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Montella

Un paese nato sui casali:

 un interessante studio di un architetto del luogo

I CASALI DI MONTELLA.

Arch. Felice Basile

Montella:casa/fattoria rurale in pietra.Loc San Francesco a Folloni

L’evoluzione urbana.

Montella non è mai stata una città murata, composta da un centro compatto, ma è stata sempre organizzata in diversi nuclei sparsi, i casali.

Tale tipo d’insediamento  viene fatto risalire da qualcuno al primo secolo dopo Cristo, quando, in seguito alle guerre sociali, i romani imposero agli Irpini, che in massima parte avevano parteggiato per le fazioni perdenti,  a vivere dispersi sul territorio e a non possedere città fortificate. Altri pensano che sia dovuto al permanere del modo di abitare degli irpini stessi e dei contadini romani, che realizzavano nelle campagne una miriade di piccoli villaggi (vici).

Pur non escludendo la persistenza sul territorio di piccoli gruppi sparsi, la dispersione in nuclei è conseguenza della divisione delle terre di tipo feudale, non esistendo nessuna influenza del mondo antico sull’organizzazione urbana dell’alto medioevo. Infatti, con il crollo dell’impero romano, le sparute popolazioni, sopravvissute al caos di quei secoli, si rifugiarono in ristrette aree fortificate di montagna (oppidi). Quando con i Longobardi si ebbe la riorganizzazione statuale di gran parte del Mezzogiorno, ne conseguì una ripresa economica e demografica e quindi, ricominciò il reinsediamento dei territori abbandonati da secoli. Il fenomeno suddetto, presente tra il X e XI secolo, si manifestò da un lato con l’abbandono dei primitivi insediamenti murati e dall’altro con la creazione dei nuovi siti di residenza. Esso è particolarmente chiaro nell’area del borgo alto medievale e del castello del Monte, posta sulle colline a ridosso dell’attuale centro e che, pur restando sede del potere feudale fino al XV secolo, vide una forte perdita di popolazione già prima dell’anno mille fino ad  essere del tutto abbandonata in poco più di un secolo. Proprio allora si svilupparono i siti di residenza a valle, corrispondenti in larga parte ai vari nuclei dell’attuale centro storico.

Il casale, perciò, è immediata conseguenza del nuovo insediamento del territorio da parte dei contadini partiti in seguito alla prima espansione demografica, all’occupazione delle migliori terre coltivabili.

Esso è un agglomerato urbano estremamente semplice, con fabbricati che si sviluppano compatti al contorno di una pieve e dell’area ad essa antistante o al contorno di una corte, cui si accede da un unico passaggio, quasi sempre archivoltato. È il prevalere di questo tipo di aggregato edilizio a determinarlo, mentre esso è variabilissimo per forme e dimensioni: si passa da nuclei organizzati intorno ad un’unica corte e con poche decine di abitanti (Carmine) a sistemi complessi, costruiti su un insieme di strade, corti, aie e piazzali e con alcune migliaia di abitanti (Sorbo).

L’altro tratto peculiare è la loro posizione baricentrale all’interno dei terreni agricoli di loro pertinenza: perfetta è l’integrazione con il verde circostante, di cui sono quasi un’appendice.

Sviluppatesi in forme simili e quasi contemporaneamente in tutta Italia, rappresentano il primo modello urbano dopo il crollo del mondo antico. In genere, però, non sopravvissero alla successiva nascita dei borghi. Questi ultimi, sempre murati, organizzati intorno alla residenza del feudatario e alla cattedrale, sono il modello urbano delle classi superiori. Infatti, la centralità e la preminenza, anche visiva, dei centri di potere terreno e divino, la limitazione della sicurezza all’interno delle mura, esaltano la gerarchia e quindi il ruolo preminente delle caste militari e religiose.

I borghi, d’altra parte, dimostrarono maggiore vitalità rispetto ai casali, in quanto consentirono la nascita di nuovi ceti, non legati alla terra, che con le loro produzioni di beni contribuirono in modo decisivo allo sviluppo economico del medioevo.

 Nelle aree più interne dell’Irpinia essi prevalsero totalmente, con l’unica eccezione di Montella, già tra la fine dell’undicesimo e il dodicesimo secolo. Intorno alle antiche fortezze longobarde e ai nuovi castelli normanni, in questa epoca   nascono quasi tutti i centri confinanti ancor oggi esistenti: Cassano Irpino (XI sec.), Nusco (XI sec.) e Bagnoli Irpino (XII sec.).

Solo nei fondovalli più ampi e nelle aree pianeggianti del Sele, del Nocerino e di Terra di Lavoro i casali restarono numerosi. Essi hanno continuato ad esistere laddove la terra garantiva il necessario alla sopravvivenza e una parte da destinare al commercio; di conseguenza i contadini potevano meglio resistere alle imposizioni dei feudatari.

Simile è il caso di Montella che pur caratterizzata da un territorio prevalentemente montano, ha aree di fondovalle e collinari sufficienti a garantire abbondanti e diversificate produzioni. D’altra parte le stesse aree montane, ricoperte da boschi d’alto fusto, hanno anch’esse contribuito al potenziamento commerciale del nostro centro; basti pensare all’importanza che aveva il commercio del legno e del carbone nelle epoche passate.

La semplice ricchezza di un’area, però, non determinava l’automatica affermazione del sistema polinucleare, né il prevalere dei contadini. La permanenza sul territorio dei casali si accompagnava, generalmente, alla grande capacità di gestire la terra da parte di chi la lavorava.  Tale fatto  ha sicuro riscontro nella nostra città, dove i contadini sono stati componente primaria della municipalità, organizzata nell’Università. Quest’ultima, nata nel 1146, consentiva alle popolazioni residenti, senza particolari vincoli verso i feudatari, di governare il proprio territorio e di goderne i frutti con il semplice rispetto delle regole dettate dai codici dei re normanno-svevi (Ruggiero II, Federico II). Tale Istituto, durato quasi sette secoli, a vanto della storia di Montella, ha governato con oculatezza e giustizia, dando dignità alle classi subalterne e consentendo al loro modello urbano, costruito nella vicinanza delle terre coltivabili e lontano dai luoghi di potere, di svilupparsi e mantenersi vivo. Esso era tanto forte nello spirito dei cittadini da sopravvivere alla stessa eversione della feudalità, avvenuta al tempo del dominio francese (inizio del XIX secolo) su proposta del montellese Michelangelo Cianciulli.

Agli inizi della anni sessanta la fine della società contadina ha svuotato i casali delle antiche funzioni e ne ha decretato la morte, consentendone la loro parziale distruzione e il successivo incorporamento nelle aree di nuova edilizia.

 

 

Diffusione sul territorio, organizzazione interna, tipi.

- Il fenomeno dei casali agli inizi si manifestò in modo più vasto e diffuso di quanto le attuali presenze possano far credere; anzi, pensando allo scarso popolamento del territorio per una gran parte del periodo longobardo, esso fu veramente repentino e poderoso.

 Infatti, dopo la conquista longobarda (anno 571) e la creazione dell’esteso gastaldato  di Montella, i centri di residenza certi erano il  castello del Monte nell’alta valle del Calore, la civita dell’Ogliara nell’alta valle del Sabato  e la civita dell’Oppido nell’alta valle dell’Ofanto. Nuclei di popolazione esistevano in prossimità della rocca della Torre di Montella, dei castelli di Cassano Irpino e Nusco.

Quando, nell’849 il ducato beneventano fu diviso nei due principati di Benevento e Salerno, il  gastaldato di Montella, sebbene posto nella valle del Calore, che ha i suoi versanti aperti al nord, fu assegnato al principato di Salerno e ne costituì la punta di difesa più avanzata. Malgrado l’accresciuto ruolo strategico del luogo, le aree abitate restarono le stesse per oltre un secolo. 

Per quanto noto, solo alla fine del X secolo si ebbe il fenomeno del popolamento del territorio che in circa cento anni determinò una diffusione imperiosa dei casali; intorno al 1100 essi erano oltre 30 contro i 17 ancora esistenti e furono posizionati in ogni ristretto fondovalle, anche in località remote, distanti fino a 10 Km dall’attuale centro.

Molteplici furono i motivi concreti che portarono, dopo la primitiva espansione, all’abbandono di alcuni nuclei: la ristrettezza delle aree coltivabili al contorno (Rotonda delle Petiniti), l’eccessivo isolamento (Bolifano), le forti tassazioni sui terreni. La motivazione di fondo in ogni caso era solo economica, in quanto la scarsezza di terra determinava l’impossibilità di provvedere alla propria sussistenza, l’isolamento la difficoltà di approvvigionamento, tanto più necessario a gruppi umani poco diversificati al proprio interno.

Emblematici sono, rispetto all’ultimo punto, le notizie raccolte dallo storico locale Francesco Scandone sull’abbandono dei casali di San Lorenzo (prossimo a Bagnoli Irpino) e di San Francesco a Folloni (prossimo all’omonimo convento).

Il primo fu il più grande insediamento dell’area per buona parte del medioevo, ma fin dall’inizio fu in conflitto con i feudatari per il possesso delle aree limitrofe. In pratica una situazione non chiara sui diritti di proprietà dei terreni agricoli consentì ai vari feudatari di avanzare esose richieste, che indussero i contadini ad abbandonare l’area, in modo definitivo, già agli inizi del XIV secolo.

Il secondo non si sviluppò mai per quanto le potenzialità della zona consentivano, per la pretesa dei monaci di imporre tasse. Anzi, ancor prima dell’altro, finì per essere del tutto abbandonato.

- I nuclei ancor oggi esistenti sono tutti prossimi agli antichi “tratturi” che costituivano, fin dalle più remote epoche, il sistema dei percorsi prodotto dalla transumanza degli animali e che proprio nell’alta valle del Calore convergevano per poi proseguire verso nord. Essi mettevano in comunicazione l’area meridionale (l’antica Lucania e la piana del Sele) con quella settentrionale (valli del Calore e Volturno) e con quella orientale (Puglia).

Solitamente i casali erano leggermente distanziati dal percorso principale a cui si collegavano con un’unica strada (vico) che fungeva da entrata; è il caso di Sorbo e di via del Corso. Alcune volte, invece, i vichi di accesso  si ripartivano a raggiera da un ampio spazio d’uso collettivo, quali il mercato della Piazza o la grande corte di Fondana. Quindi, ai percorsi e agli spiazzi principali contornati dal verde (orti) e delimitati da muri, corrispondevano percorsi secondari contornati da abitazioni.  Queste ultime organizzate sempre intorno alle corti, avevano sul vico l’ingresso archivoltato, per cui l’insieme risultava chiuso e difficilmente attaccabile (perciò la posizione dei casali sul territorio non è mai collegata al sistema difensivo realizzato dai feudatari).

 Sono noti vari tentativi di annullare questo tipo di organizzazione urbana e tra questi si vuol ricordare quello di aggregare il centro intorno alla Collegiata (chiesa  di Santa Maria del Piano). Fu infatti, secondo documenti dell’epoca, nel 1550 che la chiesa fu edificata con il preciso intento di “…accentrare un paese così sperperato”. I tentativi furono sempre vani e si dovrà aspettare l’ottocento inoltrato, quando gli antichi istituti di origine medievale saranno del tutto annullati e quando la pressione demografica sarà notevole, per avere un inizio di aggregazione tra nuclei sparsi. Questo fenomeno si limitò, fino al 1960, a costruzioni a cortina lungo i percorsi che li mettevano in comunicazione (Corso, San Simeone), per cui l’aggregazione policentrica era ben evidente fino al 1980. Dopo questa data, l’eccessiva sostituzione edilizia e un’espansione urbana senza regole hanno alterato, se non distrutto, un modello urbano che ha costituito l’identità stessa del popolo montellese.

- Comunque, il centro storico del Comune di Montella, per la parte ancora inalterata, presenta molti elementi di un certo interesse storico e risulta ancora ricco di manufatti di buon valore architettonico. Costruito dai contadini in base alle loro esigenze, non è mai stato, però, la monotona ripetizione di un unico tipo edilizio (la casa a corte), costituito esclusivamente da un’edilizia povera. Anzi, in generale, è il caso di sottolineare, che ogni casale, per come l’hanno conosciuto le generazioni del recente passato, era il luogo della mescolanza: un piccolo centro compiuto in ogni sua parte, con l’alternarsi quasi confuso di chiese, piazze, aggregati contadini, palazzi di aristocrazia rurale, palazzotti di piccola borghesia. I ceti superiori, non disponendo di un proprio luogo di residenza, si disperdono anch’essi sul territorio, accettando in qualche modo un modello non loro.

Il suo impianto generale, così come i toponimi, conserva un’impronta chiaramente medievale, ma i manufatti, tranne alcune eccezioni, hanno una prevalenza di elementi architettonici settecenteschi ed ottocenteschi (più che alla perdita dei tratti di identificazione originali, bisogna pensare che per secoli il casale si è  adeguato positivamente alle nuove  esigenze della popolazione).

La tipologia più antica e ancora prevalente è data dalla casa contadina organizzata su due livelli, con due vani per piano, scala interna sul lato lungo e affaccio sul lato corto. Non mancano però modelli similari, ma con scala esterna, o esempi di case a ballatoio (scala comune da cui si accede ad un portico superiore su cui affacciano più proprietà), o con loggia a primo livello e bottega a piano terra.

I fabbricati dell’aristocrazia rurale, a due piani, sono sempre molto estesi, con un’ampia pianta che si articola nei modi più diversi al contorno di due o più corti. Le decine di stanze che li compongono solo in parte erano riservate alla residenza padronale, essendo per lo più destinate alla lavorazione dei prodotti agricoli o al ricovero della servitù e degli animali. Malgrado molte ed ingiustificate distruzioni, di cui particolarmente gravi quelle delle case Boccuti e Lepore a Fondana, questo tipo di residenze sono ancora diffuse; sono da ricordare le case Carfagno e Trevisani a Serra, le case Coscia e Marano a Sorbo, casa Motta a San Simeone e casa Abiosi a Piazza.

Numerose, fino ad epoche recentissime, erano i fabbricati della piccola e media borghesia. Realizzate per lo più tra la fine del settecento e l’inizio del novecento, erano poste ai margini dei primitivi insediamenti, a cortina lungo i tragitti principali, su cui affacciavano con il lato lungo. Essi erano composti da quattro, sei o più vani per piano (due o tre), che si disponevano sui lati della scala. A Pianta rettangolare, sono stati troppo spesso e con troppa superficialità, oggetto di sostituzione edilizia, in quanto facilmente adeguabili alle “moderne” esigenze di vita. 

 

Con la descrizione delle tipologie questo scritto è da ritenersi concluso. Non si è inteso apportare con esso nuovi elementi di conoscenza o di approfondimento accademico (tutti i fatti riportati sono ampiamente noti), ma solo di dare modo ai visitatori occasionali e alle nuove generazioni di residenti, di conoscere l’evoluzione urbana della città. Questa, oggi, si presenta completamente diversa da quella costruita dalle generazioni precedenti, per cui non sempre è stato compreso il valore del centro storico, che era da considerare, nel panorama regionale, un caso emblematico dell’organizzazione medievale dei centri abitati. Averlo conservato in modo pressoché integro fino ad anni recenti per poi manometterlo in modo grave, ha significato che la storia di Montella, inscindibile da quella dei suoi casali era ormai negletta nelle menti e nei cuori dei suoi cittadini… Il  parlarne serva almeno a salvare quanto resta.

 

 

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