IL
CONTRIBUTO NELLA RESISTENZA DEI
PARTIGIANI
JUGOSLAVI IN APPENNINO
Questo
documento appare su
sul prossimo numero - n. 1,
gen-feb 2010 -
de l'ernesto: www.lernesto.it
Una
storia ignorata
La vicenda degli jugoslavi rinchiusi nei campi di detenzione
fascisti
della Penisola fino all´ 8 Settembre del 1943, ed il contributo da
questi offerto alla Resistenza antifascista e antinazista italiana,
sono stati finora noti solo a pochi specialisti e in modo frammentario.
Eppure, questi partigiani animarono la lotta di Liberazione nelle
sue
prime fasi lungo quasi tutta la dorsale appenninica, da Genova fino
alla Puglia con episodi rilevanti soprattutto in Umbria e nelle
Marche
dove gli "slavi" furono presenti quasi ovunque e presero parte
a
quasi tutte le azioni più importanti.
Gli jugoslavi erano in maggioranza già esperti nella guerriglia
perché l´avevano condotta nel loro paese, contro gli eserciti di
occupazione tedesco e italiano, nonché contro i collaborazionisti
locali, fino alla cattura e alla deportazione in Italia. Inoltre, la
gran parte di loro erano giovanissimi militanti della SKOJ (la
struttura giovanile del Partito Comunista jugoslavo), con una
formazione ideologica solida ed una piena coscienza del nemico da
affrontare. Con la loro esperienza e con la loro determinazione
antifascista, essi dettero, fin dall´inizio, un valido contributo
alla formazione del movimento partigiano in Italia e al
consolidamento
della capacità combattiva delle giovani reclute.
Abbiamo cominciato ad interessarci a questa storia negli ultimi
anni,
per esserne venuti a conoscenza in maniera pressochè casuale,
nell'ambito delle nostre attività di solidarietà internazionalista
e
controinformazione sulla Jugoslavia e nell'ambito delle battaglie
contro il revisionismo storico e la diffamazione della Resistenza,
divenute purtroppo sempre più necessarie e frequenti. Con
rammarico,
abbiamo dovuto constatare che vicende di così vaste dimensioni ed
implicazioni hanno trovato uno spazio pressoché trascurabile nella
scrittura della storia dell´Italia contemporanea e della stessa
lotta
antifascista: nell´Enciclopedia dell´Antifascismo e della
Resistenza (1) - che, tra la letteratura che abbiamo trovato, è
l´unico caso in cui si sia perlomeno tentata una ricostruzione
complessiva di questi fatti attraverso una specifica voce
"Jugoslavi
in Italia", in chiusura della stessa è scritto: "la
partecipazione
jugoslava alla Resistenza Italiana non è stata ancora esaminata in
modo organico". Questo dopo tre decenni dalla conclusione di
quella
lotta.
Oggi sono passati ormai quasi 65 anni e la situazione non è
cambiata,
anzi il passare del tempo ha reso ovviamente più difficile ogni
ricostruzione e indagine da fonte diretta: i testimoni ancora in
vita
sono rimasti in pochi e naturalmente anziani; le fonti documentarie,
che già negli anni ´70 erano disperse e mal gestite, sono spesso
diventate irreperibili; ed infine, l´approccio a quelle vicende è
diventato "indigesto" a molti sia dal punto di vista politico
che
professionale.
Consapevoli di tutte queste difficoltà, abbiamo in ogni caso deciso
di
intraprendere un lavoro di ricerca e di divulgazione al grande
pubblico che mettesse in risalto quel carattere internazionalista
che
fu anche della Resistenza italiana, oltrechè - ed è cosa nota,
anche se abbastanza trascurata anch'essa - della omologa Lotta
Popolare di Liberazione in Jugoslavia cui parteciparono centinaia di
migliaia di italiani, soprattutto ex militari delle truppe di
occupazione. Abbiamo inteso così tra l'altro contrastare le
tendenze
revisionistiche che vogliono presentare la Lotta di Liberazione in
Europa in termini esclusivamente nazionali se non nazionalistici. (2)
E' nato dunque il progetto Partigiani Jugoslavi in Appennino, in
virtù
del quale si è via via costituita una rete molto ampia di contatti
e
di collaborazioni - con storici professionisti, sezioni ANPI ed
Istituti di Storia, appassionati conoscitori delle vicende in
questione e testimoni dei fatti residenti in molte province
italiane.
Infatti se in un primo momento abbiamo cominciato a seguire le
tracce
degli Jugoslavi, in gran parte sloveni e montenegrini, che erano
fuggiti dopo l´8 Settembre dal campo d´internamento di Colfiorito,
nei pressi di Foligno, e da quello di Renicci nei pressi di Anghiari
in provincia di Arezzo, subito ci siamo resi conto che la questione
abbracciava un'area geografica molto più ampia.
Gli jugoslavi che fuggirono dai campi d´internamento si dispersero
nelle campagne circostanti accolti dalle popolazioni locali, molti
di
essi si unirono o contribuirono alla formazione delle brigate
partigiane che si stavano componendo in quei giorni del settembre 1943.
A Bosco Martese, prima tappa della Resistenza Teramana, ma anche
italiana, tra il 12 e il 25 settembre si concentrarono tutte le
forze
antifasciste della provincia di Teramo; si trattava di soldati
italiani sbandati, ma anche di moltissimi ex prigionieri stranieri
appena scappati dai campi di concentramento della zona:
neozelandesi,
inglesi, americani e numerosi prigionieri politici della Jugoslavia,
in particolare montenegrini.
Nella mattinata del 25 settembre del ´43, l'avanguardia di una
colonna tedesca motocorrazzata che transitava per Teramo, dietro
informazione dei fascisti, si portava verso il bosco e catturava 7
partigiani. Ma nei pressi di Bosco Martese la colonna tedesca fu
investita dal fuoco dei cannoni e delle mitragliatrici dei
partigiani.
Furono bloccati 30 camion e fu catturato il comandante della
colonna,
il maggiore austriaco Hartmann. I sette partigiani furono fucilati,
e
di conseguenza il comando partigiano teramano decise di giustiziare
Hartmann.
Questo episodio divenne noto come "la prima battaglia campale
in
campo aperto della Resistenza Italiana" (così la definì
Ferruccio
Parri), meno noto è, però, il fatto che gli "slavi" giocarono
un
ruolo fondamentale in quella vicenda e nelle successive operazioni
della Resistenza nell´Italia Centrale. Le formazioni di Bosco Martese
erano state suddivise in tre compagnie, sotto la guida del capitano
dei carabinieri Ettore Bianco e del medico condotto Mario Capuani.
Di
queste compagnie la seconda era comandata da Dusan Matijasevi´c
aiutato da Svetozar Cu´ckovi´c.
Dopo il 25 settembre le compagnie si dispersero, ma gli stranieri si
diressero in massa verso la zona di Acquasanta Terme in provincia di
Ascoli. La "sacca" dell´acquasantano divenne presto il rifugio
di
un numero impressionante di fuggiaschi stranieri, in particolare
antifascisti jugoslavi. Arrivarono infatti molti altri da nord, dai
campi di reclusione delle Marche - Servigliano presso Fermo,
Collegio
Gentile presso Fabriano, eccetera - ma anche dall´Umbria e dalla
Toscana. In Umbria, anche grazie al recente interesse degli storici
dell'ISUC di Perugia, è particolarmente noto il campo di Colfiorito
presso Foligno dove nelle "casermette" furono internati migliaia
di
Montenegrini.
Memorie commosse di quei giorni sono contenute nei libri di Dragutin
"Drago" Ivanovic, classe 1923, che abbiamo intervistato nella
sua
casa dove vive ancora a Lubiana. Drago ha scritto moltissimo su
quelle
vicende sin dagli anni ´70. Subito dopo la pensione ha preso a
ripercorrere i sentieri della sua detenzione e della sua resistenza
antifascista sul suolo italiano. Le sue memorie sono note alla
storiografia italiana solamente per quanto riguarda il campo di
Colfiorito in cui anch´egli fu detenuto, ma altrettanto
interessante
per la nostra storia è il periodo successivo, fino al suo
trasferimento in Puglia ed il rientro in Jugoslavia di nuovo
inquadrato a combattere in una delle cosiddette Brigate
d´Oltremaredell´Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia.
Dopo l´8 Settembre altri internati montenegrini di Colfiorito erano
invece rimasti in Umbria unendosi alla Brigata Garibaldi nei
dintorni
di Foligno e di Spello (3); altri ancora si unirono alle formazioni
partigiane delle Marche centro-settentrionali oppure andarono più
a
sud e si unirono al nucleo dei fuggiaschi dal carcere di Spoleto.
Il battaglione degli jugoslavi formatosi a partire da questo nucleo
spoletino fu chiamato " Tito", il suo comandante militare
era
Svetozar Lekovi´c, detto Tozo, di Berane (Montenegro), che nel
dopoguerra lavorerà come ingegnere presso l´Istituto Tecnico
Militare di Belgrado; vice commissario politico era Bogdan
"Boro"
Pesi´c, il quale diventerà invece redattore del quotidiano belgradese
Politika. Con alterne vicende, visto che talvolta gli
"slavi"
tennero un profilo politico - militare più autonomo, il battaglione
Tito fu collegato all´importante Brigata Gramsci il cui commissario
politico era Alfredo Filipponi. Gli "slavi" della Gramsci
compirono
una serie di azioni di disturbo tali da costituire una vera e
propria
spina nel fianco per lo schieramento tedesco impegnato a
fronteggiare
l´avanzata da sud delle truppe alleate. Nei primi mesi del ´44 il
territorio di ben 12 comuni della Valnerina era sotto il controllo
della Brigata Gramsci che era stata suddivisa in 5 battaglioni, tra
cui appunto il battaglione Tito. Il territorio dei comuni di
Scheggino, S. Anatolia di Narco, Vallo di Nera, Cerreto di Spoleto,
Preci, Visso, Norcia, Cascia Poggiodomo, Monteleone e Leonessa venne
praticamente abbandonato dalle forze nazifasciste costituendo il
primo
territorio libero dell´Italia Centrale. Per oltre quattro mesi in
Umbria visse la Prima Repubblica Partigiana, esempio di una nuova
era
che le popolazioni sentivano avvicinarsi ineluttabilmente.
Nell´aprile del ´44 il comando tedesco di concerto con quello
fascista, decise una massiccia "operazione di polizia" in
Valnerina: una serie di battaglie contro forze preponderanti
impegnarono i partigiani, che tuttavia riuscirono a sganciarsi con
il
minor danno possibile grazie anche alla capacità dei comandanti ed
in
special modo di Tozo. Dopo questa azione il battaglione Tito si
diresse verso Visso ed il versante marchigiano.
Questo è proprio il periodo della sanguinosa controffensiva
tedesca.
La pressione degli Alleati sulla linea Gustav, in particolare i
durissimi scontri presso Cassino, avevano creato tra i tedeschi una
tensione crescente imponendo la elaborazione di piani e di manovre
per
il consolidamento del controllo del territorio, incluse azioni di
"bonifica" nelle retrovie. Un obiettivo prioritario di tali
azioni
non poteva che essere la cancellazione della presenza delle
"bande"
partigiane del Centro Italia: con le loro azioni di disturbo,
compiute
con frequenza e decisione crescenti lungo le strade consolari quali
la
Salaria e la Flaminia tali "bande" diventavano inammissibili per
il
gigante tedesco. Protagonisti di tali importantissime azioni erano
molto spesso proprio gli jugoslavi: quelli organizzati attorno al
comandante Tozotra le provincie di Terni e di Rieti, e quelli attivi
nell´entroterra marchigiano.
Un´altra storia interessante è quella che riguarda i prigionieri
del
campo di Renicci, in provincia di Arezzo. In questo campo erano
stati
fatti confluire i deportati della cosiddetta "provincia di
Lubiana", dunque molte migliaia di sloveni la gran parte dei
quali
avevano già fatto tappa prima nell´inferno di Arbe/Rab, poi a Gonars
(UD); oltre a costoro c´erano anche prigionieri politici albanesi,
croati e antifascisti italiani soprattutto anarchici, molti tra
questi
ultimi erano stati trasferiti a Renicci dai lager del sud e delle
isole che nei primi mesi del ´43 dovettero essere sgomberati per
l´avanzare degli Alleati.
Nel campo di Renicci i reclusi avevano già espresso anche
apertamente,
quando era stato loro possibile, la loro opposizione e resistenza ai
trattamenti più vessatori. Tra l´altro nel campo esisteva una
cellula politica comunista clandestina che faceva capo a Lojze
Bukovac. (4)
Bukovac dopo la sua fuga da Renicci si unirà all´VIII Brigata
Garbaldi Romagnola. In seguito all´offensiva tedesca che si stava
spingendo dal sud verso il nord delle Marche fino all´alta Marecchia
e alla Romagna, Bukovac ripiegherà in Toscana e di nuovo
nell´aretino. Bukovac ricorda : "... [dopo il 18 aprile 1944,
provenienti dall´ Emilia Romagna] ci ritirammo in Toscana dove ci
siamo riuniti alla brigata "Pio Borri" verso la metà del
mese di
maggio. Il commissario della brigata "Borri" Dusan Bordon,
un
giovane studente originario del capodistriano, divenuto poi nostro
eroe nazionale (nel dopoguerra a Capodistria gli è stata intitolata
una scuola) era caduto in un combattimento nei pressi di Caprese
Michelangelo il 13 aprile 1944..." (5)
In effetti in quel durissimo scontro a fuoco avvenuto nel corso di
un
rastrellamento fascista, per proteggere la ritirata dei compagni
erano
caduti, oltre allo studente Dusan Bordon, comandante del reparto, il
russo Piotr Fesipovi´c, mentre un altro montenegrino, tale Pelovi´c,
era stato catturato e immediatamente fucilato. Il reparto della GNR
comunque paga con 12 morti e 10 feriti.
Non mancano gli episodi che coinvolgono gli jugoslavi anche più a
Nord, fino a Genova, dove il comandante della brigata partigiana che
liberò la città era jugoslavo: Anton "Miro" Ukmar. Ukmar
in
effetti era sfuggito da un lager in Francia; unitosi alla Resistenza
italiana, venne nominato comandante della VI zona operativa, che
sugli
Appennini, poco lontano da Genova, disponeva di un vasto territorio
liberato. Con le sue divisioni il compagno "Miro" prese parte
alla
liberazione di Genova e ne fu comandante della piazza al termine del
conflitto. Ukmar - che sarà poi decorato con l´Alta onorificenza
americana "Stella di Bronzo" ed eletto cittadino onorario di
Genova
- contribuì alla formazione di ben otto divisioni partigiane in
Liguria. Di queste divisioni facevano parte alcune brigate comandate
da Jugoslavi, tanto che portavano il nome di battaglia degli stessi
come "Istriano", "Montenegrino" eccetera. (6) Molti di
questi
partigiani jugoslavi caddero in combattimento e la maggioranza di
loro , negli anni '50, si trovava sepolta nel cimitero di Genova.
Partigiani jugoslavi risultano caduti e sepolti fin nella provincia
di
Piacenza, a Cairo Montenotte e a Torino (ben 10 nel cimitero della
città piemontese).
Il comandante partigiano Giuseppe Mari "Carlo", in alcuni testi
del
dopoguerra provò a ricostruire gli organigrammi di tutte le
formazioni
della Resistenza marchigiana in cui gli jugoslavi avevano svolto un
ruolo di primo piano, elencando molte centinaia di nomi... Non è
questa la sede per ricordare questi nomi, o quelli dei combattenti
jugoslavi delle altre regioni, nemmeno i più importanti. Bisogna
invece sapere che negli anni '70 la RFS di Jugoslavia promosse la
costruzione di alcuni Sacrari in cui furono raccolte la stragrande
maggioranza delle spoglie dei partigiani caduti nelle diverse
regioni
italiane dopo l'8 Settembre, assieme alle spoglie di chi era caduto
di
stenti e di malattie nei campi di internamento prima dell´8
Settembre. I più importanti tra tali Sacrari si trovano a Roma
(Prima
Porta), nel cimitero di Sansepolcro (Arezzo), e a Barletta. Al di
là
delle spoglie contenute nei Sacrari, molte sepolture sono rimaste in
diverse piccole località dell´Italia Centrale, dal cimitero
internazionale di Pozza e Umito (Acquasanta Terme, in provincia di
Ascoli), a Cantiano (PU: tre i fucilati), alla tomba di Franko Tugomir
a Penna San Giovanni (AP)... Tante sono poi le lapidi e i monumenti
in
cui tutti questi partigiani sono ricordati.
Per quelli che sopravvissero, l´epilogo della vicenda è nelle
Puglie. La regione dalla fine del ´43 diventò base strategica e
retrovia dei partigiani slavi: sia per quelli che combattevano lungo
la dorsale appenninica e che, attraverso le Puglie, dovevano tornare
in patria, sia per quelli che combattevano nei Balcani e che
talvolta,
feriti, proprio in Puglia potevano essere trasferiti e curati in
appositi centri, in seguito agli accordi intercorsi tra Churchill e
Tito.
Questi avvenimenti sono ben ricordati anche da "Drago" e
da
Bukovac. I combattenti jugoslavi erano ospitati in centri di
raccolta,
ricoverati in ospedali, addestrati militarmente in località sparse
in
tutta la regione da Bari fino al Salento passando per Gravina e
Grumo
Appula. A Gravina un´epigrafe tuttora collocata all´ospedale
ricorda i medici partigiani jugoslavi che prestarono opera di
generosa
assistenza medica al popolo nel 1944 - 45. A Grumo Appula è rimasta
traccia della presenza dei soldati jugoslavi presso l´attuale
scuola
elementare (allora ospedale militare), e traccia della sepoltura di
molte decine di loro nel locale cimitero, dove esiste una stele con
iscrizione in serbocroato "riscoperta" solo di recente. La
principale testimonianza, però, è nel cimitero di Barletta che
ospita
l'altro impressionante Sacrario jugoslavo, in cui giacciono le
spoglie
di oltre 800 partigiani jugoslavi.
Molti ex combattenti jugoslavi sono tornati varie volte in Italia,
in
forma privata o ufficiale, a ritrovare i loro compagni di lotta, i
vecchi amici, le persone che fraternamente li avevano protetti e
nascosti. Sempre sono stati "accolti come fossero fratelli per
tanto
tempo rimasti lontano da casa". (7) Ciononostante, il complesso
delle
loro vicende è stato via via avvolto dall'oblio. Il mancato
approfondimento sul contributo degli jugoslavi alla Resistenza
Italiana ha causato, a nostro avviso, un danno imperdonabile e
probabilmente irreparabile, per lo meno dal punto di vista
strettamente storiografico, ma anche dal punto di vista sociale e
politico, per il mancato consolidarsi dei legami di fratellanza e
solidarietà. Crediamo di non allontanarci dal vero se affermiamo
che
la mancata comprensione da parte italiana della tragedia Jugoslavia
alla fine del XX secolo, con la cancellazione sanguinosa dello Stato
unitario degli "slavi del sud", sia stata anche frutto di
questo
colpevole oblio. In ogni caso questo vuoto storiografico, sul quale
noi interveniamo adesso apponendo il nostro enorme "punto
interrogativo", dovrà essere oggetto di una riflessione collettiva
e
di serie, anche se talora assai scomode, considerazioni storiche e
politiche.
Il progetto Partigiani Jugoslavi in Appennino si sta concretizzando
in
queste settimane nella preparazione di un primo testo, di carattere
sintetico-divulgativo corredato di materiali fotografici e tabelle,
che contiamo di dare alle stampe entro il 65.mo della Liberazione.
Si
tratta di un testo scritto a più mani, con il coinvolgimento e
l'aiuto
di alcuni storici professionisti. (8) Altra documentazione che
stiamo
raccogliendo - ad esempio, interviste e riprese video - potrebbe
essere utilizzata successivamente per interventi multimediali.
Saranno
approntate anche alcune pagine internet con le informazioni
essenziali. Si tratta comunque di un lavoro collettivo, per il quale
potrebbero ancora rivelarsi preziosi i contributi di chiunque abbia
informazioni o documentazione inedita da fornire. (9)
Andrea Martocchia
Susanna Angeleri
per il Progetto Partigiani Jugoslavi in Appennino
Note:
1) Curata da P. Secchia e E. Nizza, La Pietra, Milano 1976
2) "Il dramma del popolo giuliano-dalmata è stato creato da un
moto
d'odio e furia sanguinaria, e dal piano slavo annessionista che
assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica": questa la
posizione del presidente Napolitano sulla Resistenza jugoslava,
espressa in forma pubblica nel febbraio 2007 creando tra l'altro un
incidente diplomatico con la Croazia.
3) Si ricorda in particolare la figura di Milan Tomovi´c, ucciso da
una
malattia respiratoria contratta durante la guerra e sepolto a Perugia.
4) In particolare la testimonianza di Bukovac è stata raccolta da
Carlo Spartaco Capogreco nel suo "Renicci - Un campo di
concentramento in riva al Tevere" (Fondazione Ferramonti, 1998)
dove
si analizzano sia le prime forme di resistenza dei reclusi, sia le
successive vicende di quelli che, dopo l´8 Settembre, si unirono
alla
Resistenza Italiana.
5) Intervista a cura di C.S. Capogreco, vedi nota 4.
6) Una brigata era comandata da un certo "Battista", di
Lubiana.
Una delle divisioni , la "Garibaldi - Mingo", era comandata
dallo
jugoslavo Grga "Boro" Cupi´c, già detenuto nel campo di
internamento di Fossano in provincia di Cuneo.
7) G. Mari: "La Resistenza in Provincia di Pesaro e la
partecipazione
degli jugoslavi", Pesaro 1964.
8) In questa sede non possiamo elencare il grande numero di persone
a
cui siamo grati e che ci stanno aiutando, alcune delle quali
appariranno come coautori del testo che sarà dato alle stampe.
9) Invitiamo a contattarci all'indirizzo: partigiani7maggio @ tiscali.it