resnici slo za zgodovinsko podtaknjeno verzijo, ki bi
sluzila prav politicnemu namenu, da se omili tragedija fojb. Kdove
kaj nam bo o tej trditvi znal povedati Predsednik Napolitano...
Trst, 11.02.2010
Igor Kocijancic
Dezelni svetnik SKP - EL
Predsednik svetniske skupine Mavricne Levice
=== 2 ===
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20100210/pagina/16/pezzo/271182/
Memoria IN CAMPO
di Giacomo Scotti
Ogni anno, dal 2004, il «Giorno del ricordo» viene usato dalla
retorica dei partiti della destra italiana che affonda le sue radici
nell'ideologia fascista, per cancellare le responsabilità italiane e
repubblichine nei massacri in terra slava e per ricordare foibe ed
esodo dall' Istria e da Zara in modo, dice Claudio Magris, «regressivo
e profanatorio». E alla fine per riattizzare gli odii nazionalistici
antislavi all'origine dell'aggressione fascista del 1941
Ogni anno, a cominciare dal 2004, celebrando il «Giorno del Ricordo»
per ricordare la tragedia delle foibe e dell'esodo, rischiamo
inevitabilmente di guastare i buoni rapporti che intercorrono fra i
popoli delle due sponde adriatiche. Nel 2007 rischiammo addirittura
una crisi con la Croazia che, per fortuna, rientrò nel giro di una
settimana. E poi nel 2008 con la Slovenia. Temo però che, a causa
delle ferite non rimarginate, il pericolo di rotture continuerà a
incombere, soprattutto se da parte italiana si dovesse continuare a
ignorare la vera storia, se si continuerà a coltivare una memoria
parziale, che non tenga conto dei torti subiti dagli altri, del dolore
degli altri, delle tragedie altrui. Queste crisi ricorrenti,
oltretutto, mettono in pericolo la coesistenza, la convivenza e la
tranquillità della minoranza italiana nel territorio istro-quarnerino,
di quei trentamila italiani rimasti in Croazia e Slovenia, che hanno
saputo tenacemente e pazientemente costruire, insieme ai conterranei
croati e sloveni, una vita di reciproco rispetto, di tolleranza, la
convivenza nella multiculturalità. Bisognerebbe però cambiare
linguaggio e smetterla di guardare a croati e sloveni come a dei
barbari, come li chiamava Mussolini e come li definiscono i
neofascisti che oggi scrivono sui muri di Trieste «slavi di merda» e
«slavi boia», pensando invece a mettere in mare nuove navi traghetto
accanto a quelle esistenti, di cui si servono italiani, croati e
sloveni per transitare ogni giorno dall'una all'altra sponda
dell'Adriatico e del confine giuliano. In Istria e nel Quarnero, le
cui popolazioni hanno visto e subito nel secolo scorso tutte le
violenze del fascismo e di altre ideologie nazionalistiche,
aggressioni e oppressioni, fino all'esodo, si sa riconoscere il dolore
di tutti, dei rimasti e degli esodati, dei profughi di tutte le
popolazioni.
Le recriminazioni e i rancori tipici di una destra dalle origini
fasciste e missine, oggi sono fuori della storia.
Certo, la storia non si può cancellare e non va dimenticata ma ciascun
popolo deve saper fare i conti con la propria, senza sottacere o
negare i buchi neri.
Esagerare, fino all'assurdo
Non si possono giustificare i crimini commessi in Istria tra il 10
settembre e il 4 ottobre 1943 nell'insurrezione contadina seguita alla
capitolazione dell'Italia, quei crimini che vanno sotto il nome di
foibe; ma nel ricordarli bisognerebbe sempre condannare anche i
crimini e le violenze dei fascisti; dall'una e dall'altra parte
dovrebbero essere assunte le responsabilità politiche delle rispettive
pagine nere del passato. Ognuno ha diritto alla memoria, ma non ci
possono essere memorie condivise se basate sulla falsificazione e sul
revisionismo storico, e nessuno ha diritto di usare il passato per
attizzare nuovi e vecchi rancori.
Sono fuori della storia e rappresentano un'offesa terribile non solo
alla verità storica ma anche alle popolazioni croate e slovene certe
truculente fiction cinematografiche prodotte in Italia come «Il cuore
nel pozzo» nelle quali in maniera manichea i buoni e le vittime sono
tutti italiani, mentre i malvagi e gli assassini sono tutti slavi. A
che scopo bollare come barbare intere popolazioni che pure soffersero
l'oppressione, la persecuzione, l'aggressione, l'occupazione degli
italiani? E perché poi certi avvenimenti storici dolorosi e tremendi
come le foibe istriane vengono presentati al di fuori del contesto
storico delle «tormentate vicende del confine orientale», senza una
seria analisi storica, con l'enfatizzazione, l'esagerazione dei numeri
fino all'assurdo?
Spesso, grazie a una libellistica di stampo ultranazionalistico viene
elevata al rango di certezze inconfutabili un'interpretazione della
storia del confine orientale che è esclusivamente politica,
strumentale, centrata su una chiave nazionale e sulla mitologia
nazionalistica, che non tiene conto del male arrecato agli altri e,
come dicevo all'inizio, del dolore degli altri.
La barbara razza slava
Quando parlo del dolore altrui, ovvero dei cosiddetti «barbari slavi»
nostri vicini di casa non alludo soltanto ai 20 anni di oppressione e
repressione fascista subita dalle popolazioni croata e slovena dei
territori annessi all'Italia dopo la prima guerra mondiale,
repressioni che portano centinaia e migliaia di «allogeni» nelle
carceri del Tribunale speciale, al confino ma anche davanti ai plotoni
di esecuzione, alla cancellazione della lingua e dei cognomi sloveni e
croati eccetera in tutto il territorio della Venezia Giulia e del
Quarnero; non alludo soltanto ai 350.000 civili montenegrini, croati e
sloveni massacrati, fucilati o bruciati vivi nelle loro case durante i
cosiddetti rastrellamenti delle nostre truppe che aggredirono l''ex
Jugoslavia nell'aprile 1941 occupando il Montenegro, la Dalmazia e
parte della Slovenia annettendosi larghe fette di quei territori; non
alludo agli oltre centomila civili, compresi donne, vecchi e bambini,
che furono deportati e rinchiusi in oltre cento campi di internamento
disseminati dalle isole di Ugljan, Molat e Arbe in Dalmazia fino a
Gonars nel Friuli ed alle migliaia di essi che non rividero più la
loro casa perché falciati dalla fame, dalle malattie e dai
maltrattamenti in quei «campi del Duce». Parlo soprattutto delle
vendette fasciste, dei crimini compiuti dai fascisti repubblichini
italiani al servizio del tedeschi nei territori della Venezia Giulia e
del Quarnero dopo l'occupazione di quelle terre da parte della
Wehrmacht, della loro annessione al III Reich ovvero alla costituzione
della Zona del Litorale Adriatico, dopo la prima decade di ottobre del
1943 e fino alla fine di aprile del 1945. Nella sola Istria i
tedeschi, con la collaborazione della X Mas italiana, della cosiddetta
Milizia Difesa Territoriale italiana inquadrata nei reparti germanici
e di altre formazioni militari o paramilitari, massacrarono oltre
5.000 civili, distrussero col fuoco alcune decine di villaggi,
deportarono 12.000 altri civili; e tutto ciò per «vendicarsi delle
foibe», ovvero per «sterminare la barbara razza slava».
In realtà sterminarono italiani, croati e sloveni senza distinzione,
all'epoca tutti cittadini italiani al di là dell'etnia. Ma oggi di
questo si preferisce non parlare. Invece proprio a questa pagina
orrenda dimenticata, oggi vorrei tornare per un attimo.
«Qui regna il terrore»
Il periodo che va dal 4 ottobre 1943 al 30 aprile 1945, durante il
quale l'Istria fu «gestita» con le armi dai fascisti italiani e dai
tedeschi, fu un continuo susseguirsi di stragi. In questi massacri, i
fascisti repubblichini fecero da guida, da informatori/delatori, ma
furono pure quasi sempre esecutori. Tra i reparti italiani al servizio
delle SS che si distinsero nelle stragi ricordiamo il Reggimento
«Istria» comandato da Libero Sauro, il reparto «Mazza di Ferro»
comandato dal capitano Graziano Udovisi (Udovicich) e l'unico reparto
di combattimento formato da sole donne, il Gruppo d'azione «Norma
Cossetto» che alla sua costituzione fu passato in rassegna a Trieste
dal segretario generale del Partito Fascista Repubblicano Alessandro
Pavolini, colui che, fucilato dai partigiani italiani il 28 aprile
1945, viene oggi onorato a Rieti con una via intitolata al suo nome,
Vi risparmio la cronaca degli eccidi che indica da dieci a settanta
vittime al giorno fino a raggiungere le 300 del villaggio di Lipa (30
aprile 1944) con il cielo notturno quasi sempre illuminato dalle
fiamme degli incendi dei paesi. Mi limiterò ad alcuni documenti
firmati dal vescovo di Trieste, Antonio Santin, grande patriota
italiano oriundo di Rovigno d'Istria. Dopo aver denunciato mese dopo
mese l'assassinio di vari sacerdoti istriani impiccati o fucilati dai
nazifascisti, il prelato così scrisse in una nota apparsa sul
settimanale Vita Nuova in data 18 aprile 1944: «Quello che avviene
nell'Istria è spaventoso». «Le povere popolazioni stanno pagando un
terribile contributo di sangue e di distruzione delle loro case. Lo
spavento incombe su tutto e su tutti. Molti innocenti sono stati
uccisi. Questo dopo la prima invasione dei partigiani e il conseguente
rastrellamento che avevano giù prodotto rovine ingenti e un numero
così elevato di morti. Noi assistiamo angosciati a tanta rovina».
Cinque giorni dopo, il 23 aprile, Mons. Santin scrisse una lettera al
comandante tedesco Wolsegger. In essa si legge:
«In gran parte dell'Istria non vi è più traccia di vita civile.
Regna il terrore». «La popolazione dell'Istria è sottoposta a prove
che hanno raggiunto il limite estremo dell'umana sopportazione. In
vastissime zone della provincia si conduce una vita da allucinati». La
gente era costretta a vivere nei fienili, in grotte, in rifugi di
fortuna, per non essere presi. «Quando passano le formazioni SS allora
avvengono le cose più atroci e più disonorevoli: uccisioni di
innocenti trovati a casa o sul lavoro, ruberie, distruzioni di case e
di beni. Cose indescrivibili e ignominose. La gente fugge
terrorizzata».
Anche delle SS facevano parte, persino con funzioni di comando,
fascisti italiani istriani come Bradamante, Ravegnani, Niccolini ed
altri. Ecco, anche questi fatti vanno ricordati. Come va ricordato che
molti dei civili massacrati in quel periodo dai nazisti e fascisti
furono gettati nelle foibe.
Sdoganare la relazione condivisa
Vorrei concludere con lo sguardo volto a un futuro senza rancori. Per
crearlo sarebbe bene accettare la proposta della Slovenia di sdoganare
la relazione condivisa ed approvata all'inizio degli anni Duemila da
una commissione paritetica di storici sloveni e italiani sul comune
passato, che sta chiusa da allora negli armadi del governo di Roma;
accettare la proposta avanzata nel 2007 dal governo di Zagabria e
finora rimasta senza risposta di rimettere in funzione la commissione
mista degli storici italiani e croati per scrivere una storia vera di
quanto è avvenuto sulla sponda orientale dell'Adriatico durante tutta
la prima metà del Novecento; accettare la proposta di una ricerca
comune sui crimini perpetrati «prima, durante e dopo la seconda guerra
mondiale nell'ex Jugoslavia», appurando l'esatto o approssimativo
numero delle vittime italiane, croate, slovene e montenegrine. Serve
infine un gesto solenne di riconciliazione che faccia incontrare i
presidenti dell'Italia, della Slovenia e della Croazia per onorare le
vittime delle foibe ma anche le vittime dei massacri compiuti dagli
italiani. La Slovenia e la Croazia, a livello governativo ma anche
della stragrande maggioranza della popolazione, hanno più volte
ammesso e finalmente condannato le stragi delle foibe e la politica
jugoslava che nei primi 15 anni del dopoguerra portò all'esodo di
200.000 italiani e croati; ma non si possono tollerare i discorsi
razzisti antislavi pronunciati ogni anno in Italia nel mese del
«Giorno del Ricordo» da esponenti dell'estrema destra. Le foibe ci
sono state, l'esodo c'è stato, ma prima ci sono state le persecuzioni
italiane (fasciste) e l'aggressione fascista che portò all'annessione
della cosiddetta Provincia di Lubiana (Slo) di quasi metà Croazia,
dell'intero Montenegro. Resta il nostro dolore per le vittime delle
foibe e per l'esodo. A livello politico Croazia e Slovenia non
giustificano più quei tristi fatti con i precedenti crimini del
fascismo, perché non si giustifica la vendetta. È però anche
comprensibile il dolore dei figli e nipoti sloveni e croati i cui
padri e nonni furono vittime del terrore italiano in uniforme fascista
o addirittura al servizio del nazismo.
È un dolore comprensibile anche quello; non si può negare a sloveni e
croati di ricordare i loro morti, le sofferenze subite dai loro padri.
Bombardati come sono ogni anno di questi tempi da accuse di genocidio,
molti croati e sloveni ricordano a loro volta «la terribile
occupazione italiana» delle loro terre, «le stragi compiute
dall'esercito fascista italiano» ed aspramente rimproverano quella
parte dell'Italia che non vuole ricordare i crimini italiani.
Purtroppo in troppi continuano a non rimuovere i buchi neri del loro
passato.
La ferita oltre il confine
Bisogna ricordare tutto, contestualizzando la storia, senza
dimenticare una parte e senza falsificarla. In Croazia, Slovenia e
Montenegro, dove vivono i figli e le figlie e i nipoti delle vittime
dell'occupazione italiana di quelle terre, del duro regime instaurato
ancor prima per venti anni dal regime fascista in Istria ai danni dei
cosiddetti «barbari slavi», c'è inevitabilmente chi si sente ferito
dalla retorica dei partiti e gruppi italiani che affondano le loro
radici nell'ideologia fascista e che ricordano le foibe e l'esodo
dall'Istria e da Zara in modo «regressivo e oggettivamente
profanatorio» come direbbe Claudio Magris, per riattizzare quegli odii
nazionalistici antislavi che furono all'origine dell'aggressione
fascista dell'aprile 1941 e della storia orrenda conclusasi con la
sconfitta dell'Italia nella seconda guerra mondiale con la conseguente
perdita dei territori ottenuti dopo la guerra del Quindici-Diciotto.
Una storia orrenda, ripeto, conclusasi purtroppo anche con le foibe,
con il Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 e quindi con l'esodo di
gran parte delle popolazioni, dai territori definitivamente assegnati
alla Jugoslavia; e gli esuli, le grandi vittime, le vere vittime
dell'avventura mussoliniana sulla sponda orientale adriatica, non
furono soltanto italiani, ma anche croati e sloveni. Sono tredici
secoli che in quelle terre si mescolano il sangue, le famiglie, i
cognomi, le lingue e le culture.
Voglio ancora dire che il sangue dei vinti e dei vincitori, degli
aggressori e degli aggrediti è sempre sangue umano, e va rispettato,
non strumentalizzato ai fini politici. Bisogna parlarne con rispetto,
senza l'ossessione e il rancore dell'offesa subita da chi vuole
riconoscere il sangue versato dagli altri e le offese subite dagli
altri. Con i ricordi selezionati e unilaterali si perpetua soltanto la
catena delle violenze e delle vendette, si inocula nelle nuove
generazioni l'odio etnico. Dobbiamo invece ricordare tutte le vittime,
di ogni parte, e contestualizzare storicamente gli orrendi fatti che
precedettero la seconda guerra mondiale, che caratterizzarono quella
guerra di aggressione fuori i confini d'Italia. Bisogna ricordare
tutto questo, come direbbe il già citato amico mio triestino Claudio
Magris, «senza reticenze e senza strumentalizzazioni, senza
quell'orribile calcolo dei morti cui assistiamo in Italia ogni anno».
«Anche se i vostri morti fossero davvero quindicimila o ventimila,
come qualcuno afferma senza esibire documenti e nominativi - ha
commentato un ex partigiano croato - non si avvicinerebbero mai ai
350.000 jugoslavi massacrati». Io dico: rispettiamo tutte le vittime.
Come scrisse qualche anno fa il sindaco di Muggia sul confine con la
Slovenia, non vanno contrapposte foibe e guerra di liberazione dal
nazifascismo. Nerio Nesladek, sindaco di quell'unico comune istriano
rimasto in Italia, ritiene giustamente che «rifiutare il dialogo e
continuare con le contrapposizioni - come fanno i circoli
ultranazionalisti italiani di Trieste, non ci porterà da nessuna
parte. Dobbiamo andare oltre le divisioni e i rancori e guardare
avanti». Ben detto, io questo volevo dire.
=== 3 ===
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20100210/
pagina/16/pezzo/271183/
IL GIORNO DEl RICORDO
Libri e cartine per Alemanno
di tommaso di francesco
Dal 18 al 20 febbraio, 216 studenti delle scuole superiori di Roma
saranno in «Viaggio nella civiltà istriano-dalmata», nei luoghi
della tragedia delle foibe. Il viaggio della memoria «come per
Auschwitz» - equiparando la Shoah, e quindi banalizzandola, alle foibe
- è stato presentato in Campidoglio dal sindaco Gianni Alemanno. Scopo
del viaggio è «sconfiggere qualsiasi forma di negazionismo e
revisionismo», sottolineando che «per la Shoah, il negazionismo ha
riguardato una minoranza. Mentre per le foibe questo è stato
dominante». Gli stessi libri di storia, per Alemanno, «hanno negato o
minimizzato questo evento drammatico». Il «percorso» di Alemanno,
oltre Fiume e Trieste, prevede: Sacrario di Redipuglia, Cimitero
Austro-ungarico, Foiba di Basovizza, Centro raccolta profughi di
Padriciano, Risiera di San Saba, Sacrario di Cosala (quello dei
legionari di D'Annunzio).
A proposito di «sconfiggere ogni forma di revisionismo»: ce ne fosse
- al di là della Risiera di San Sabba - una di località dove i
fascisti e i militari italiani massacrarono e deportarono migliaia di
slavi, rom ed ebrei. Ecco alcuni luoghi della cartina dei «nostri»
campi e stragi: Gonars e Visco (Udine), Uglyan e Molat in Dalmazia,
Arbe-Rab (4mila donne e bambini morti di fame), Lipa con 320 civili
massacrati (Fiume), Pothum (fucilati 88 uomini e tutta popolazione
deportata in Italia) e in più 60 località distrutte col fuoco tra 4
ottobre e fine di dicembre '43 per «vendetta contro le foibe» con
5mila fucilati e 12mila deportati in Germania solo in quel periodo. A
proposito di libri che negano le foibe, consigliamo di pubblicare
un'antologia scolastica tratta da: «Dossier foibe», Giacomo Scotti,
Manni 2005; «Foibe, una storia italiana», Joze Pirjevec, Einaudi
2009; «I campi del duce», S. Capogreco; «Lager italiani»,
Alessandra Kersevan, Nutrimenti 2008; «La storia negata» a cura di
Angelo Del Boca, Neri Pozza 2009; «L'occupazione italiana dei
Balcani», Davide Conti, Odradek 2008.
=== 4 ===
http://www.cnj.it/documentazione/IRREDENTE/vol100210GiornoRicordoSRP.pdf
GIORNO DEL RICORDO: SE LA STORIA NON E' UN'OPINIONE
Revisionismi e invenzioni degni del peggior oscurantismo medioevale
Ogni anno il 10 febbraio si celebra in Italia l'esodo e il massacro
(!) degli italiani dell'Istria, del Quarnero e della Dalmazia da parte
delle truppe partigiane della Lotta di Liberazione Popolare Yugoslava,
negli anni immediatamenti successivi alla fine della guerra. Si parla
di sradicamento nazionale degli italiani, centinaia di migliaia di
espulsi, e decine di migliaia di infoibati.
Sfondo storico I popoli slavi, sotto il dominio fascista, erano
privati di ogni diritto, furono vietate le lingue slave nelle scuole,
i cognomi vennero italianizzati, gli impieghi pubblici affidati quasi
esclusivamente ad italiani. Fu messo in atto un barbaro tentativo di
sradicamento nazionale (questo si reale!) da parte del violento regime
fascista.
I fatti Dopo l'8 settembre in Istria ci fu una sollevazione,
un´insurrezione di contadini (croati, sloveni e italiani) che
assalirono i Municipi, le case dei fascisti, di coloro che facevano
parte della milizia volontaria della sicurezza nazionale, degli agenti
dell´OVRA (la polizia segreta fascista) ammazzandone parecchi nelle
loro case, e alcuni gettandoli nelle foibe. L´insurrezione istriana
durò per circa un mese, finché non arrivarono i Tedeschi che misero a
ferro e fuoco l´Istria. Le vittime dell´insurrezione furono per la
maggior parte gerarchi fascisti, ma ci sono state anche vendette
personali fra gente che aveva dei conti da regolare. Molti morti ci
furono tra gli stessi abitanti slavi, quindi non si può dire in alcun
modo che ci sia stato un odio generalizzato verso gli italiani.
Dalle foibe furono estratte 203 salme da parte autorità nazifasciste.
Nel dopoguerra, gli storici più obiettivi hanno stimato in 500 le
persone infoibate dai partigiani. Oggi il termine di infoibati viene
erroneamente esteso a tutti, quindi anche alle persone che furono
catturate in combattimento negli ultimi mesi della seconda guerra
mondiale, per esempio i repubblichini della Repubblica di Salò che
operavano in Istria al servizio della Gestapo e dei nazisti, o in
generale i caduti italiani negli scontri con i partigiani nei
territori dell'Istria e del Quarnero. Inoltre gli "storici" di
estrema destra, per gonfiare le cifre, inseriscono negli elenchi
nominativi degli infoibati anche vari caduti in battaglia, deportati,
partigiani inclusi!
Gli italiani furono la maggioranza dei giustiziati perché in
stragrande maggioranza erano stati italiani i podestà, i segretari del
Fascio, i detentori del potere politico ed economico, i grandi
proprietari terrieri ed altri esponenti del regime. Ma non mancarono,
come già detto, esecuzioni di collaborazionisti slavi. Riassumendo,
l'Istria ha subito in totale 17.000 morti tra vittime della
repressione nazifascista, morti nei lager e caduti nella Resistenza
armata, contro non più di 500 fascisti e collaborazionisti giustiziati
dai partigiani.
Esodo Anche qui le cifre sono distorte. Se fosse vero che 350 mila
persone se ne andarono dai territori in questione, non sarebbe rimasto
che il 10% della popolazione locale. Gli emigrati furono in realtà 240
mila, di cui 20 mila slavi, e 40 mila funzionari venuti dall'Italia
durante il fascismo. Tra gli italiani che optarono per la cittadinanza
italiana (non furono "cacciati con la forza" come si vuol far
credere) ci furono principalmente funzionari delle istituzioni
dell'Italia fascista con le loro famiglie, che non si opposero
minimamente ai crimini spietati dei seguaci del Duce. Ancora oggi in
Istria c'è una forte minoranza italiana (di cui chi scrive fa parte),
che conta circa 35 mila persone, e può vantare tra i suoi iscritti
deputati, sindaci, assessori, vicegovernatori... Insomma non c'è stato
un odio anti-italiano, semmai una forte avversione antifascista, a
dimostrazione di ciò rimane il fatto che diversi italiani lasciarono
l'Italia occupata dagli alleati occidentali, per trasferirsi nella
Jugoslavia socialista, nella quale i diritti civili e del lavoro
furono imparagonabilmente migliori, e dalla quale furono accolti a
braccia aperte. Sono stati eretti inoltre molti monumenti dedicati ad
eroi partigiani di nazionalità italiana.
Per approfondire:
http://www.cnj.it/PARTIGIANI/foibeistriane.htm
(dello storico Giacomo
Scotti)
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3884/1/67/
(intervista a Giacomo Scotti)
Analizzando questi dati, ci troviamo chiaramente di fronte ad un
tentativo di revisione e falsificazione della storia, perpetuata dal
governo nazionalista delle destre, che in un colpo solo vuole
rafforzare le campagne anticomunista, presente in tutta Europa,
antislava, e di riabilitazione del fascismo.
Socijalisticka Radnicka Partija
Partito Socialista dei Lavoratori Croato
http://www.srp.hr/
=== 5 ===
DELLA SERIE: NON SANNO NEPPURE DI COSA STANNO PARLANDO
Riporto qui sotto l'ANSA sulla lettera che Toth ha scritto a
Chiamparino. La mostra per cui si lamenta, «Fascismo Foibe ed Esodo»
è quella fatta alcuni anni fa dall'Istituto Nazionale per la Storia
del Movimento di Liberazione, che nel quadro iniziale ha questa
dicitura:
PER SAPERNE DI PIÙ
Il litoriale adriatico
nel nuovo ordine europeo 1943-1945
di Enzo Collotti (Vangelista editore)
Foibe
di Raoul Pupo e Roberto Spazzali
(Bruno Mondadori)
Esodo
a cura dell´Associazione Nazionale
Venezia Giulia e Dalmazia -dvd
Il lungo esodo
di Raoul Pupo (Rizzoli)
Se ne deduce che il presidente dell'ANVGD o non sa di cosa sta
parlando, o non gli vanno bene neppure le mostre che si basano sui
testi prodotti dalla sua associazione. Inoltre nel suo testo scrive
che la mostra: «ripropone contenuti e assunti ampiamente posti in
discussione e superati dalla più avveduta storiografia contemporanea,
anche di sinistra (Marina Cattaruzza, Gianni Oliva, Giuseppe Parlato,
Raoul Pupo, Fulvio Salimbeni, Roberto Spazzali ed altri). Come si
legge, alcuni dei professori che secondo lui metterebbero in
discussione i contenuti della mostra, sono proprio coloro che hanno
collaborato alla mostra (Pupo e Spazzali).
Incommentabile.
Un cordiale saluto,
Alessandra Kersevan
martedì 02 febbraio 2010
Il Presidente nazionale dell'ANVGD Lucio Toth ha inviato un messaggio
a Sergio Chiamparino, Sindaco di Torino e presidente dell'ANCI
(Associazione nazionale Comuni Italiani), per sollecitarlo ad un
particolare interesse delle istituzioni locali nei confronti di una
corretta interpretazione dell'imminente Giorno del Ricordo. Vi
presentiamo il testo dell'intero messaggio.
Caro Presidente,
per una coincidenza felice Lei conosce perfettamente non solo lo
spirito, ma l´iter preparatorio della Legge n. 92/2004, essendo stato
relatore dell´analoga proposta di legge elaborata nelle legislatura
precedente e ripresa nella successiva. Conosce altrettanto bene
l´associazione di cui sono ancora presidente nazionale per la
presenza attiva nella città da Lei amministrata di un nostro comitato
provinciale e di migliaia di esuli giuliano-dalmati che a Torino hanno
trovato un lavoro e una nuova patria.
Come recita il testo della legge - alla cui stesura Lei ha dato un
contributo decisivo - il fine è «di conservare e rinnovare la
memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle
foibe, dell´esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati
nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine
orientale». L´ampio consenso raggiunto in sede parlamentare sul
Giorno del Ricordo ha sancito la piena condivisione, da parte delle
istituzioni politiche nazionali, e grazie anche ad una oggettiva e
pacata riflessione storiografica ormai maturata nelle sedi accademiche
ed editoriali, di una tragica pagina di storia italiana alla quale
è
stata finalmente riconosciuta dignità di memoria.
Dal 2004, ogni 10 febbraio, come certamente non Le sarà sfuggito, il
Presidente della Repubblica consegna ai congiunti delle vittime
(italiani deportati e scomparsi tra il 1943 e il 1945 ed oltre ad
opera dei partigiani di Tito) un´onorificenza nel corso di una
solenne cerimonia nel Palazzo del Quirinale, alla presenza delle più
alte cariche, civili e militari, dello Stato. Analogamente, in molte
Prefetture d´Italia altri congiunti ricevono eguale onorificenza dal
Rappresentante del Governo.
La istituzione del Giorno del Ricordo ha sancito, ad oltre 60 anni da
quei tragici eventi, il pieno riconoscimento del sacrificio della
popolazione civile giuliana e dalmata, alla quale per decenni le
opposte sovrastrutture ideologiche hanno negato visibilità e dignità
di memoria, rendendole ostaggio delle contrapposizioni politiche e di
schieramento.
Ora, apprendiamo che in alcuni Comuni italiani, come Firenze e Monza,
vengono proposte da talune associazioni, in concomitanza con la
commemorazione del 10 Febbraio, iniziative estranee, se non offensive,
come nel caso di una mostra itinerante - «Fascismo, foibe, esodo»
- che ripropone contenuti e assunti ampiamente posti in discussione e
superati dalla più avveduta storiografia contemporanea, anche di
sinistra (Marina Cattaruzza, Gianni Oliva, Giuseppe Parlato, Raoul
Pupo, Fulvio Salimbeni, Roberto Spazzali ed altri), con un evidente
sottinteso giustificazionista. Il che, spostando arbitrariamente la
centralità del tema oggetto della legge istitutiva (l´esodo di
centinaia di migliaia di italiani, per lo più autoctoni, dal loro
territorio di insediamento storico), oltre ad essere offensivo per le
persone il cui sacrificio si vuole riconoscere, ripropone concezioni
arretrate e non rispondenti allo spirito ed alla lettera della legge
stessa, riaprendo ferite che invece si vogliono sanare, come
correttamente interpreta la norma il Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano.
Richiamo, gentile Presidente la Sua attenzione su questo punto, ben
conoscendo la Sua sensibilità e vicinanza alle nostre vicende.
Lucio Toth, Presidente nazionale ANVGD
=== 6 ===
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giorno_del_ricordo
_o_dell%27amnesia_storica%3F.php
GIORNO DEL RICORDO DELLE FOIBE E DELL´ESODO E DELL´AMNESIA STORICA.
La giornata commemorativa del 10 febbraio è stata istituita con la
legge 30 marzo 2004, n. 92, "in memoria delle vittime delle foibe,
dell´esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale".
Lo scopo di questo "ricordo" avrebbe dovuto essere lo studio e
la
diffusione della conoscenza degli avvenimenti al confine orientale
d´Italia tra il 1943 ed il 1947 (fino alla firma del Trattato di
pace, il cui anniversario cade proprio il 10 febbraio). Già la scelta
della data costituisce di per se stessa uno stravolgimento storico: la
firma del trattato di pace vista non come la fine della guerra ma come
il giorno in cui l´Italia (che aveva perso una guerra che lei stessa
aveva cominciato, particolare che nessuno ricorda) dovette rinunciare
ad un parte del suo territorio.
Fin dalla prima celebrazione, avvenuta nel 2005, abbiamo visto come la
ricorrenza invece di essere un´occasione di approfondimento della
storia è stata subito monopolizzata da associazioni nazionaliste ed
irredentiste (Lega Nazionale, Unione degli istriani, Associazione
Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) e da forze politiche di destra
più o meno estrema (Forza Nuova, Alleanza Nazionale, ed ora il PDL
dopo che AN vi si è sciolta) con il risultato che il 10 febbraio è
diventato, secondo una definizione (che condividiamo) dello storico
Sandi Volk, il "Giorno dell´orgoglio fascista".
Infatti nelle celebrazioni, sia ufficiali, sia delle singole
associazioni, sentiamo l´ostinata continua descrizione della ferocia
dei partigiani (quelli comunisti) e dell´Esercito jugoslavo, che
viene considerato non come uno degli eserciti alleati ma trattato alla
stregua di un esercito di occupazione, e nel contempo vengono del
tutto cancellate le responsabilità del fascismo nel conflitto; vediamo
gerarchi fascisti, collaborazionisti, persino acclarati criminali di
guerra descritti come "martiri" ed "eroi" in quanto
"soppressi e infoibati" da forze jugoslave. Perché la legge
prevede anche una onorificenza per questi "soppressi ed infoibati",
e pazienza se abbiamo visto "premiare" anche torturatori, o
semplici militari collaborazionisti dei nazisti morti in
combattimento, o ancora persone delle quali non si conoscono neppure
le modalità della morte, mettendo tutti i nomi in un gran calderone di
"vittime degli slavi". Il fatto che negli ultimi anni non si
siano
neppure resi pubblici i nomi di coloro che hanno ricevuto questa
onorificenza fa pensare che addirittura si temano obiezioni sulla
liceità di queste attribuzioni. E però, nonostante le modalità
piuttosto sui generis dei riconoscimenti, evidentemente le cose non
sono andate come si aspettavano i promotori della legge (primo
ideatore Roberto Menia), visto che nel sito del Consolato italiano di
Madrid leggiamo che "finora, dopo 5 anni di lavoro della commissione,
è pervenuto soltanto un limitato numero di domande a fronte del
potenziale, elevato numero delle persone destinatarie del
riconoscimento (circa 10.000, secondo le stime (stime inesatte, ndr),
furono le persone che persero la vita la vita per infoibamento)"; e
quindi "d´intesa con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e con
il Ministero Affari Esteri, si ritiene pertanto opportuna una
capillare azione d´informazione anche all´estero, ove si
trasferirono numerosissime famiglie di esuli dall´Istria, Fiume e
Dalmazia, i cui discendenti potrebbero beneficiare della Legge di cui
trattasi". Come ammettere che si sta raschiando il fondo del barile
dopo il flop, che si è dimostrata essere questa iniziativa.
A fronte di tutta di questa propaganda e disinformazione, di
diffusione di odio antijugoslavo ed anticomunista, di insulti alla
Resistenza, un gruppo di storici (tra i quali chi scrive) ha in questi
anni cercato di "resistere", in collaborazione di volta in volta
con l´Anpi, con partiti di sinistra (i soli Rifondazione Comunista e
Comunisti italiani), con le Università e con i Centri sociali, con
organizzazioni giovanili e di base, organizzando e partecipando ad
iniziative di informazione storica per cercare di porre un freno alle
falsità dilaganti che vengono a tutt´oggi diffuse. Dopo un lavoro
ormai più che decennale di attività di informazione e di una vera e
propria "resistenza storica" (spesso siamo stati tacciati di
"negazionismo", abbiamo subito contestazioni pesanti e tentativi
di
impedirci di parlare), piano piano il nostro discorso si è allargato
al punto che lo storico Joze Pirjevec, accademico di fama e (fatto non
indifferente) non comunista ha pubblicato per l´Einaudi lo studio
"Foibe. Una storia d´Italia", libro che ha creato un grande
scompiglio.
Infatti il 30 gennaio scorso due consiglieri regionali del PDL del FVG
(Roberto Novelli e Edoardo Sasco) hanno lanciato un attacco a Pirjevec
che viene accusato di "negare che la tragedia delle foibe sia da
attribuirsi alla volontà di effettuare una pulizia etnica premeditata,
frutto di un´azione politica tesa all´eliminazione di quanti si
opponevano all´annessione alla Jugoslavia dopo la fine della seconda
guerra mondiale"; di non avere preso "in considerazione fatti
storicamente assodati", perché le sue affermazioni "stridono
con
le testimonianze di tutte le persone che hanno vissuto il dramma
dell´esodo dall´Istria e l´opera di epurazione perpetrata dai
soldati titini durante e dopo la fine del secondo conflitto mondiale,
secondo le quali le foibe rappresentano a tutti gli effetti fenditure
carsiche in cui i partigiani jugoslavi gettarono i corpi dei nemici".
Come si vede, mentre Pirjevec ha scritto un libro di quasi 400 pagine
basandosi su fonti storiche accertate come documenti ufficiali, gli
specialisti del PDL, l´ingegnere Sasco ed il perito agrario Novelli
si arrogano il diritto di decidere che, dato che le conclusioni di
Pirjevec "stridono" con "le testimonianze" (non si sa
bene di
chi), è lo storico ad essere inattendibile e non la vulgata da
rivedere.
A sua volta il PDL nazionale (il responsabile della Consulta Cultura
del partito, Fabio Garagnani e la vice Paola Frassinetti) propone di
"istituire un albo nazionale di associazioni autorizzate a recarsi
negli istituti scolastici a parlare del fenomeno delle foibe e dell
\'esodo istriano-giuliano-dalmata", in modo da "evitare che
l´argomento venga affrontato nelle scuole da associazioni gestite da
comunisti" (sic). Cioè non si chiede che chi intende parlare nelle
scuole di questo argomento abbia la preparazione storica necessaria
per farlo, ma semplicemente che non sia "comunista". Così un
Marco
Pirina che riempie i suoi libri di falsità (assieme alla moglie
Annamaria D´Antonio è stato recentemente condannato dalla sezione
civile della Cassazione a risarcire i danni per diffamazione a tre ex
partigiani da loro accusati senza alcuna prova di avere "infoibato"
civili italiani) potrebbe andare a parlare agli studenti, non essendo
"comunista", mentre uno storico che si è specializzato
sull´argomento non potrà farlo se l´associazione che lo propone
è
"gestita da comunisti".
Potremmo ora semplicisticamente affermare che ci troviamo in pieno
regime, perché impedire la parola in base alle idee politiche è
fascismo puro, e poi chi è che decide se un´associazione è
"comunista", o se è "comunista" chi parla, ma
vorremmo invece
cercare di essere costruttivi ed invitare i democratici, gli esponenti
della cultura, tutti coloro che hanno a cuore la verità storica e la
libertà di parola, gli antifascisti, ad opporsi a questo sfacciato
tentativo di imbavagliare e censurare l´informazione storica, ad
esprimere la propria solidarietà al professor Pirjevec ed a tutti gli
studiosi che in questi anni, fra innumerevoli difficoltà, hanno
studiato e si sono fatti carico di rendere noto il risultato dei loro
studi spesso non "graditi" perché diversi da ciò che per
sessant´anni la propaganda ha diffuso.
febbraio 2010
CIRCOLO DI INIZIATIVA PROLETARIA GIANCARLO LANDONIO
VIA STOPPANI,15 -21052 BUSTO ARSIZIO -VA- Italia
(Quart. Sant´Anna dietro la piazza principale)
e-mail: circ.pro.g.landonio@tiscali.it
..............................................................Archivio
documenti storici.
Dal blog Comunista rivoluz.: Italia
rossa
Per
una soluzione rivoluzionaria della crisi italiana
Domenica, 11 febbraio 2007 (prima edizione)
Ci sono oppressi e ci sono
oppressori; aggrediti e aggressori; vittime e boia.
Solo i primi meritano rispetto
Nelle <<Foibe>> vennero gettati gerarchi
fascisti e nazisti miliziani e collaborazionisti , oppositori vari - La
violenza dei partigiani di Tito contro gli invasori fascisti e nazisti,
nonché quella dei partigiani triestini , era legittima; fu reazionaria
nei confronti di operai e avanguardie comuniste. L´equiparazione postuma
dei morti non supera il passato né elimina le responsabilità. La storia
non si cancella. Condanniamo il cordoglio odierno , di fascisti e
antifascisti, sui morti delle "Foibe" come manifestazione di
revanschismo imperialistico e mettiamo in guardia "esuli"
italiani e sloveni confinari sulle mire espansionistiche dell´Italia.
Istria e Trieste , da luoghi di massacri , debbono
ritornare centri di INTERNAZIONALISMO PROLETARIO.
Le " foibe" non furono né un genocidio
del totalitarismo comunista (non c´era comunismo né in Russia né
in Jugoslavia ed è una bestialità allineare Marx - Lenin con: Tito
Stalin Mao Pol Pot);
né una pulizia etnica né una "folle
vendetta " attuata da gente disperata ; né una "barbarie di
guerra" ; né una "grande tragedia"; né altro di consimili
cose sciorinano giornali e televisioni con grande noncuranza o
mistificazione degli avvenimenti storici. Le "foibe", cui
ci limitiamo a quelle del 1945 , furono una pratica di giustiziazione
politica attuata dall´esercito di liberazione jugoslavo contro i
nazi-fascisti e i loro accoliti che, che con le loro atrocità e
invasione, avevano causato la morte di 1.700.000 persone. La presenza
delle truppe di Tito a Trieste e Gorizia va dal 2 maggio al 12 giugno 1945
.In questi quaranta giorni ci furono esecuzioni e deportazioni nei campi
di concentramento jugoslavi ma; non ci fu alcun genocidio o pulizia
etnica . L´esercito di Tito epurò le due città essendo nei suoi piani,
avvallati da Togliatti, spostare il confine fino al Tagliamento , ma non
operò alcuna eliminazione sistematica in base alla nazionalità. Le
direttive ai comandanti sloveni erano di arrestare i nemici e di epurare
in base all´appartenenza al fascismo (gli sloveni avevano giustiziato più
di 10.000 connazionali perché collaborazionisti). Dal novembre 1945 all´aprile
1948 sono state recuperate dai crepacci tra Trieste e Gorizia circa
500 salme . Metà erano di militari metà di civili. Le
"foibe" furono quindi la modalità esecutiva di un più vasto
repulisti politico operato con metodi sommari e feroci da una armata di
liberazione nazionale che tendeva a stabilire la padronanza sul campo
prima delle trattative di pace in una zona di confine conteso.
Il P.C.I. triestino ammetteva la tattica
delle "foibe" raccomandando ai propri militanti di non
sbagliare bersaglio e di colpire dirigenti responsabili del regime
fascista e della RSI membri della milizia e della guardia repubblichina
collaboratori aperti dei nazisti. Quindi scaraventare l´avversario nei
crepacci faceva parte della lotta antifascista ed era una giusta reazione
alla violenza nera. Questo il contesto storico di allora. Dal 1992 operano
2 commissioni miste, una italo- slovena, l´altra italo-croata , per
ricostruire questi episodi.
Non c´è molto da scoprire . I fatti storici a parte i
dettagli sono noti . L´unico capitolo da ricostruire è la
distruzione dei reparti più combattivi della classe operaia giuliana e
delle avanguardie comuniste ad opera congiunta del nazionalismo titino e
dello stalinismo del P.C.I. triestino. Ma non ci aspettiamo niente dalle
predette commissioni e esortiamo perciò quanti hanno a cuore l´argomento
e la possibilità di farlo di cimentarsi in questa ricostruzione.
Che oggi gli ex partigiani si inchinino davanti le
"fobie" in compagnia degli ex fascisti , i quali per quaranta
anni ne hanno fatto un vessillo speculando sul dramma dei profughi da loro
creato, non ci sorprende affatto . Fascismo e antifascismo sono due facce
della stessa medaglia borghese e già nell´89 il P.C.I. di allora
aveva deposto i primi fiori alla "foiba" di Basovizza. Ma è un
incolmabile atto di ipocrisia sostenere che tutti i morti sono uguali e
che la violenza parifica i soggetti. NOSSIGNIORI. Le
repressioni le atrocità gli stermini degli imperialisti e degli
oppressori non possono essere equiparati alle uccisioni e violenze dei
movimenti nazionali né tantomeno a quelli degli oppressi. La
persona umana non è un´entità astratta; è una cellula sociale; e
ha un posto di serie A-B-C-D a seconda che appartenga a questa o
quella classe , in vita e in morte. Quindi si abbraccino pure i nemici di
ieri la storia non si cancella.
E´ logico che ogni qualvolta si parla di
"foibe" il clima per gli italiani dell´ex Istria si fa più
pesante in quanto cresce l´ostilità di sloveni e croati. Certo che la
raggiunta unità post-fascista di ex camice nere e di ex partigiani non
prelude a nulla di buono . Essa esprime la grande voglia dei gruppi
economico-finanziari e militari di ritornare da padroni in queste terre ed
è dunque foriera di nuove e più sanguinose avventure.
...I MORTI NON SONO TUTTI UGUALI : CI SONO
OPPRESSI E CI SONO OPPRESSORI, AGGREDITI E AGGRESSORI, VITTIME E BOIA .
SOLO I PRIMI MERITANO RISPETTO.
Articolo del suppl. al giornale murale di RIV.
COM. del 15 settembre 1996, appiccicato sui muri anche recentemente in
provincia di Varese.
--- Edizione a cura di
RIVOLUZIONE COMUNISTA
SEDE CENTRALE: P.za Morselli 3 - 20154 Milano
e-mail: rivoluzionec@libero.it
http://digilander.libero.it/rivoluzionecom/
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Dal blog: http://italiarossa.splinder.com/
Per una soluzione rivoluzionaria della crisi italiana
giovedì, 15 febbraio 2007
A Pola xe l´Arena
La Foiba xe a Pisin
Che buta zo in quel fondo
Chi ga certo morbin (1).
(Canto dei giovani fascisti di Pisino, 1919)
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Durante e dopo le vicende belliche della Seconda guerra mondiale, Venezia
Giulia, Istria e Dalmazia si trovarono stritolate dalla linea di faglia,
lungo la quale l´imperialismo anglo-americano si scontrava con il
nazionalismo iugoslavo, sostenuto dall´Unione Sovietica. (dino erba.)
Il contrasto era inasprito dalla politica razzista nei confronti degli
sloveni, condotta dall´Italia dopo l´annessione di quelle regioni,
avvenuta nel 1918, e, soprattutto, con l´occupazione della Slovenia dal
1941 al 1943. Furono 25 anni contraddistinti da crescenti violenze che,
durante la guerra, assunsero carattere di genocidio(2). Fin dal 1919, i
fascisti avevano inaugurato la macabra consuetudine di gettare nelle foibe
avversari politici o considerati tali in quanto slavi.
La persecuzione degli sloveni si intrecciò alla repressione contro
socialisti e comunisti che, negli importanti centri industriali di
Trieste, Fiume, Albona e Pola, vantavano una tradizione di forte impronta
internazionalista, fondata su consolidati rapporti tra le differenti
nazionalità che, dalla fine dell´Ottocento, connotavano il proletariato
di quelle zone, in cui convivevano non solo italiani e sloveni, ma anche
ebrei, tedeschi e croati. In tutta la regione, le aggressioni fasciste
furono subito estremamente violente: a Trieste il 13 luglio 1920
incendiarono l'Hotel Balkan, sede del Centro culturale sloveno, il 9
febbraio 1921 incendiarono «Il Lavoratore», quotidiano del Partito
Comunista d´Italia per la Venezia Giulia e, il 28 febbraio, le Camere del
Lavoro di Trieste e dell´Istria. Per tutto il ventennio fascista, il
Partito Comunista d´Italia denunciò i soprusi e le persecuzioni contro
gli sloveni, mantenendo rapporti non solo con i comunisti slavi ma anche
con le tendenze nazionaliste radicali.
La tradizione internazionalista era talmente radicata, che neppure la
sanguinaria pulizia etnica fascista era riuscita a distruggerla, aveva
comunque posto premesse, che furono poi sfruttate a fondo dai
nazionalcomunisti iugoslavi. Ma prima, questi ultimi dovettero eliminare
ogni voce di dissenso.
Nel 1942, a Fiume alcuni militanti comunisti, tra cui G. Rebez, avevano
costituito un organismo che si definì Partito Comunista Internazionale,
sostenendo la lotta di liberazione degli iugoslavi, in particolare del
croati, ponendola comunque in una prospettiva socialista. Dopo il 25
luglio 1943, si fecero strada le rivendicazioni slave - di cui si fece
portavoce il partito comunista sloveno -, riguardanti, oltre al territorio
istriano con Fiume e Zara, anche il litorale sloveno con Trieste e
Gorizia. Nell´estate del 1943, la Federazione comunista di Trieste, pur
sostenendo l´unità di lotta contro il nazifascismo, avanzò una
posizione internazionalista, che contrapponeva il concetto di
autodeterminazione dei popoli (enunciato fin dal 1915 da Lenin) alle
annessioni per mezzo delle armi. Fautori dell´autodeterminazione erano
Luigi Frausin, segretario regionale, Natale Kolarich e Vincenzo Gigante
che, nel giro di qualche mese, furono uccisi dai nazifascisti,
probabilmente in seguito a delazioni interessate. Con loro scomparvero
anche Lelio Zustovich - fucilato nell´ottobre 1943 dai nazionalcomunisti
croati -, Pisoni, Silvestri e altri militanti internazionalisti,
anarchici, libertari e partigiani disertori delle file di Tito(3). Per
evitare l´accusa di nazionalismo, il PCI uscì dal Comitato di
Liberazione Nazionale della Venezia Giulia e prospettò - obtorto collo -
l´adesione delle province giuliane alla futura Iugoslavia socialista.
Compiuta l´epurazione dei dissidenti, i nazionalcomunisti iugoslavi
poterono scatenare una nuova pulizia etnica, questa volta contro gli
italiani, ricorrendo al metodo fascista delle foibe. Dapprima furono
colpite persone più o meno compromesse con il regime fascista, ma presto
furono colpiti anche proletari, in un massacro che aveva come unico scopo
la pulizia etnica. L´esito fu un clima di accesi odi nazionalisti, in cui
il proletariato venne frantumato, perdendo ogni ombra di autonomia
politica. Alla campagna xenofoba dei nazionalcomunisti iugoslavi, quelli
italiani risposero con una campagna altrettanto xenofoba quando, nel
luglio 1948, con una rapida giravolta, il PCI si adeguò al diktat
sovietico contro Tito, divenuto «lacché dell´imperialismo USA».
Nell´orrendo gioco al massacro, che per oltre cinque anni sconvolse
Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, una delle poche voci fuori dal coro fu
il Partito Comunista Internazionalista, presente a Trieste con alcuni
militanti scampati alle purghe staliniste e titine, tra cui Francesco
Sustersich. Costoro, coerenti con l´orientamento internazionalista,
fornirono preziose testimonianze - prive di pregiudizi ideologici - su
quanto stava avvenendo, scorgendo sul nascere anche la speculazione
democratica che, in tempi recenti, ha saputo sfruttare a proprio vantaggio
la denuncia dei massacri allora avvenuti. L´articolo riportato, del 1948,
descrive l´operazione che allora i democratici anti-comunisti attuarono
nei confronti dei profughi istriani.
Gli sciacalli del C.L.N. dell´Istria a Trieste
"Il problema dell´esodo costante e sempre crescente delle
popolazioni dell´Istria, incalzate dalla fame e del terrore titino,
costituisce una «vexata quaestio» dalla quale, per ben tre anni, certi
enti (autodefinitisi morali) hanno tratto, ma solo per i loro scagnozzi,
motivo di esistere.
Infatti, essi sorsero come funghi a Trieste, un po´ dappertutto in
Italia, fin dal luglio 1945, con gli ormai famosi appellativi di «C.L.N.
dell´Istria e della Venezia Giulia» e con lo scopo precipuo di aiutare
in ogni modo e forma coloro che, perseguitati dai nazionalisti di Tito, ne
avessero avuto bisogno, ma mostrarono ben presto finalità esattamente
opposte a quelle per le quali avevano dichiarato di sorgere e, quel che è
peggio, servirono a raccogliere e favorire nel loro misterioso seno i
rimasugli sbandati del fascismo, della X MAS e dei collaboratori nazisti,
per divenire infine veri e propri covi di vipere unicamente preoccupati di
coprire di bava e di veleno gli uomini che avevano combattuto fin dal suo
sorgere il regime totalitario.
Ai nostri compagni lettori gioverà tuttavia una premessa atta a porre
nella giusta luce, in questo trambusto di idee, le diverse interpretazioni
in proposito e gli abusi in virtù dei quali molti oggi riescono a
classificarsi «esuli», in Italia, a Trieste e altrove, per trarne
adeguati vantaggi. Quattro sono le categorie di esuli che hanno lasciato
le terre annesse ed amministrate dagli jugoslavi.
La prima, fuggita in aprile, maggio, giugno 1945, comprendente criminali
fascisti, fascistoidi, spie , collaboratori nazisti (tutti di parte
italiana) e, fra quelli di parte serba, croata o slovena, ustascia,
belogardisti, seguaci di Ante Pavelic, spie al servizio dei fascisti e dei
nazisti, i cetnici di Mihailovich, piccole frazioni delle sette non ancora
morte, Mano Nera, Mano Bianca, Orjuna, Sokol, Idranska, Straza, Srnao,
Narodna Odbrana ecc., aderenti come in passato alla monarchia
Karageorgevich (il rimanente ha ingrandito il minestrone titino salvando
la pelle e facendo causa comune con lui)(4).
La seconda, fuggita dalla fine del 1945 e tutto il 1946, comprendente
capitalisti, strozzini, speculatori, arricchiti di guerra sia di parte
italiana che croata o slovena, impediti di continuare i loro lerci affari.
La terza, quella degli affamati operai, pescatori della costa istriana e
dalmata, contadini a giornata per la maggior parte di lingua italiana,
rovinati dal prelievo degli utensili di lavoro nelle fabbriche e nei
cantieri, delle reti da pesca e del macchinario agricolo; fattore
determinante, la mancanza di lavoro.
La quarta, i nostri compagni che, ingenuamente sfruttati per ragioni di
lotta che non erano le loro, si sono visti colpiti fra i primi.
Ora se, per le prime due, i vari C.L.N. versano lacrime di coccodrillo,
per le altre non lesinano l´umiliazione, gli insulti e l´affamamento.
Insediatisi su comode poltrone imbottite, dietro ad ampi tavoli preparati
dalla combutta clericaloide-massonico-capitalistica sperante di
sopravvivere per merito loro, questi signori, pupazzetti di pane
eternamente condizionato ed autoclassificatisi «insostituibili polmoni di
una vasta attività politico assistenziale a favore degli
"esuli"», iniziarono ben presto la loro subdola attività all´ombra
di sicuri ripari. Fra i tanti che sorsero, quello di Trieste, possiamo ben
dire senza tema di smentita, che sia risultato il campione. Liberatosi
degli elementi più onesti e in buona fede, che avrebbero potuto in
seguito divenire un intralcio a tanto «umanitaria opera» (sic!) gli
attuali dirigenti scelsero tra gli affamati esuli quelli che, meno
scrupolosi ma più addomesticabili, avrebbero meglio servito gli scopi che
i loro padroni perseguivano, La prima preoccupazione era quindi di
allontanare, attraverso l´intimidazione, la diffamazione e la calunnia i
nostri compagni, che troppo bene li conoscevano ed avrebbero potuto
smascherarne il tristo passato rovesciandoli dai ben remunerati cadreghini.
Molti sono i compagni che, costretti a lasciare la casa sotto le minacce,
hanno dovuto cercare asilo in Italia e particolarmente a Trieste, non
senza aver prima conosciuto il carcere dell´occupatore jugoslavo che,
come quello fascista, accarezza col velario della morte i più
recalcitranti. Ed è proprio contro questi compagni, i più cari perché i
più colpiti, che si è scagliata e si scaglia tuttora la canea
parassitaria degli autentici «dell´ora sesta», col preciso scopo di
avvilirli ed affamarli addebitando loro colpe e responsabilità che vanno
unicamente addossate agli stessi accusatori, causa di tutte le cause. Per
questa categoria di esuli non esiste aiuto a Trieste."
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"Considerati dai titini nemici acerrimi (e ciò fino dal maggio
giugno 1945) perché non «timidi botoli della verga staliniana» respinti
e senza possibilità di chiarire le loro posizioni, a Trieste, li si
accusa oggi d´essere filo-slavi e titini e gli si impedisce di parlare
quando ancora non li si accusa sottovoce d´infoibamenti. Ma i signori del
fantoccio dalle inconcludenti mozioni all´O.N.U., che si fa chiamare
C.L.N. dell´Istria, con sede a Trieste, sanno troppo bene che i vari
colleghi del C.L.N. della Venezia Giulia - coi quali dividono gli
abbondanti emolumenti del governo italiano (sudore proletario) - non hanno
alcuna responsabilità degli infoibati triestini dei sempre deprecatissimi
40 giorni, ciò che confermerebbe la loro esistenza da talpe, per cui si
guardano bene dal parlarne anche lontanamente. Noi, però, con la bontà
che ci distingue, vogliamo sperare che gl´infoibatori siano statati i
neozelandesi. Forse il futuro ce lo dirà, perché diversamente, alle mal
riposte fiducie nei vari C.L.N. pullulanti in Italia, dovremmo, nostro
malgrado, aggiungere quelli di Trieste e riconoscere che se qualche
fabbricante di scope locale non è riuscito coi suoi superprodotti a
pulire quanto di sporco c´era dentro, nonostante la nobile presenza di
qualche reverendo callo della Lega o della Banca d´Italia, per risolvere
la «vexata quaestio» (la quale a chi ha bisogno di mangiare non
interessa affatto) non c´è che il piccone demolitore.
L´era del doppio giuoco e dei pesi a due misure deve finire. Per ora
punto; e fra breve da capo."
(Aro), «Battaglia Comunista», n. 32, 22-29 settembre 1948.
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(1) "A Pola c´è l´Arena, a Pisino c´è la foiba: in quell´abisso
vien gettato chi ha certi pruriti." Lo squadrista istriano Giorgio
Alberto Chiurco, nella sua Storia della rivoluzione fascista (Vallecchi
Editore, Firenze, 1929) si gloria di un´orrenda serie di violenze, tra
cui l´infoibamento di slavi e antifascisti italiani. Cfr. Giacomo Scotti,
Foibe e foibe, «Il Ponte della Lombardia», n. 2. febbraio/marzo 1997,
numero speciale.
(2) Cfr. Costantino Di Sante (a cura di), Italiani senza onore. I crimini
in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951), Ombre Corte, Verona, 2005;
Raoul Pupo, Guerra e dopoguerra al confine orientale d´Italia
(1938-1956), Del Bianco, Udine, 1999.
(3) Foibe. Il macabro trionfo dell´ideologia nazionalista, Edizioni
Prometeo, Milano, 2006.
(4) In questo coacervo di organizzazioni reazionarie, ebbero importanza,
in Croazia gli Ustacia di Ante Pavelic e in Serbia i Cetnici del generale
Draza Mih
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venerdì, 10 febbraio 2006
Ricordo senza memoria
La memoria non è semplice
ricordo: non può essere elencazione di fatti, richiede elaborazione. E,
soprattutto, non accetta le semplificazioni, di cui si nutre la
propaganda. (Gabriele Polo)
Se poi si tratta della memoria di un secolo come il 900 - così aspro e
duro - la ricostruzione di una memoria comune non può isolare le singole
tragedie - e ce ne sono tante - facendo finta che ognuna sia indipendente
dall'altra. Così si celebra, non si fa capire; e alla fine quella
celebrazione suona come estranea a chi non è stato parte in causa. Ieri
il Presidente della Repubblica ha ricordato solennemente le vittime
italiane delle foibe e l'esodo forzato dall'Istria e dalla Dalmazia:
alcune migliaia di persone uccise nell'immediato dopoguerra durante
l'occupazione jugoslava di Trieste, decine di migliaia di donne e uomini
che abbandonarono le proprie case sotto la pressione del revanscismo
sloveno e croato. Ciampi nel far ciò ha condannato il nazionalismo e
l'odio etnico. Giusto. Peccato che il Presidente non abbia speso una
parola contro ciò che stava alla radice di quell'odio: l'espansionismo
fascista - con relative stragi - sul confine orientale. E, prima, la
furibonda campagna di italianizzazione delle popolazioni slave durante il
ventennio.
Chiunque sia nato tra Trieste e Gorizia sa che prima del fascismo quel
confine non esisteva, né sulla carta, né soprattutto nelle menti e nella
vita quotidiana di chi lì viveva. Italiani, sloveni, croati si
mescolavano, facevano gli stessi lavori, abitavano le stesse case,
venivano sepolti negli stessi cimiteri. L'uno a fianco dell'altro. Il
confine è venuto dopo e anche se non c'era sulla carta geografica,
cresceva nel razzismo istituzionale del regime italiano. Poi vennero la
guerra e le persecuzioni, i campi di detenzione per i civili jugoslavi, le
stragi, i paesi bruciati. Un odio militarmente praticato che si rovesciò
nella rappresaglia delle foibe e nell'esodo finale. Tutto questo è stato
rimosso dal Presidente della Repubblica. Che insieme alla storia deve aver
anche dimenticato di rispondere all'invito fattogli più volte di visitare
l'isola di Arbe, sede del principale campo di concentramento italiano per
civili jugoslavi. Ma, forse, ci vorrebbe memoria, non un semplice ricordo.
(Manifesto, 9.2.06)
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Italiani in Jugoslavia, cosa
leggere per saperne di più
Il primo libro da consultare è «Dossier Foibe» di Giacomo Scotti, Piero
Manni Editore (pp. 2005, 16 euro): è probabilmente il testo più
esauriente sui venti anni di squadrismo in quelle terre che prepararono il
doloroso periodo delle foibe. Ricchissimo di riferimenti alla
memorialistica e agli epistolari.
Specificamente sulla questione dell'esodo degli italiani dall'Istria,
Raoul Pupo «Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe»,
l'esilio, edito da Rizzoli nella collana Rizzoli storica (pp 333, 18
euro).
Un altro testo, anche questo fondamentale, «Italiani senza onore. I
crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951)», a cura di
Costantino Di Sante per le edizioni Ombre Corte (pp 270, 18 euro), dove si
illustra con una dovizia incredibile di documenti il fatto che per le
stragi commesse dai fascisti i governi italiani del primo dopoguerra
respinsero ogni atto processuale che arrivava dalla Jugoslavia e che
metteva sotto accusa i misfatti dello Stato maggiore italiano.
Per finire, ma certo non per ordine d'importanza, Angelo Del Boca con la
sua ultimissima fatica: «Italiani, brava gente», Neri Pozza editore (pp
318, 16 euro) dove appare evidente che il buco di memoria non riguarda
certo soltanto il fronte Balcanico, ma esperienze storiche quasi
cancellate, come la ferocia dell'Italia coloniale in Libia e in Abissinia.
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La disinformazione strategica
su "foibe" ed "esodo"
e il neoirredentismo italiano
" Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si
deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone.
I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche:
io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000
italiani."
(Benito Mussolini a Trieste, 1920)
IL
CONTRIBUTO NELLA RESISTENZA DEI
PARTIGIANI
JUGOSLAVI IN APPENNINO