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COMMENTI DI FALCO ACCAME

 

 

1) Nano particelle. Audizione della dott.ssa Antonietta M. Gatti del 27 marzo 2007

                Se ho inteso bene il resoconto dell’Audizione, la dott.ssa Gatti nella sua esposizione ha accantonato la possibilità che alcune delle patologie di cui si discute, possano essere derivate dall’uranio impoverito e che invece, occorra concentrarsi sugli effetti della nano particelle nelle quali non si riscontra la presenza di uranio impoverito.

                Mi pare che ciò coincida con quanto si legge nell’articolo pubblicato sul quotidiano ‘ La Stampa ’. Se ho ben capito la teoria della dott.ssa Gatti (della quale ho avuto modo, in passato, di leggere ricerche in campo odontoiatrico, sempre attinenti alla questione delle “piccolissime particelle”), la stessa dott.ssa Gatti ha esaminato le conseguenze dell’uranio “a caldo”, cioè quando un proiettile all’uranio impatta su una superficie solida, sviluppando temperature dell’ordine dei 3000 gradi e anche con effetti pirofori che danno luogo ad una “sublimazione” del materiale.

                Nella teoria della dott.ssa Gatti, l’uranio viene inteso, per usare un termine sociologico, come il “mandante”, il quale resta occulto, mentre devolve l’azione ai “mandati” che sarebbero numerosi metalli, come lo stronzio ed altri.

                Dunque, sempre in relazione a questa metafora sociologica, l’uranio sarebbe una specie di “Totò Riina” che non compare mai nei delitti di mafia effettuati dai suoi “mandati”.

                Infatti, la dott.ssa Gatti sostiene di non aver trovato traccia dell’uranio impoverito nei reperti da lei esaminati, ma sempre altri metalli. Il rapporto tra uranio impoverito e tumori quindi non esisterebbe. E per quanto riguarda il rapporto tra gli altri metalli e l’insorgere di tumori, malformazioni alla nascita, patologie neurologiche, ecc. non vi sarebbero prove ed il legame resterebbe di tipo probabilistico.

Ma il punto che mi preme mettere in evidenza è che la teoria della dott.ssa Gatti riguarda la pericolosità dell’uranio per così dire “a caldo”, anzi potremmo dire “a caldissimo”, visto le temperature che si sviluppano.

Ma quanto sopra non copre affatto la situazione di rischio presentata dall’uranio e specificamente ribadita in tutte le norme di protezione che dal 1984 sono state individuate. Infatti, se la teoria della dott.ssa Gatti si può prestare ad esaminare la pericolosità nella situazione di impatto di un proiettile contro un ostacolo, non si presta a valutare il pericolo “a freddo” nel caso di maneggio di proiettili all’uranio impoverito o, ad esempio, barre di compensazione degli impennaggi degli aerei.

Pensiamo, ad esempio anche al maneggio di  proiettili che si sono conficcati nel terreno da parte di civili (spesso bambini) nelle località bombardate. Pensiamo al maneggio di proiettili nei depositi di munizioni, o al maneggio di residuati di proiettili in Italia e all’estero.

Mi preme menzionare il fatto che a proposito del maneggio di munizioni e dei pericoli relativi, vi è stata in passato una polemica di cui riferiscono gli allegati, che si è sviluppata nel deposito delle “Casermette” a Bibbona presso Cecina. Gli artificieri che dovevano ripulire dei proiettili dalla ossidazione che si era verificata, chiesero un intervento della locale ASL perchè erano preoccupati per la loro salute.

Questa è, ad esempio, una situazione in cui la teoria della dott.ssa Gatti è inapplicabile perchè è una situazione di rischio “a freddo” e non “a caldo” e riguarda lo strato di ossidazione che si sviluppa sulla superficie del metallo. Qui non sono in gioco nè altri metalli nè “mandanti occulti”. Ma perchè una teoria possa ritenersi valida, deve poter essere applicabile in tutte le situazioni.

Desidero, infine, precisare che quelle che, almeno al sottoscritto, risultano essere le prime norme di protezione inviate all’Italia in ambito NATO, sono quelle del 1984. E’ proprio in queste norme di protezione che si precisano i provvedimenti da adottare, di fronte ai pericoli dell’uranio impoverito, e che sono costituiti dall’uso di guanti, tute, maschere, occhiali. Queste norme furono riprese anche in un articolo del quotidiano ‘Metro’, a firma della giornalista Stefania Divertito.

Le norme del 1984 si riferiscono specificamente ai pericoli che presenta il maneggio delle barre di uranio che, come sopra accennato, vengono usate negli impennaggi degli aerei militari e di quelli civili. Uso che è stato, da qualche anno, proibito.

Può forse essere non inutile ricordare da che cosa nacque un primo allarme sulla pericolosità dell’uranio impoverito, dopo quello che era stato dato in Australia negli anni ’50. In Giappone si verificò che, al decollo, un aereo si schiantasse al suolo producendo un furioso incendio che risultava inspiegabile agli esperti. Dopo attenti studi si dedusse che questo incendio anomalo si era sviluppato per via dell’effetto piroforo delle barre all’uranio contenute nei timoni di direzione, quando si sviluppò l’incendio. Quanto avvenuto in Giappone si ripetette anche, su scala minore, in Italia, presso l’aeroporto della Malpensa. L’esito (all’italiana) fu il licenziamento del Vigile del Fuoco che aveva denunciato il fatto.

In conclusione, mi sembra che non ci si possa fondare sulla teoria della dott.ssa Gatti indipendentemente dal fatto che possa o meno dimostrare la pericolosità dell’uranio impoverito in quanto tiene conto solo della problematica a caldo e non di quella a freddo.

Mi pare anche che, pur nei limiti che riguardano la situazione a caldo, la teoria non porti ad affermare nè che l’uranio impoverito possa essere la causa dei tumori, e neppure il contrario come hanno cercato di sostenere coloro che attribuiscono ai vaccini e non all’uranio la causa delle patologie, dimenticandosi che queste patologie si sviluppano non solo all’estero, al personale a cui sono state fatte particolari vaccinazioni, ma anche sul territorio nazionale per militari e anche per civili, come è apparso per esempio, in alcuni poligoni della Sardegna e nelle zone adiacenti.

Si ritiene, perciò necessario, un maggior approfondimento sulla questione anche nell’ambito della stessa commissione di indagine e negli appropriati organi competenti nel campo scientifico.

 

2) Approfondimenti epidemiologici. Audizione del dott. Valerio Gennaro, pag. 22 e segg. del 27 marzo 2007

                Dati i tempi assai ristretti per l’audizione, mi pare sia rimasto dello spazio per porre ulteriori domande al dott. Gennaro che, in qualità di Epidemiologo, ricopre un ruolo sicuramente importante.

                Alcune domande che forse potrebbero essergli poste e che possono condurre a degli approfondimenti, sono le seguenti:

Ritiene che le Relazioni Mandelli, possono essere significative nonostante che, per quanto riguarda le zone di impiego del personale, considerino solo le aree della Bosnia e del Kossovo e non considerino invece le aree della Guerra del Golfo e della Somalia e le aree dei poligoni in Italia, ma anche destinazioni come depositi di materiale in Italia? Ciò tenuto presente anche che vengono conteggiate presenze in aree possibilmente contaminate solo nei riguardi di personale in “missione”, escludendo quindi tutto il personale assegnato a “destinazioni” in Italia.

Le “Relazioni Mandelli” possono essere considerate uno studio epidemiologico, visto che, tra l’altro, sono state condotte mentre il fenomeno era in pieno svolgimento?

Quali suggerimenti potrebbe fornire per un rifacimento o completamento degli studi della Commissione Mandelli? 

Ritiene che sia opportuno introdurre un programma di sperimentazione per poter confermare o meno le deduzioni di tipo statistico?

Si ritiene necessario, per stabilire se non si può escludere la pericolosità dell’uranio, una sperimentazione e quali dovrebbero essere le caratteristiche di una simile sperimentazione?

L’adozione della distribuzione di Gauss al posto di quella di Poisson che ha portato ad un allargamento degli intervalli di confidenza del SIR ha fatto perdere di significato alle conclusioni, in particolare per quanto riguarda la I delle Relazioni Mandelli, nella quale si affermava la innocuità dell’uranio impoverito?

Può considerarsi fondata l’affermazione contenuta nelle Relazioni Mandelli secondo cui le neoplasie maligne (ematologiche e non) considerate globalmente, secondo cui il numero di casi risultanti è inferiore a quello atteso?

Si può escludere che l’uranio, che tra l’altro è sicuramente pericoloso dal punto di vista chimico, dato che si tratta di un metallo pesante, produca tumori o altre patologie?

Ritiene accettabile che le Relazioni Mandelli si siano limitate all’esame di casi di tumori e non abbiano preso in considerazione anche patologie neurologiche (come il morbo di Gehring) e i casi di malformazione alla nascita?

Ritiene accettabile che non sia stato dato corso, in pratica, al programma pure previsto di monitoraggio (follow up) in parte dipendente anche dagli accordi stipulati tra Stato e Regioni e cosa ritiene si dovrebbe fare per rendere possibile, in realtà, questo ovviamente necessario follow up per seguire l’evoluzione dei casi? Tutto ciò anche tenendo presente le rilevanti somme che sono state spese senza esito?

Ritiene valido il confronto fatto con i registri tumori che riguardano la sfera civile, tenuto conto delle particolarità del personale militare (età di massima compresa tra i 20 e i 45 anni), idoneità fisica accertata attraverso visite mediche selettive all’inizio della vita militare e di controllo nei tempi successivi, ma anche in relazione al fatto che, mentre le Forze Armate sono prevalentemente composte di personale Meridionale, i registri tumori si trovano prevalentemente nel Nord?

Sempre a proposito dei registri tumori, i cui dati più recenti sembrano siano del 1996, che tali registri possano essere utilizzati per eventi distanti di vari anni, tenuto conto delle variazioni che i dati stessi subiscono?

Inoltre ritiene accettabile l’aver preso in considerazione un campione di popolazione legato all’Arma dei Carabinieri data la non omogeneità dei Carabinieri stessi con il resto del personale delle Forze Armate?

 

3) L’uranio che non si trova nelle analisi. Audizione del Sen. Bodini, pag. 25 e segg., del 27 marzo 2007

                Il Sen. Bodini mette in rilievo il fatto che “l’uranio non si trova almeno apparentemente”. A questo proposito il prof. Evandro Lodi Rizzini, Preside della Facoltà di Chimica e Fisica dell’Università di Brescia, in un suo intervento di qualche anno fa a Pisa, in un Convegno sulla problematica dell’uranio impoverito, ha fornito interessanti elementi teorici anche basandosi sulla sua attività di sperimentazione in campo nucleare presso il CERN di Ginevra.

                Il prof. Rizzini ha infatti espresso alcune valutazioni sul tema della cosiddetta “sparizione” dell’uranio quando un proiettile impatta un ostacolo solido.

                Se le particelle dell’uranio non si trovano perchè sfuggono alla capacità di individuazione di una determinata apparecchiatura, ciò potrebbe significare che sono di dimensioni talmente minuscole da sfuggire alla capacità di localizzazione dell’apparecchiatura stessa. Ma ciò le porterebbe ad essere ancora più dotate di capacità di penetrazione nell’organismo umano. Ma difficilmente sembra si possa parlare di sparizione in senso assoluto. Oltrechè da insufficienze insite nello strumento, potrebbero essere chiamate anche in causa modalità di impiego dello strumento.

                Comunque, sul tema della non esistenza riscontrata di particelle di uranio (tema che può venire utilizzato strumentalmente per affermare che l’uranio è innocuo), potrebbe forse essere ascoltato il parere di esperti in campo nucleare.

 

4) Errori Commissione Mandelli. Audizione del Prof. Grandolfo, pag. 11 della relazione dell’11 Aprile 2007.

                Il Prof. Grandolfo muove due critiche alle Relazioni Mandelli. In particolare a pag. 11 afferma: “L’altra critica, anche questa sensata, riguarda il fatto che non avendo i nostri soldati, per un certo periodo di tempo, ricevuto indicazioni precise circa particolari modalità di protezione dall’eventuale contaminazione da uranio, il confronto era stato fatto prendendo a base la popolazione militare nel suo complesso. Allora sono state individuate due distinte “coorti” di militari: una precedente l’adozione delle dotazioni di protezione, e una successiva. I numeri sono cambiati aritmeticamente, ma la sostanza no. In questo senso, neppure con metodiche diverse, e con tutte le limitazioni che volete, abbiamo sempre rilevato un eccesso di linfomi di Hodgkin”. In relazione a queste  affermazioni, formulo le seguenti osservazioni:

La critica di cui sopra, ritenuta ora sensata,  fu da me sollevata anche nel corso del Convegno che si tenne presso l’Istituto Superiore di Sanità. Quando io sostenni questa critica (come possono testimoniare molti dei presenti), fu affermato dai rappresentanti dell’Istituto di cui il Prof. Grandolfo fa parte, che questa critica era del tutto infondata e, anzi, vi fu un tentativo (assai sgradevole) di togliermi addirittura la parola. Cercherò, allora, di precisare la critica che mossi nei suoi termini esatti. Nelle tre Relazioni Mandelli, il numero dei potenziali militari contaminabili in Bosnia e Kossovo, è un numero variabile, ma sempre oltre i 40.000. Io affermai che da questa cifra andavano tolti i circa 12.000 militari che avevano operato, dopo il 2000, ed avevano l’ordine di adottare le norme di precauzione che erano state varate il 22 novembre 1999. Io sostenni quindi, che almeno 12.000 persone dovevano essere tolte dal conteggio, perchè essendo protette costituivano una categoria protetta diversa da quella dei militari non protetti. Affermai questo già a partire dalla Prima Relazione, nella quale già questo errore era contenuto. Occorreva togliere dal conto quasi un terzo del personale che era stato preso in considerazione. Credo sia evidente a tutti, per fare un esempio, che non è la stessa cosa parlare di un morto su 20 casi o su 30 casi.

Il punto è che andavano rifatti i “conti”, perchè cambiano i parametri di rischiosità del personale. Ciò è ancora, attualmente necessario, per consentire alla Commissione, recentemente costituitasi, di poter lavorare con dei dati più realistici.

Non entro qui nel merito del numero dei 40.000 potenziali esposti, un numero assolutamente aberrante rispetto alla realtà, perchè questo numero è stato fornito alla Commissione dall’esterno, credo dalla Direzione di Sanità. Mi è anche stato detto che, a proposito di questi numeri e dei dati forniti, vi furono delle contestazioni tra chi i dati aveva ricevuto e chi li aveva forniti. Ma questo è un altro discorso, anche se certamente è finalmente necessario stabilire, non solo il numero complessivo di potenziali contaminati, ma anche individuare differenziate zone di rischio alla esposizione. Non posso, infatti, considerare egualmente esposto un militare che si trova a pochi metri da un obiettivo colpito e un militare che si trova ad un chilometro, a dieci o a cento chilometri di distanza. Occorre, cioè, stabilire, in base alle posizioni in cui si trovavano i nostri militari (che sono note in base ai rapporti dell’attività quotidiana dei reparti) e la posizione degli obiettivi colpiti.

Credo che, mentre per il Kossovo la NATO abbia fornito delle indicazioni sia pure imprecise, non esistono ancora, ma posso sbagliarmi, quelle relative alla Bosnia.

Comunque, indicazioni più precise si possono ricavare dai rapporti di volo degli aerei che sono stati usati nei bombardamenti in Bosnia e Kossovo attraverso quanto risulta dai rapporti di volo.

Se si vuole approfondire la materia occorre, finalmente, entrare in possesso sia dei dati relativi alle posizioni dei bombardamenti, sia dei dati relativi alle posizioni dei nostri reparti, per avere una cognizione delle distanze tra obiettivi colpiti e uomini sul campo. Conta, però, anche la “distanza nel tempo”, perchè non c’è lo stesso rischio nel trovarsi presso un obiettivo colpito lo stesso giorno del bombardamento, un anno dopo o cinque anni dopo.

Inoltre, il numero di 40.000 persone presenti sui teatri operativi della Bosnia e del Kossovo è anche molto superiore al numero complessivo dei militari impiegati nei Balcani che, secondo l’ultimo libro bianco della Difesa, è di 27.000.

Merita ancora un accenno il fatto che nostri reparti hanno operato in Albania e Macedonia, al confine con la zona più bombardata del Kossovo, la zona meridionale, e che la Commissione Mandelli , la quale aveva ricevuto come mandato di indagare sulle presenze nei Balcani, ha omesso di considerare le presenze in Albania e Macedonia, dove, invece, abbiamo avuto vari casi di contaminati e anche di morti. Tra i casi più noti quello del Caporal Maggiore Melis e del Capitano Grimaldi. La relazione Mandelli andrebbe quindi integrata delle presenze in Albania e Macedonia, per quanto concerne i Balcani. Ma, naturalmente, i casi di contaminazione non si sono avuti solo nei Balcani, ma anche nella I^ Guerra del Golfo (Kuwait) e nella Somalia e anche in Italia, nei poligoni e in depositi di materiale. Ma su questo tornerò in seguito.

In un secondo punto dell’Audizione si afferma: “ABBIAMO SEMPRE RILEVATO UN ECCESSO DEI LINFOMI DI HODGKIN”. Occorre in proposito distinguere tra eccesso che non influisce sui risultati ed eccesso che influisce sui risultati. Al termine della Prima Relazione, ed in particolare in sede della conferenza stampa, conferenza a cui ero personalmente presente, si affermò, di fronte a tutti i mass media, che nessun parametro critico di rischio era stato superato, anche se qualcuno avvicinato. Comunque, come noi tutti ricordiamo, il messaggio che passò attraverso tutti i mass media al termine della Prima Relazione, fu che in pratica non esistevano pericoli. Si trattò di un messaggio che credo abbia influenzato le Commissioni mediche nel tendere a non concedere cause di servizio, e certamente ha affievolito l’attenzione per una rigorosa applicazione delle norme di protezione ed ha avuto anche delle conseguenze negative legate al fatto che molti reduci da operazioni cui avevano avuto la possibilità di incorrere nella contaminazione da uranio impoverito, non hanno posto sufficiente attenzione sul fatto che la loro malattia poteva dipendere da questa contaminazione. E quindi non si sono avute delle segnalazioni tempestive, la cui importanza è ovvia.

L’eccesso dei linfomi di Hodgkin, avente un risultato incidente sulla pericolosità, avvenne solo dopo che fu corretto, nella Prima Relazione della Commissione Mandelli, un altro gravissimo errore da cui questa era affetta e cioè il fatto che si era basata, nelle calcolazioni, sulla “distribuzione di Gauss” al posto di quella di “Poisson”. Solo nella Seconda Relazione, essendo stato riconosciuto questo errore e presa quindi in considerazione la “distribuzione di Poisson”, emerse immediatamente quell’eccesso dei linfomi di Hodgkin che non era emerso nella Prima Relazione e che si manifestò ancor più chiaramente nella Terza Relazione. E’ importante che la Commissione conosca esattamente ciò che si è verificato nel passato.

Desidero ricordare anche la necessità di precisione circa l’entità dei casi di decesso e di malattia presi in considerazione. Per quanto riguarda i casi di decesso, mi pare che il Ministero della Difesa si sia fermato a 28, mentre credo siano molti di più, e ciò anche in considerazione dei seguenti fatti:

1)   la Commissione Mandelli si è limitata, come sopra accennato, a considerare la situazione in Bosnia e Kossovo, tralasciando l’Albania e la Macedonia , aree nelle quali, per limitarsi ai casi di decesso, abbiamo avuto quelli sopracitati del Capitano Grimaldi e del Caporal Maggiore Melis. Non è stata presa in considerazione la situazione della Somalia dove, sempre limitandosi ai casi di decesso, vi sono stati quelli di Pizzamiglio, D’Alicandro, Marini. E’ stata altresì non presa in considerazione la Guerra del Golfo del 1991, dove, sempre limitandosi ai casi di morti, vi sono stati i casi di Ceccarini e Boscarini. Inoltre, la Commissione non ha preso in considerazione (ma questo non era previsto nel suo mandato, erroneamente formulato) il caso delle morti in Italia nei poligoni e nei depositi. Potremmo citare, sempre limitandoci ai casi di morte, quelli di Serra, Faedda, Pintus, Bonincontro, Vargiu e Inghilleri.

2)   La Commissione Mandelli si è occupata solo dei casi di tumore. Ma questi non sono solo i casi che dovevano essere presi in considerazione, perchè vi sono stati casi altrettanto gravi, come quello della nascita di bambini malformi, o quello di patologie neurologiche (Morbo di Gerhing e simili).

3)   La Commissione Mandelli non ha preso in considerazione il pericolo chimico che è, ripetiamo, UNA CERTEZZA e i danni che ha procurato (soprattutto gravi danni ai reni).

4)   La Commissione Mandelli necessita di verifiche sperimentali. Non basta solo l’aspetto di valutazione statistica, ma occorrono anche conferme sperimentali di vario tipo. In proposito, potremmo accennare al fatto che era, ed è, certamente possibile approfittare dei tests che debbono essere eseguiti circa la resistenza delle blindature e corazzature di mezzi militari, a fronte della pericolosità dei proiettili all’uranio impoverito, per predisporre tutta una serie di sperimentazioni collaterali per la raccolta di altri dati. Fu il Prof. Evandro Lodi Rizzini, della Università di Brescia, Presidente della Facoltà di Chimica e Fisica e sperimentatore presso il CERN di Ginevra, mettere in evidenza (intervista al Corriere della Sera) la esigenza di una adeguata sperimentazione collaterale agli studi teorici.

5)   Dal punto di vista metodologico, pur essendosi parlato, a proposito delle Relazioni Mandelli, di studi “epidemiologici”, è da precisare che si tratta invece di studi, che potremmo definire “statistici”, non essendovi tra l’altro le condizioni a monte perchè si potesse addivenire ad uno studio “epidemiologico”. E’ mancata una attenta considerazione sul fatto che la componente più rilevante delle Forze Armate è composta da personale del Mezzogiorno, mentre i registri tumori, a cui si è fatto riferimento (tra l’altro pochissimi e non completi), appartengono prevalentemente a zone del Nord Italia. E inoltre, se non vado errato, i dati più aggiornati sono quelli del 1996, mentre il lavoro della Commissione Mandelli è del 2000.

6)   E ancora, sempre in rapporto alla questione dei registri dei tumori, i registri di cui disponiamo si riferiscono ai civili e riguardano una gamma di età diciamo tra 0 e 100 anni, mentre i militari impiegati in operazioni, hanno un’età media compresa, diciamo, tra 20 e 45 anni. Ma non è tutto. I militari, per esigenze inerenti il servizio, devono essere sottoposti a visite mediche psicofisiche di idoneità, prima di essere ammessi nel Corpo ed in seguito, sono sottoposti annualmente a visite di controllo. In sostanza, quello che potremmo definire il “valor medio della salute” dei militari, è diverso da quello dei civili, e quindi un confronto diretto non può essere fatto.

Mi limito a queste poche considerazioni, anche se vi sarebbero altri argomenti da considerare. Ma a me pare che alla Commissione debba essere fornito riguardo allo, per così dire, “stato dell’arte” in cui ci troviamo, un quadro più ampio e più completo di ciò che è stato fatto nel campo degli studi. Anche perchè, stabilire dei limiti di validità è assolutamente necessario per definire un punto di partenza per eventuali approfondimenti da compiersi in futuro.

 

 

5) Lo Studio SIGNUM. Audizione del Dott. Caroli, pag. 16 dell’11 aprile 2007

                Viene fatto un accenno allo studio SIGNUM (studio dell’impatto genotossico nelle unità militari). Quanto scritto desta delle perplessità perchè i 1000 “militari cavia” vengono dotati di tutte le misure di protezione, e se le misure di protezione riducono praticamente a 0 il rischio, c’è da chiedersi quali risultati si potranno ottenere nelle analisi di queste FINTE CAVIE.

                Si tratta, in fondo, dello stesso problema emerso per lo studio del Prof. Nobile  che è stato appunto eseguito su militari  della Folgore dopo il novembre 1999, che adottavano norme di protezione. Era quindi prevedibile che non potessero essere colpiti da radiazioni. Ne è stata tratta la conclusione che l’uranio è innocuo.

                Ma se si eseguono delle analisi su personale PROTETTO da adeguate misure di sicurezza, cioè se si effettuano sperimentazioni su “CAVIE PROTETTE” (ma cosa significa una “cavia protetta”?) il risultato è probabilmente scontato perchè, ovviamente, la cavia protetta non corre alcun rischio.

                Tra l’altro le protezioni che verrebbero fornite ai “soldati cavia” sono improntate addirittura a fornire maggiore tutela di quelle normalmente fornite e rispondenti alle norme USA del 14 ottobre 1993 (che prevedono l’uso di guanti, maschere, occhiali e tute), in quanto a questi “militari cavia” viene fornito anche un “facciale NBC completo di borsa a doppio filtro con indumento protettivo permeabile da adottare sulla tuta di combattimento per proteggere la pelle da aggressioni chimiche e da contatto per almeno 24 ore da particelle radioattive”.

                Quando il Capo della Sanità Militare, il Gen. Donvito, annunciò questo studio SIGNUM nell’Audizione del 29 giugno 2004 presso la Commissione Difesa della Camera, il sottoscritto ebbe a segnalare che gli sembrava uno studio fuorviante, almeno per quanto riguarda le conclusioni che se ne sarebbero potute trarre  sui rischi.

                A mio avviso il punto centrale della questione resta il seguente: se non si può dimostrare che il personale non corre alcun rischio, occorre adottare le misure di protezione.

                E non credo che lo studio SIGNUM che impiega “personale protetto”, possa dimostrare che non c’è rischio per il personale non protetto!

                D’altra parte, se l’Italia, sia pure con 6 anni di ritardo, ha dovuto adottare le misure di sicurezza, vuol dire che si reputa che ci sia un rischio, altrimenti chi ha imposto le misure di protezione potrebbe essere accusato di aver diffuso notizie false e tendenziose tendenti ad allarmare il personale coinvolto e le loro famiglie.

                La questione non è priva di interesse, anche dal punto di vista dell’onere finanziario: nell’art. 13 ter della Legge sul finanziamento delle missioni all’estero, non sono specificate con chiarezza le modalità dello studio e resta aperto il problema se i nostri militari, e ovviamente anche i civili, non corrano alcun rischio. Ma naturalmente il problema riguarda anche le popolazioni civili locali che si trovano nelle aree colpite dalle armi all’uranio e così la fauna e l’ambiente. Nessuna misura di protezione può essere adottata per le popolazioni locali, la fauna e l’ambiente.

 

6) Sulla possibile esclusione di rischi. Intervento del Sen. Divina nell’Audizione dell’11 aprile 2007

                Il Sen. Divina si pone la questione delle soluzioni che la Commissione dovrebbe fornire nei riguardi dei problemi che si creano circa la possibilità di rischio in relazione all’impiego di armi non convenzionali e formula una domanda che dovrebbe essere posta agli esperti: “Lei può escludere qualsiasi tipo di rischio?”

                Si tratta, certamente, di una domanda estremamente pertinente se, tra i compiti della Commissione, è quello di individuare soluzioni circa il problema di casi di morti e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano ma anche le popolazioni civili locali, e di individuare le cause che hanno provocato questi rischi ed infine di individuare accorgimenti adeguati.

                Quanto alla popolazione civile nelle zone dove si sono fatti sentire gli effetti dei bombardamenti con le armi non convenzionali, probabilmente l’unico provvedimento che si può prendere è quello di impegnarsi per l’abolizione delle armi all’uranio impoverito, cioè nella messa al bando di queste armi.

                Nei riguardi del personale italiano, militare e civile,  che si trova esposto, la soluzione dovrebbe essere quella di adottare, là dove si sospetta possano essere state utilizzate armi all’uranio impoverito, quelle misure di protezione che, del resto, ci sono state comunicate dalla NATO già dal 1984, consistenti nell’usare guanti, maschere, occhiali e tute. Gli USA che hanno adottato queste norme con estrema rigorosità fin dall’ottobre 1993 in Somalia non hanno più avuto, in pratica, casi di gravi infermità o morte.

                Occorre, inoltre, prevedere l’attuazione di tutti i noti test precauzionali come VES, Emocromo, Elioforesi delle proteine, test sugli ormoni della tiroide, ecc. Nonchè assicurare, negli anni successivi,  un adeguato controllo (follow up). Per inciso, si può osservare che finora un tale controllo è praticamente fallito

                Altri provvedimenti auspicabili sono i seguenti:

1)       Prestare maggior attenzione di quanto non è stato fatto in passato sulle capacità di rilevazione degli strumenti di misura. Non dobbiamo dimenticare la grave responsabilità che c’è stata nel non esserci accorti, in Bosnia, degli oltre 10.000 proiettili all’uranio impoverito lanciati dagli aerei partiti dalla base di Aviano e ciò per via della inidoneità dello strumento di misura, l’intensimetro RA141B. Della inidoneità dell’intensimetro, le unità NBC si sono purtroppo accorte, solo dopo che erano stati sparai i 10.000 colpi, ma occorreva invece testare gli strumenti prima dell’impiego nel territorio. Si tratta ovviamente di capire come tutto questo sia stato possibile.

2)       Pretendere un migliore funzionamento dell’Intelligence. In Somalia l’Intelligence non ha fornito indicazioni sui rischi che correvano i nostri soldati, pur essendo questi rischi più che evidenti anche in quanto i reparti USA indossavano tute pesantissime e altre misure come maschere e guanti. Le misure di protezione impartite ai nostri soldati riguardavano i pericoli, come quelli derivanti da punture di insetti, colpi di sole e diarree. Nessuna menzione per quanto riguardava l’uranio impoverito.

3)       Controllare la sicurezza nei poligoni di tiro. Per quanto riguarda la sicurezza nei poligoni di tiro, occorre finalmente emanare dei bandi internazionali che facciano di divieto a chicchessia, ad esempio Forze Armate o ditte straniere che utilizzano i poligoni, di impiegare armi all’uranio impoverito. In proposito si potrebbe citare quanto accaduto nel poligono di Vieques presso Portorico, dove in relazione all’impiego di armi all’uranio impoverito da parte della Marina degli Stati Uniti, vi è stata una vera e propria sollevazione della popolazione locale, che ha costretto, di fatto, gli Stati Uniti a non utilizzare più quel poligono. Occorre poi predisporre nei contratti con le ditte civili che richiedono l’utilizzo del poligono, delle clausole che tassativamente escludono l’impiego di armi all’uranio impoverito, cosa che, ad oggi, non è mai stata fatta. Inoltre è necessario che nei contratti figuri l’impegno delle ditte a rilasciare alle Autorità Italiane, tutte le indicazioni relative alle armi impiegate. E’ risultato fino ad oggi che nulla sappiamo circa le sperimentazioni fatte dalle ditte straniere ai nostri poligoni.  Ad oggi, nonostante le affermazioni di Autorità italiane che dichiarano che non è stato usato uranio nei poligoni,  nulla possiamo dire in merito, perchè nulla sappiamo circa le sperimentazioni eseguite dalle ditte. E quindi in nessun modo possiamo escludere ad esempio l’impiego all’uranio impoverito. E’ inoltre importantissimo stabilire con chiarezza che l’opera di sgombero (pulizia, spazzatura, liquidazione) del poligono debba essere fatta da personale specializzato. Certamente non deve essere fatta, come purtroppo finora accaduto, da militari italiani che per di più avevano operato a mani nude, senza alcuna misura di protezione. Un vero e proprio scempio e antiesempio, una grave carenza professionale, ancor prima che etica, di cui dovrebbero occuparsi i Tribunali Militari e Civili.

 

7) La situazione nella Ex Jugoslavia. Audizione del dott. Comba, pag. 20, dell’11 aprile

                Il dott. Pietro Comba, dirigente di ricerca dell’ambiente, illustra alcuni aspetti della situazione nei territori della ex Jugoslavia, con particolare riferimento alla città di Kraguievac e alla fabbrica Zastava.

                I dati che si sono finora ricevuti dai paesi della ex Jugoslavia, andrebbero analizzati con cura. Non ci si può solo soffermare sul caso della Zastava. Ad esempio, dai controlli effettuati dai Serbi (13 gennaio 2001) nella valle di Presevo, vicino al confine con il Kossovo, sarebbero stati riscontrati valori di radioattività 1300 volte superiori a quello normale. Ma credo che le rappresentanze diplomatiche in Italia dei paesi della ex Jugoslavia potranno certamente, se interpellati, fornire dati più completi e attendibili.

                Potrebbero essere importanti anche testimonianze di organizzazioni italiane che si occupano dei problemi della ex Jugoslavia, come ad esempio a Torino il gruppo di Enrico Vigna e a Roma quello di Marilina Veca.

 

8) Il confronto dei dati con gruppi di controllo. Audizione del dott. Chinelli, pag. 27 dell’11 aprile 2007

                Il dott. Chinelli, ma non solo lui, ha menzionato il problema dei gruppi di controllo. Occorre comparare, in sostanza, un soggetto affetto da tumore per possibile contaminazione da uranio impoverito con un soggetto (di caratteristiche analoghe) non esposto alla contaminazione.  Naturalmente, occorre stabilire che cosa si intenda per soggetto a rischio. Il problema è stato affrontato anche successivamente e se ne parla qui di seguito, in relazione all’Audizione della dott.ssa Lagorio del 17 aprile 2007, a cui si rimanda.

                Intanto, è ovvio che per soggetto a rischio non si può intendere il soggetto che adotta misure di protezione e ciò porta, ad esempio, ad escludere come soggetti a rischio, la grandissima maggioranza dei 65.000 militari che sono stati considerati, invece, a rischio in Kossovo in quanto dopo il 22 novembre 1999 avrebbero dovuto, secondo le norme, adottare le misure di protezione.

                Inoltre, non è ovviamente da considerarsi nella stessa misura soggetto a rischio chi opera in immediata prossimità di un obiettivo colpito e chi si trova, magari, a 100 Km di distanza. Come non corre lo stesso rischio chi ha a che fare con l’esplosione di un proiettile che contiene  300 gr. di uranio impoverito o con l’esplosione di un missile da crociera che contiene 300 Kg . di uranio impoverito. Ma su questo vedi quanto più ampiamente descritto, in relazione all’audizione sopracitata della dott.ssa Lagorio.

                Comunque, il Col. Fernando Guarnieri nelle norme di sicurezza per la Folgore dell’8 maggio 2000, ha tentato di formulare una definizione di soggetto a rischio che può essere utilmente presa in considerazione. Si legge in proposito: “La pericolosità dell’uranio si esplica sia per via chimica, che rappresenta la forma più alta di rischio nel breve termine, sia per via radiologica che può causare seri problemi nel lungo periodo. La maggiore pericolosità per il tipo di radiazione emessa si sviluppa nei casi di irraggiamento interno (contaminazione interna)”... “In relazione alla partecipazione del contingente italiano alle attività di supporto alla pace in Kossovo può essere definito soggetto a rischio di contaminazione interna da uranio colui che abbia soggiornato od operato in prossimità di un obiettivo colpito da munizionamento ad uranio impoverito o in aree dove siano stati individuati proiettili o un frammento di essi”.

                Il dott. Chinelli accenna alla questione della popolazione di controllo dei militari a rischio,  una popolazione di altri militari che, ovviamente, non era esposta a rischio.

                In una situazione come quella dei poligoni, potremmo pensare di confrontare i militari che operano nel poligono, ad esempio nella raccolta a mani nude di proiettili e residuati bellici, con la popolazione che non è esposta a questo rischio. E potremmo tentare anche di fare un confronto con la popolazione civile nella stessa area.

                Certo, esiste un problema per i militari che si ammalano dopo che hanno lasciato il servizio e dei quali, quindi, si hanno minori conoscenze dai Distretti militari e dai Dipartimenti marittimi. Tuttavia indicazioni possono ricavarsi, ad esempio, in un certo numero di casi, dalle “associazioni d’arma” a cui molti militari si iscrivono dopo aver lasciato il servizio.

 

9) La database non può iniziare dal 1 agosto 1994 ma deve iniziare prima. Audizione della dott.ssa Lagorio del 12 aprile, pag. 12

                La dott.ssa Lagorio afferma che “nel database che abbiamo a disposizione, perlomeno per quello che prevede il sistema di sorveglianza italiano dello stato di salute, il nostro limite superiore remoto nel tempo è quello del 1° agosto 1999 “che ho sempre interpretato come la data della prima missione italiana da noi ritenuta di interesse per il programma di sorveglianza”. Su questa affermazione vorrei fare delle osservazioni:

Prima osservazione: la base dei dati deve riguardare non solo le “missioni” svolte all’estero, ma anche le “destinazioni” attuate in Italia, ad esempio nei poligoni, dove da decenni ditte straniere (oltre alle Forze Armate straniere) impiegano armi che non possiamo escludere siano all’uranio impoverito o comunque di tipi sconosciuti. Ciò è comprovato dal fatto che quando la Commissione di Inchiesta, presieduta dal Sen. Franco, si è recata in visita ai poligoni della Sardegna,  ha potuto constatare che da quando esistono i poligoni, le ditte civili non hanno mai redatto dei rapporti sulle sperimentazioni eseguite messe a conoscenza dalle Autorità italiane. E’ ovvio che tutti questi dati dei poligoni, che corrono da molti anni or sono, dovrebbero far parte della “database”.

                Seconda osservazione: le missioni all’estero, nelle quali può esserci stata esposizione all’uranio impoverito, cui hanno partecipato contingenti italiani, non iniziano dalla Bosnia (1994), ma dalla Guerra del Golfo del 1991, e dalla Somalia nel 1993. Abbiamo registrato casi di malattia e di morte sia nella Guerra del Golfo che in Somalia. Ovviamente, anche questi dati dovrebbero essere inclusi nella “database”.

                Terza osservazione: la base dei dati deve riguardare, non solo le operazioni rivolte all’estero e che concernono delle “missioni”, ma anche le “destinazioni” in Italia. Ad esempio nei poligoni, dove da decenni ditte straniere, oltrechè italiane, effettuano sperimentazioni di armi che non possiamo escludere abbiamo compreso armi all’uranio impoverito. Queste sperimentazioni, per quanto se ne sa, datano dalla metà degli anni ’70 (dopo le operazioni USA in Vietnam). Su ciò che è accaduto nei nostri poligoni, nelle sperimentazioni effettuate da ditte, purtroppo non si sa praticamente nulla. Infatti, la Commissione di Inchiesta del Senato, presieduta dal Sen. Franco, che si è recata nei poligoni della Sardegna, dove tra l’altro si sono verificati vari casi di malformazioni alla nascita nel personale civile, ha appreso che le ditte che hanno eseguito sperimentazioni non hanno mai rilasciato rapporti sulle tali sperimentazioni e quindi non sappiamo assolutamente quali armi possano essere state sperimentate.

                Per quanto riguarda i poligoni situati in altri paesi all’estero, sappiamo che sono state impiegate armi all’uranio impoverito, ad esempio da parte della Marina USA, nel poligono di Vieques a Portorico e in alcuni poligoni della Gran Bretagna.

                Nell’Audizione della dott.ssa Lagorio, come pure della dott.ssa Salmaso, è emersa una questione generale che comunque è di rilevante interesse e riguarda il problema della relazione tra “ricerca libera” e “ricerca commissionata”, cioè stimolata da input esterni. Si tratta di un problema generalissimo e ovviamente anche molto complesso che certo non può essere oggetto complessivo di analisi, anche se tocca la questione di una “ricerca commissionata” che ha per oggetto la eventuale pericolosità dell’uranio impoverito.

                Ciò che comunque sembra importante ricordare è che, se la ricerca è un problema di scelta, non c’è ricerca del tutto neutrale, perchè la scelta è sempre un problema a monte (spesso, potremmo dire, politico). Si tratta, allora, di stabilire in cosa il processo di decisione scientifica si distacca dagli altri processi di decisione: la neutralità avrebbe introdotto in questi ultimi un processo aperto a tutte le scelte: ma decidere, credo non dobbiamo dimenticarlo, significa inevitabilmente “tagliare” e forse “uccidere”. Dico uccidere non a caso, ma non vorrei che questa mia espressione fosse considerata come “biased” per un’associazione che, purtroppo, si occupa di tanti casi di uccisione.

                Per quanto riguarda il metodo, in particolare il metodo scientifico, credo ci si debba sempre preoccupare, in relazione alla discussione sulla sua presunta neutralità, che non diventi surrettiziamente una “via di dominio” per far passare sotto un finto usbergo di scientificità opinioni non neutrali ma di parte.

 

10) Protezione del personale. Audizione della dott.ssa. Lagorio, pag. 13 del  17 aprile 2007

                La dott.ssa Lagorio, in relazione alla protezione del personale, cita il caso dei militari addetti in sminamenti e bonifiche di siti in cui si trovano proiettili inesplosi.

                L’esempio non è significativo, perchè i militari specificamente impiegati in questi compiti adottano adeguate misure di protezione. Ciò che interessa, invece, specificamente è il fatto che militari “generici”, cioè non specificamente addetti a misure di bonifica, hanno raccolto a mani nude, cioè senza alcuna protezione, grandi quantitativi di residuati bellici. La miglior prova di tutto ciò è il documentario di Rai News sulla Bosnia che evidenzia, ictu oculi, cosa è accaduto in fatto di raccoglimento e successiva distruzione di proiettili e residuati bellici.

                Dunque, ancora una volta si confonde, così come è accaduto nelle relazioni Mandelli, il personale che ha operato adottando misure di protezione (e quindi, almeno teoricamente, non a rischio) con il personale che ha operato senza misure di protezione (e quindi a rischio). E se si assume che l’uranio è innocuo perchè il personale che adotta le misure di protezione non si è ammalato, si commette ovviamente un grossolano errore.

                Del resto, il prof. Grandolfo, nella recente sua audizione presso la Commissione Uranio Impoverito, ha dovuto ammettere che nella relazione Mandelli è stato incluso erroneamente nel conteggio personale che aveva adottato le misure di protezione (si tratta di oltre 12.000 militari).

                In Kossovo dal 22 novembre 1999, erano in vigore le norme di protezione della Kfor. Nel caso i comandanti abbiano rispettato quanto queste norme stabiliscono in materia di protezione, la gran maggioranza dei 65.000 “missionari” che si afferma siano stati inviati in Kossovo, ERANO PROTETTI E QUINDI NON A RISCHIO, e quindi non debbono essere conteggiati tra il personale esposto.

                Per quanto poi riguarda la dizione di “personale esposto”, va tenuto presente che occorre stabilire delle aree di diverso livello di esposizione perchè, dato che è stato dimostrato in un recente studio inglese che le particelle di uranio portate dal vento possono essere trasportate anche a 2500 miglia di distanza, anche tutti i milioni di cittadini europei potrebbero essere considerati a rischio.

                Occorre, dunque, fornire una definizione “accettata” di soggetto a rischio o soggetto esposto con delle ovvie gradazioni di rischio: elevatissimo, elevato, medio, basso. Ad esempio, è certamente ad elevatissimo rischio chi, senza protezione, maneggia materiale residuato bellico o chi opera all’interno di un bunker o di un casamento colpito da armi all’uranio od opera nelle immediate vicinanze degli obiettivi colpiti e soprattutto a breve lasso di tempo dalle esplosioni.

                Rischi minori sono per chi opera più lontano da obiettivi colpiti ed anche a maggior distanza di tempo dalle esplosioni. Non è la stessa cosa trovarsi ad 1 metro , a 1 km o a 10 km dall’obiettivo colpito.

                Naturalmente, per stabilire chi è soggetto a rischio, occorre conoscere le posizioni relative tra obiettivi colpiti e personale impiegato. Tali dati sono peraltro, ovviamente, a conoscenza dei reparti che hanno impiegato gli uomini secondo specifici ordini di operazioni.

                Va naturalmente anche tenuto presente che non è la stessa cosa trovarsi in presenza di un obiettivo colpito da proiettili con 300 grammi di uranio impoverito e trovarsi nelle stesse condizioni quando l’obiettivo è colpito, ad esempio, da un missile di crociera che porta con sè barre di uranio da 300 Kg .

 

11) I 65.000 militari nei Balcani. Audizione della Prof.ssa Stefania Salmaso, pag. 13 del 17 aprile 2007

                La Prof.ssa Salmaso , direttrice del Centro Nazionale di Epidemiologia afferma di aver ricevuto informazioni dalla Direzione della Sanità Militare del Ministero della Difesa del fatto che 65.000 militari che hanno effettuato una missione in Kossovo, anche ripetuta, nelle zone di interesse e precisa che (pag. 15): Su questi 65.000 soggetti vi sono stati 159 casi di tumore segnalati fino al 2005 e 189 fino alla fine del 2006, ma la conferma della diagnosi non è a disposizione, nemmeno per i 2/3 di questo personale”.

                Ci si chiede se la Prof.ssa Salmaso ha assunto per buoni questi dati senza alcuna riserva, dati che tra l’altro sono anche di gran lunga superiori a quelli a cui fa cenno la Commissione Mandelli (che variano da 40.000 a 45.000) e che includono erroneamente almeno 12.500 militari che godevano di misure di protezione e quindi non erano da considerarsi nell’ambito di militari che potevano essere contaminati.

                Tra l’altro, non va dimenticato che in Kossovo si è operato soprattutto dopo il novembre 1999, e che da quella data i militari dovevano adottare misure di protezione. Quindi, in pratica, quasi tutti i 65.000 “missionari” dovrebbero essere esclusi dal conteggio in quanto, dato che dovevano adottare misure di protezione, non potevano essere considerati come esposti al rischio.

                Non va dimenticato che prima di iniziare una ricerca statistica (se non epidemiologica - in quanto, a nessun titolo, nemmeno la Commissione Mandelli , può considerarsi uno studio epidemiologico), si pone come primo passo da compiere quello di un’analisi critica dei dati di partenza. “Robaccia in entrata significa robaccia in uscita”.

                Anche la cifra dei 159 e 189 casi dovrebbe essere verificata. Tra l’altro, la relazione Mandelli non prende in considerazione i casi di malformazione alla nascita e patologie neurologiche come il morbo di Ghering. Alcune osservazioni:

1^ Osservazione: il dato è sicuramente eccessivo, come quello già sopra accennato delle 40-45.000 missioni prese in considerazione dalle relazioni Mandelli, anche tenendo conto di quanto affermato nel libro bianco della Difesa, a firma del Ministro Martino, dove si parla di circa 27.000 militari impiegati in tutto il territorio balcanico (comprendente anche Bosnia, Albania, Macedonia). Già in passato l’ANAVAFAF ha chiesto inutilmente spiegazioni in merito. E’ risultato, tra l’altro, che una stessa persona che aveva eseguito più missioni, veniva conteggiata non in quanto sè stessa, ma in quanto soggetto plurimo di varie missioni.

2^ Osservazione: il fenomeno che stiamo indagando non riguarda solo il personale IN MISSIONE ALL’ESTERO, ma riguarda anche il personale che svolge servizio in normali DESTINAZIONI IN ITALIA. Ad esempio quello che presta servizio nei poligoni di tiro e che non è, quindi, in missione. E così pure il personale che viene a contatto con l’uranio impoverito in depositi di automezzi, di vestiario, di armamenti. Tutte questioni completamente dimenticate anche nelle relazioni Mandelli.

3^ Osservazione: si parla del Kossovo (e a parte gli altri paesi dell’area balcanica, si dimentica che la problematica riguarda anche i casi che si sono verificati in Kuwaitt durante la I Guerra del Golfo e in Somalia .

4^ Osservazione: ammesso e non concesso che l’analisi dovesse limitarsi al Kossovo, omettendo tutto il resto, elementari principi metodologici avrebbero dovuto richiedere che l’area venisse divisa in zone di diverso grado di pericolosità in relazione, da una parte alla collocazione del personale, e dall’altra in relazione alla densità dei bombardamenti nelle varie zone. E’ ovviamente privo di senso considerare tutto il territorio come ugualmente sottoposto al rischio. Un italiano che si trovava a Pristina non era esposto come quello che si trovava, ad esempio, a Prizram, nella zona più esposta. Perciò andavano fatte preliminarmente delle divisioni per area geografica in relazione al prevedibile caso di rischio, ma poi andavano ulteriormente determinate delle zone da definire ad altissima, alta, media, bassa, bassissima probabilità di contaminazione, tenendo anche conto delle durate di esposizione a cui era stato sottoposto il personale. Non è evidentemente la stessa cosa trovarsi a 50 metri da una casamatta distrutta, oppure sostarvi dentro e invece trovarsi, ad esempio, a 5 Km dall’obiettivo nel quartier generale.

5^ Osservazione: sono stati messi in un unico calderone militari che prima del novembre 1999 nemmeno conoscevano l’esigenza di misure di sicurezza e quelli che, dopo il 2000 invece, avevano dovuto adottare le misure di sicurezza. E’ stata fatta così una specie di media tra ciliegie e cipolle.

Il gravissimo errore a cui sopra si è del resto già fatto cenno, di aver incluso tra i 40.000-45.000 uomini considerati a rischio in quanto operarono senza misure di protezione, anche almeno 12.000 persone non a rischio, errore finora non ammesso, è stato recentemente riconosciuto dal Prof. Grandolfo nella sua Audizione presso la Commissione.

In sostanza la cifra dei 65.000 è da mettersi massimamente in dubbio. Forse è più prossima alla realtà, per quanto concerne i militari esposti a rischio, una cifra dell’ordine di 6.500 uomini, almeno se si considera un consistente tasso di rischio.

Da rilevare, anche, che qui si parla solo di militari, ma il rischio doveva essere considerato anche per tutti i civili che hanno operato in zone di possibile contaminazione, molti dei quali neppure dopo il novembre 1999 erano a conoscenza di misure di protezione.

Le osservazioni precedenti riguardano solo la base dei dati assunti in partenza e non entrano in merito alle metodologie di trattamento di questi dati. Tema su cui la Prof.ssa Salmaso non si sofferma. In merito alla metodologia di utilizzo dei dati, mi limito a ricordare che nella I^ Relazione Mandelli si applicò la distribuzione di Gauss al posto di quella di Poisson. Un errore evidentemente gravissimo che contribuì a far sì che a conclusione della I^ Relazione e nelle comunicazioni che seguirono si affermasse che nessun parametro a rischio era stato superato. Un risultato, tra l’altro, in stridente contrasto con le disposizioni di sicurezza che a quel tempo erano state già emanate dalla Kfor, la Forza Multilaterale nei Balcani, a firma del Col. Osvaldo Bizzarri, che invece metteva in evidenza i rischi di tumore e di malformazioni alla nascita.

 

12) Nascita di bambini malformati. Audizione della dott.ssa Salmaso, pag. 19 del 17 aprile 2007

Sempre nella audizione della dott.ssa Salmaso a pag. 19, la dott.ssa ha affermato, a proposito della nascita di figli nati malformati: “Non sappiamo chi sono, come facciamo a sapere chi sono i figli? Questo è il problema”. Purtroppo il problema è stato completamente dimenticato dalla Commissione Mandelli e non era neppure indicato nel mandato che alla Commissione stessa è stato impartito. Ma ovviamente, i militari (due casi sono presi in considerazione nel dossier denominato “Libro nero” dell’ANAVAFAF) che sono incorsi in questa grave disgrazia, sono noti al Ministero della Difesa e quindi sarà sufficiente chiedere al Ministero della Difesa l’elenco di tali militari. Peraltro sono coinvolti non solo i militari ma anche i civili. Naturalmente è in gioco, anche a questo riguardo, una questione di privacy, problema che è stato discusso dalla Commissione e rispetto al quale occorre trovare una soluzione.

In merito, possono fornire anche informazioni le Autorità civili locali. Ad esempio, nel paese di Escalaplano, nella zona del poligono di Salto di Quirra, si sono verificati vari casi di bambini nati malformi (la questione fu oggetto anche di un reportage televisivo di Biagi nella rubrica ‘Cinque minuti’). Ad Escalaplano esiste anche un Comitato di genitori, a cui sono nati bambini malformi, che si è preso a cuore la situazione.

 

13) La mancata emanazione e adozione di misure di protezione. Intervento del Sen. Casson, pag. 18 dell’Audizione del 17 aprile 2007

                Il Sen. Casson ricorda che tra i compiti della Commissione vi è quello di individuare le cause di morte e di malattia che hanno colpito il personale italiano impiegato nelle missioni militari all’estero e di indagare su alcuni aspetti connessi all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito.

                Una delle questioni da appurare è il perchè, pur vigendo:

a) la legge 626/94 che deve essere applicata anche in campo militare ed implica che tra gli incarichi dei comandanti vi è quello di assicurare la massima protezione possibile al personale dipendente (vedi appunto l’art. 117 del Codice Penale Militare di Pace);

b) la legge 230/95 sulla radioprotezione;

c) le disposizioni di SACEUR del 2 agosto 1966 sulle misure di protezione in rapporto a “base radiazioni”;

d) le disposizioni della NATO del 1° luglio 1999

non siano state emanate tempestivamente (nè adottate) misure di protezione almeno da parte di Comandi italiani fino al maggio 2000 (norme di protezione della Folgore) e per quanto riguarda l’ambito multilaterale il 22 novembre 1999 (data di emanazione delle norme di protezione della Kfor).

                Com’è noto gli Stati Uniti hanno adottato, subito dopo i gravi danni subiti dal personale che aveva partecipato alla Guerra del Golfo del 1991 (tumori, malattie neurologiche, nascita di bambini malformati), rigorosissime misure di sicurezza concernenti l’uso dui occhiali, maschere, guanti, tute idonee, fin dal 14 ottobre 1993. Tali norme hanno fatto sì che da allora non si siano più registrati danni di rilievo al personale USA.

                I nostri militari in Somalia, che in varie operazioni hanno operato fianco a fianco agli USA, non hanno adottato alcuna misura di protezione nei riguardi dell’uranio impoverito. Vari reduci hanno riferito che, mentre anche a 40°C all’ombra i reparti degli Stati Uniti operavano con le tute speciali e le altre misure di protezione sopraccennate, i nostri militari, che pure hanno svolto alcune operazioni fianco a fianco ai reparti USA, si trovavano ad indossare calzoncini corti e canottiera. In caso di situazioni di scontri a fuoco indossavano il giubbotto antiproiettile.

                Peraltro, è risultato che in vari casi, anche dopo che sono state emanate le norme di protezione per i nostri reparti, non sempre sono state fatte applicare.

                Dunque, certamente, tra le cause delle morti e delle malattie che si sono verificate relativamente al nostro personale (sia appartenenti alle Forze Armate che ai Corpi Armati che ai civili), vi è quella concernente la mancata adozione, per lunghi anni, delle norme di protezione.

                Credo che la Commissione possa ottenere delle risposte interrogando il personale che ha partecipato alle operazioni. Nel caso che, per mancanza di tempo o altro, la Commissione non sia in grado di recepire dalla diretta voce degli interessati delle informazioni, potrebbe forse, in alcuni casi, essere sufficiente richiedere delle informazioni scritte o via E-mail. L’Associazione che presiedo può fornire il nome di alcune persone che potrebbero fornire indicazioni.

E’ comunque bene precisare che le misure di protezione sopraccitate vennero rese note in Italia dall’ambito NATO sicuramente fin dal 1984. Tra l’altro, queste norme si riferiscono, in modo specifico, ai pericoli del maneggio a freddo del materiale. Infatti, non è vero (come qualcuno afferma) che il pericolo esiste solo all’atto dell’impatto di un proiettile con un ostacolo solido, impatto in cui si sviluppano temperature elevatissime (3.000 gradi). Sperimentazioni in vari Paesi del mondo, sulla pericolosità delle armi all’uranio sono iniziate negli anni ’70. Alcune armi, infatti, erano già state impiegate nella guerra del Vietnam.

                In particolare, sperimentazioni sono state da lunghi anni eseguite non solo da parte di militari, ma anche da parte di ditte civili produttrici di armamenti e purtroppo non si può escludere che sperimentazioni sono state anche eseguite in poligoni italiani dato che si è appreso che nessun rapporto circa le sperimentazioni eseguite viene richiesto alle ditte che chiedono di utilizzare il poligono. Quindi non sappiamo, nell’arco di tempo di decine di anni, quali armi siano state sperimentate nei poligoni. Questo fatto è stato anche appurato dalla Commissione di Inchiesta presieduta dal Sen. Franco nel corso della visita fatta a poligoni della Sardegna e risulta anche dalla Relazione finale della Commissione stessa.

                Per quanto riguarda i pericoli esistenti nei poligoni si può leggere, ad esempio, in un periodico del Lazio del 2 marzo 2004 che problemi con l’uranio ci sono stati, ad esempio, nel poligono di Nettuno. Si tratta di un poligono di rilevanza anche internazionale. Si legge in particolare, che a Nettuno: “ i dati dello sportello oncologico della ASL locale dal 2000 al 2002 registravano un tasso di tumori più che doppio rispetto alla media nazionale (senza contare quelli denunciati altrove): per lo più ai linfonodi, alla tiroide e leucemie. Tante le ipotesi per spiegare tale anomalia, ad esempio la vicinanza alla centrale nucleare di Borgo Sabotino, ma data la natura delle patologie il sospetto cadde subito sull’uranio. Ecco perchè nel gennaio 2001 furono presentate interpellanze sia presso il Comune che alla Regione Lazio, nelle quali si chiedeva peraltro un’indagine imparziale circa la presenza di munizioni all’uranio impoverito presso il Poligono di tiro. L’allora direttore colonnello Ambrosino affidò invece i rilevamenti ad un centro dell’Esercito, con sede a Pisa, in base ai quali negò che tale tipo di munizioni fosse transitato dal Poligono. Un successivo monitoraggio, curato da una commissione guidata dal responsabile per la sicurezza dei lavoratori dello stesso poligono, documentò tuttavia che vi era transitato un lotto di proiettili all’uranio di produzione israeliana di calibro 105/51 e che alcuni di essi erano stati esplosi”.

                Ma i pericoli non si limitano alle zone dei poligoni, ma anche nei luoghi utilizzati per deposito di materiale in Italia proveniente da zone di operazioni.

                Nei poligoni, purtroppo, si è appreso che veniva utilizzato per lo sgombero e la pulizia del terreno, personale non specializzato e il personale ha operato prevalentemente a mani nude. Nel libro nero sono registrati numerosi casi di personale deceduto che ha prestato servizio nei poligoni. Altro personale si è ammalato.

                Quanto al pericolo di maneggiare direttamente armi e residuati bellici, le norme finalmente emanate dal Ministero dell’Ambiente il 26.05.2000 prevedono tra l’altro che i proiettili “devono essere raccolti facendo uso di pinze, oppure proteggendo le mani con guanti o altro materiale in tessuto o preferibilmente in plastica, al fine di evitare rischi di introduzione percutanea specie in caso di ferite nonchè di contaminazione della pelle o degli indumenti soprattutto in caso di eventuale stato di ossidazione o corrosione.

 

14) L’accertamento dei fatti e i risarcimenti. Audizione del Sen. De Angelis, pag. 20 del 17 aprile 2007

                Il Sen. De Angelis afferma che: “Se non si accerta ciò che effettivamente è accaduto non sappiamo come cercare le cause e le eventuali responsabilità nè possiamo ipotizzare risarcimenti affinchè questi fatti non si ripetano più”.

                Questa del Sen. De Angelis è una preoccupazione del tutto condivisibile che peraltro ci stimola ad entrare più dettagliatamente in merito. Occorre, evidentemente, accertare ciò che è accaduto e ciò che di più grave è accaduto è che per anni, nonostante tutto il mondo sapesse quanto meno della cosiddetta “sindrome del Golfo” del 1992, i nostri reparti militari fino al novembre 2000 non hanno nemmeno saputo della esigenza di adottare norme di protezione. E’ vero che in Somalia era stato emanato un vademecum individuale per la protezione dei militari, ma non era volto alla protezione dei pericoli dall’uranio anche se, giustamente, vi si affermava nella prefazione che “è necessario conoscere i pericoli per prevenire i rischi ed adottare di conseguenza le necessarie misure di precauzione”. Le misure di precauzione, nonostante che i nostri reparti operassero, in molte circostanze, fianco a fianco ai reparti USA che si preoccupavano soprattutto dei pericoli dell’uranio indossando tute protettive apposite, occhiali, maschere, guanti, etc., si riferivano a rischi della salute come i rischi climatici (colpi di calore, colpi di sole, ustioni solari, diarrea del viaggiatore), ai rischi infettivi (igiene, acqua, cibi, bevande, animali), ai rischi da punture di insetti (rischi da morsi di scorpioni e serpenti, da ragni), rischi sessuali (da AIDS, sifilide e herpes genitali (blenorragia e linfoglanuloma venereo).

                Giuste preoccupazioni, che però finivano con l’oscurare le preoccupazioni più gravi di cui principalmente si preoccupavano gli Stati Uniti. Peraltro, esistevano anche altre preoccupazioni riguardanti le radiazioni degli apparati radar installati su mezzi ed insufficientemente schermati, i vaccini e in particolare la questione degli emoderivati ed altro.

                Ma non credo possano sussistere dubbi sul fatto che la mancanza di misure di protezione relative all’impiego di armi all’uranio impoverito, dovesse essere la preoccupazione prevalente.

Credo poi che il Sen. De Angelis giustamente si preoccupi della questione dei risarcimenti finora non toccata nelle audizioni. Anche le errate conclusioni della Prima Relazione Mandelli, che hanno avuto enorme pubblicità, ed hanno affermato che nessun parametro a rischio era stato superato, abbiano purtroppo avuto influenza nel non considerare con la dovuta preoccupazione la questione delle armi all’uranio e quindi la connessa questione delle cause di servizio e dunque dei risarcimenti.

                La precedente Commissione di Inchiesta Senatoriale si è occupata della questione dei risarcimenti suggerendo l’emanazione di un’apposita normativa che si è poi tradotta nel DPR 243 del luglio 2006. Questa normativa però ha prodotto risultati sostanzialmente negativi. Ad esempio, applicata ai casi di morte dei Caporal Maggiori Melis e Porru, ha prodotto come risultato che il totale dei risarcimenti stanziati per i genitori di detti militari ammonti ad una pensione di 258 euro al mese (tra l’altro un trattamento enormemente diverso a quello che è stato deciso per i morti di Nassirija, per i quali i risarcimenti stanziati hanno raggiunto il miliardo di vecchie lire).

                La questione dei risarcimenti è troppo vasta per poterne trattare in questa sede. Tuttavia è da ritenersi che il DPR 243/2006 promosso dalla Commissione debba essere rivisto, anche perchè è in disaccordo e non prende in considerazione le leggi 308/81 e 280/91 e quindi si creano delle confusioni e incongruenze notevoli anche circa le modalità per concedere i risarcimenti. Ad esempio, mentre il DPR 243 sopracitato prevede che comunque esista la condizione per cui sia concessa la “causa di servizio”, le leggi 308/81 e 280/91 non prevedono la condizione della concessione della causa di servizio, ma prevedono la condizione dell’essere “in continuità di servizio”. Cosa dunque assai diversa, e non possono sussistere contemporaneamente due criteri in contrasto l’uno con l’altro.

                Anche sul piano non monetario, ma morale ed etico, credo sarebbe opportuno pensare ad un riconoscimento simbolico come ad esempio ad una medaglia che tenga conto del fatto che questo personale è stato tra l’altro, ingiustamente, soggetto a enormi sofferenze ed enormi sofferenze ha anche causato ai parenti che li hanno assistiti.

                Una osservazione, infine, relativa al termine inglese BIAS ripreso anche dal Sen. De Angelis in relazione alle affermazioni di chi ha sostenuto che le associazioni sono, nei loro giudizi, affette appunto da un BIAS che in italiano si può tradurre con Giudizio obliquo, prevenuto, tendenzioso o distorto. Non ritengo assolutamente accettabile, almeno per quanto concerne l’associazione che presiedo, un simile giudizio. Vorrei replicare semmai che mi sembrano enormemente BIASED giudizi come quelli che sono stati espressi circa la presenza di 65.000 militari esposti al rischio di contaminazione dall’uranio, dimenticandosi che erano protetti da norme di protezione e quindi non esposti e che tra i 65.000 che hanno operato nei teatri solo una assai piccola parte è stata impiegata in compiti effettivamente operativi sul campo.

 

15) POLIGONI. Audizione ten. Minervini pag. 20 e 21 della relazione del 2 maggio 2007.

                Si fa un cenno alla problematica relativa ai poligoni di tiro.

 Nei nostri poligoni (o quanto meno non in tutti i poligoni)  non operano solo militari italiani, operano anche militari stranieri di Paesi della NATO e anche non della NATO che hanno in dotazione armi all’uranio impoverito. Ad esempio nel poligono di Teulada in Sardegna eseguono tiri contro costa Marine che hanno in dotazione armi all’uranio. Questo problema si è presentato relativamente alla Marina USA anche all’estero, ad esempio nel poligono di Vieques presso Portorico.

                Inoltre, in alcuni poligoni, come a Salto di Quirra in Sardegna, eseguono sperimentazioni anche ditte civili straniere. E non si sa quali armi usano, nè si conoscono i rapporti che vengono stilati per le singole sperimentazioni. Quanto a questa questione, ne trattò la precedente Commissione di Inchiesta del Senato alla quale non vennero resi noti i rapporti sulle sperimentazioni e la Commissione ebbe a lamentarsi in proposito.

                Inoltre, per impedire che vengano usate armi eventualmente all’uranio, avrebbero dovuto essere stati emanati dei bandi internazionali di divieto, ma non risulta che tali bandi siano stati emanati.

                Dunque non possiamo avere alcuna certezza circa il non uso dell’uranio impoverito nei poligoni. E vi è quindi un particolare rischio per coloro che sono addetti alle “pulizie delle zone colpite” (gli “zappatori” o “liquidatori”) e comunque dovrebbero operare con le misure di protezione.

                Da notare anche che per le operazioni che si svolgono all’estero, in determinati teatri vengono approntati dei poligoni per poter esercitare il personale ed in questi poligoni vengono usate, dai paesi che operano nel teatro, le armi che hanno a disposizione, che potrebbero essere all’uranio.

                Quanto ai poligoni del Nord Italia, il ten. Minervini, con riferimento al Nord Italia parla solo del poligono di Aviano. Ma c’è, ad esempio, presso Maniago il poligono del Dandolo (e tra l’altro in questo poligono abbiamo registrato il caso di morte di un militare, A. Garofolo). Il ten. Minervini ci può far sapere la sua opinione in merito?

                Il ten. Minervini, a pag. 21 della relazione, cita il caso di personale con incarichi di cuciniere, che è stato impiegato, invece, in compiti di pulizia nel poligono. Non viene presa in considerazione la gravissima questione dell’uso improprio di personale in compiti che non gli spettano e quindi delle responsabilità di chi ha assegnato questi compiti ed in particolare chi ha disposto che il personale operasse a mani nude senza alcuna misura di protezione.

                Nei poligoni abbiamo avuto anche dei casi di personale che è deceduto, come il caso dei VAM Serra e Faedda in Sardegna ed il personale ammalato come il militare Cappellano, sempre in Sardegna.

 

16) Impiego di armi all’uranio in Italia. Audizione del ten. Minervini nella relazione del 2 maggio 2007

                Il ten. Minervini afferma che per quanto riguarda l’Italia: “Non sappiamo se abbiamo munizioni all’uranio impoverito. Qualche anno fa questa questione emerse anche su articoli di giornale, come il tempo del 10 febbraio 2001, e del 25 marzo 2001. In questi articoli si afferma che l’Italia disponeva di un lotto di armamento acquistato da Israele. Israele lo avrebbe a sua volta acquistato nel 1985 dalla Germania. Parte del lotto, che venne inviato in Somalia, sembra sia tornato in Italia e in parte custodito nel deposito di Le Casermette a Bibona presso Cecina.

                Il Ministro Mattarella, si legge su ‘Il Tempo’, aveva confermato che: “i 5.000 colpi sospetti provenivano da Tel Aviv e potevano essere stati usati in Somalia”. Ma, il ministro aveva precisato che non erano all’uranio. Forse il ten. Minervini potrebbe farci sapere se è al corrente di questa vicenda.

               

17) Fogli matricolari. Audizione del ten. Minervini pag. 20 e 31 della relazione del 2 maggio 2007

                In questa relazione si fa un cenno alla problematica dei fogli matricolari. Non ci si può illudere che i fogli matricolari indichino fedelmente l’attività compiuta dagli interessati. E’ risultato, ad esempio, per esperienze passate, che in alcuni fogli matricolari non venissero segnalate missioni compiute nei poligoni. Quindi, per il caso di personale vivente è necessario che la rispondenza dei fogli matricolari venga sottoposta al loro controllo. Ciò ovviamente non è possibile per il personale deceduto. Inoltre nei fogli matricolari non viene registrata l’esecuzione di quei compiti che non sono svolti “ufficialmente”, compiti “di istituto” (ad esempio le attività di sgombero e pulizia dei poligoni non affidate al personale specializzato come il Genio Guastatori).

Nei poligoni in Sardegna sono stati affidati compiti di sgombra bossoli a personale che risulta addetto alle cucine. A nulla, quindi, serve lo screening di cui si è parlato di un foglio matricolare, che non attesti la reale attività del personale.

Circa le imprecisioni, anche gravi, che l’Associazione che presiedo ha avuto modo, in passato, di rilevare, vorrei citare il caso del Sergente di Marina Cervia, un Sergente con competenze in elettronica, che è scomparso anni fa e di cui non si è saputo più nulla. Aveva frequentato vari corsi di specializzazione, una questione che ovviamente poteva avere interesse nei riguardi dei motivi della scomparsa. Purtroppo, ci venimmo a trovare di fronte a tre fogli matricolari che contenevano indicazioni diverse tra loro circa i corsi frequentati.

Circa la raccolta dei fogli matricolari osservo che per entrare in possesso dei fogli matricolari (tenute presenti tutte le riserve sopra espresse in merito alla loro utilizzabilità), è da ritenersi sufficiente che il Ministero della Difesa impartisca un ordine a tutti i Distretti Militari dipendenti e a tutti i Dipartimenti Marittimi di inviare copia autenticata, oppure l’originale, alla Direzione del Personale della Difesa che potrà renderli disponibili alla Commissione di Inchiesta. Il suggerimento del Sen. Casson si inviare la Polizia Giudiziaria per ottenere i dati, può essere un provvedimento di “ultima ratio” nel caso che il Ministero della Difesa, nonostante la richiesta, non renda disponibile il materiale documentato.

 

18) Casi di tumori al polmone e al rene. Audizione del Prof. Giorgio Trenta, pag. 27 della relazione del 2 maggio 2007

                Il Prof. Trenta afferma che: “Avrebbero dovuto manifestarsi segni di insofferenza renale, effetti che nessuno ha riscontrato dal punto di vista clinico”.

Desidero precisare che tra i casi di morte verificatisi in Italia, per possibile contaminazione da uranio impoverito, c’è quello del Capitano di Corvetta D’Alicandro, deceduto. Quanto ai casi di tumori al polmone, cito, ad esempio, i casi dei Marescialli Pizzamiglio e Fotia, deceduti.

Quanto ai dati dell’UNSCEAR, Comitato Scientifico delle Nazioni Unite sugli effetti delle radiazioni atomiche, da cui, nella pubblicazione del 2000, non risulterebbe la presenza dei linfomi di Hodgkin, è improbabile che l’UNSCEAR abbia potuto tenere conto dei dati italiani forniti dalla Commissione Mandelli. Forse il Prof. Trenta potrebbe precisare su quali dati l’UNSCEAR si è potuta basare.

 

19) Zone bombardate nei Balcani. Audizione del ten. Minervini, pag. 19 della relazione del 2 maggio 2007

                Il ten. Minervini fa cenno al caso della fabbrica di Zastava in Serbia. Ma non cita altri casi di grande interesse. Tanto per fare un esempio di particolare rilievo, potremmo citare il caso dei malati di Bratunac e della fabbrica militare serba di Aadzici. Forse il ten. Minervini è in grado di fornire qualche ulteriore informazione.

 

20) Continuità di lavoro (il non superamento di sei mesi). Audizione del ten. Minervini, pag. 31 della relazione del 2 maggio 2007

                Il ten. Minervini segnala la non opportunità di trattenere il personale per sei mesi in una stessa destinazione.

C’è da osservare in merito che le missioni all’estero si svolgono normalmente con una durata di circa quattro mesi e si ripetono ciclicamente, in alcuni casi. Ma il personale militare, è bene chiarirlo una volta per tutte, NON E’ SOLO  QUELLO IMPIEGATO IN MISSIONI, E’ ANCHE IMPIEGATO IN NORMALI DESTINAZIONI. Ad esempio, in un poligono il personale può essere quello impiegato continuativamente per un anno o anche più. E quindi, quanto è stato detto circa un massimo di durata di sei mesi, va riesaminato.

 

21) Studio del Prof. Nobile. Precisazioni del Sen. Amato, pag. 32 della relazione del 2 maggio 2007

                Il Sen. Amato cita uno studio del Prof. Nobile. Se si tratta dello studio del Prof. Nobile, oggetto anche di una pubblicazione in merito, occorre tener conto che questo studio è stato effettuato su personale che applicava le norme di protezione. Ma se si vuole avere un’idea dei rischi dell’uranio non bisogna fare indagini su personale protetto. Ad esempio se si fa un’indagine sulla possibilità di restare bagnati dalla pioggia, è bene evitare che questa indagine venga svolta su chi usa l’ombrello e l’impermeabile.

                Se lo studio del Prof. Nobile è quello sopracitato non ha interesse per quanto riguarda una valutazione della pericolosità delle armi all’uranio impoverito.

 

  http://www.forzearmate.org/rassegna_stampa_2000_2001.php#29/12/2000%20-%20IL%20MANIFESTO

 

 

 

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