Archivio storico"Benedetto Petrone"
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GIORNATA DELLA MEMORIA 2022 La complicità delle imprese italiane all’Olocaustodi Antonio CamusoArchivio Storico Benedetto PetroneContributo alla Giornata della Memoria 2022 proseguendo il percorso intrapreso nel 2021 e nel 2020.Parte Prima
Foto 1
La
complicità delle imprese italiane allo sforzo bellico nazista,
compreso l’uso di schiavi deportati, è
un tasto doloroso sul quale si preferisce tacere,evitando di
inserirlo nella ritualità
che spesso accompagna la Giornata della memoria in tante commerazioni
ufficiali. Una forma di amnesia che autoassolve il nostro Paese da
responsabilità dirette
nell’edificazione e gestione della macchina infernale che sterminò
milioni di esseri innocenti.
La stessa amnesia che diventa narrazione condivisa dallo storicismo
revisionista e da talk-show che limita le colpe attribuibili alle
milizie fasciste e ai gerarchi,
per i rastrellamenti , deportazioni, treni piombati , ecc
compiuti congiuntamente
alle SS tedesche, affermando che
i fascisti fossero ignari di ciò che accadeva ad Auschwitz e
altri luoghi simili.
Una convinzione che si accompagna all’idea che i fascisti della
Repubblica di Salò, abbiano compiuto ciò in stato di coercizione, da
parte dell’ occupante nazista
che, se lasciato libero, avrebbe usato contro tutti gli
italiani , lo stesso di
pugno di ferro utilizzato contro i polacchi, i cecoslovacchi, gli
olandesi, ecc.
I
risultati della ricerca fatta dal sottoscritto, e parzialmente esposti
l’anno scorso, nella conferenza presso lo SPI-CGIL, smentiscono
l’affermazione che nessuno in Italia fosse a conoscenza
di ciò che accadeva ad Auschwitz prima e dopo quel fatidico 8
settembre 1943, anzi, il contributo di imprese italiane nella
costruzione e nella conduzione di quei luoghi del Male assoluto,
fu significativo, sia per la continuità temporale, sia per il
numero di lavoratori impiegati, che per lo sfruttamento schiavistico
dei deportati.
La ricerca su questo argomento è nata casualmente , consultando una
serie di riviste
specializzate pubblicate 30 anni fa, presenti nel fondo Socialisti –
Brindisi, dell’Archivio Storico Benedetto Petrone di cui io ne sono il
curatore, e parzialmente depositate presso la sede ANPI di Brindisi
in vista di un progetto di una
emeroteca pubblica finalizzata
allo studio dell’antifascismo e dei movimenti sociali e
politici del ‘900. Parte Prima: La ricerca.
Foto 2 e 3
Sulla rivista Storia e Dossier, anno V, n44, ottobre 1990, fu
pubblicato un articolo del professor Bruno Mantelli , allora
ricercatore per l’INSMLI, oggi docente presso l’Università della
Calabria, dove, grazie a ricerche presso archivi italiani e tedeschi,
finalizzate ad uno studio sulla emigrazione italiana in Germania tra i
due dopoguerra, veniva a galla la documentazione relativa ai contratti
stipulati tra industrie italiane e tedesche per contribuire allo
sforzo bellico nazista. (bibl
1)
Il
silenzio uccide…
Le date su quei documenti erano una inoppugnabile prova del
coinvolgimento italiano
nell’Olocausto sin prima che esso raggiungesse le dimensioni che
conosciamo. Non uno, ma migliaia di operai, tecnici, dirigenti
aziendali del nostro paese furono a conoscenza diretta di
quell’orrore, divenendone complici con il loro silenzio.
Un omertà che, dopo aver relegato ad un pugno di specialisti la
conoscenza di questi fatti , è ancor oggi deleteria
sulla ricostruzione della Memoria dell’Olocausto,
giungendo al punto, come è successo a Roma, nel marzo del 2020,
che si arrivasse alla riabilitazione di coloro che sono tutt’ora
inseriti nella lista nera delle imprese schiavistiche.
( Allegato 6f-g)
In quell’occasione il sottoscritto, ha denunciato ciò sulla stampa,
chiedendo che le
associazioni che da sempre si battono contro l’oblìo, a partire
dall’ANPI, facessero sentire la loro voce in merito. (
allegato 7 Il Manifesto 29-2-20)
Le date:
Febbraio 1941:l’IG FARBEN, il colosso della chimica tedesca
,
si accorda con i nazisti su come risparmiare
sulla forza lavoro, per costruire la più grande fabbrica
chimica in Europa: la Buna Werke, per la produzione di gomma
sintetica e di combustibili liquidi
attraverso il carbone. Sia la gomma che i carburanti sono parti
importantissime per ciclo vitale dello sforzo bellico nazista. L’idea
di costruire un grande complesso chimico in un territorio occupato
della Polonia dove far affluire migliaia di lavoratori-schiavi
incomincia a prender forma.(bibl
2)
La guerra contro l’Unione Sovietica
non procede secondo i piani di Hitler e milioni di tedeschi
sono inviati a combattere: le industrie tedesche
cercano altri partner che forniscano tecnici e operai a buon
prezzo per sostituirli.
I lavoratori italiani emigrati temporaneamente in Germania dal 1938 al
1943
raggiunsero la quota
di
500.000. Dopo l’8
settembre
furono migliaia
i lavoratori deportati forzatamente affiancandosi a quelli presenti
con regolari contratti di lavoro. Ad essi si aggiunsero
i militari prigionieri italiani, (oltre mezzo milione)
inquadrati come IMI
(internati militari italiani) che furono impiegati
diffusamente.
Il 14 marzo 1942 , a Roma un contratto di subappalto è firmato
dall’ing Aurelio Aureli a
nome di un consorzio
aziende italiane , per un appalto presso tre siti industriali in
Germania. Tra essi, quello
nascente nei pressi di Auschwitz .
Da parte germanica per il sito industriale
IG
Farbenindustrie AGl Auschwitz, Auschwitz OS:
i firmatari furono Adolf Mueller e (Hans) Deichman.
(bibl 3)
Le aziende italiane coinvolte
per il cantiere di Auschwitz III:
Stoelcker ing Rodolfo ,
Roma,Viale Regina Margherita 262;
Martini ing Ugo, Roma, ; Pagani ing Alfredo , Roma; Beotti
Giovanni , Piacenza; Impresa A.E.S- (Anonima Edile Stradale), Roma.
Tra queste la capo commessa era quella dell’Ingegner Stoelcker
Rodolfo. (allegato 6e foto ing Stoelcker)
La scheda.
I numeri dell’intesa per i tre cantieri in
Germania :
17.270 manovali e
specializzati,oltre a 42
cucinieri ed interpreti, da impiegare in quattro cantieri industriali-
( In pratica ad essi furono
affiancati migliaia di
schiavi deportati ).
Il contratto di Auschwittz
III- Buna Werke Monowitz:
In quel cantiere avrebbero
lavorato 1196 operai italiani +4 cucinieri e 3 interpreti.
La paga media: 8 marchi al
giorno equivalente a 250 marchi al mese.
Durata del contratto:8 mesi
con la clausola che vi sarebbero state penalizzazioni per eventuali
abbandoni sia societari che individuali da parte dei lavoratori.
Le professionalità richieste per il cantiere di
Auschwitz:
20 capomuratori, 190 muratori,
12 calcinatori,20 capocarpentieri, 200 carpentieri, 15 capocementisti,
135 cementisti, 8 calcinaroli, 10 capoferraioli, 100 ferraioli, 25
manovratori pattipali, 19 escavatoristi ,19 conducenti di locomotive,
11aggiustatori di auto, 33 installatori, 33 elettricisti, 325 manovali
e altre profess. Per un totale di 1196 unità. I lavoratori italiani trovarono inizialmente alloggio in
un complesso abitativo di baracche costruito su una collina che
dominava dall’alto il campo di Auschwitz
I e dall’altro il complesso industriale di Auschwitz III
Monowitz dove si sarebbe dovuta produrre la benzina sintetica, mentre
in lontananza fumavano le ciminiere dei forni crematori di Auschwitz
II Birkenau, dove erano destinati tutti coloro che erano ritenuti non
validi la lavoro . In un secondo momento per esigenze produttive gli alloggi
dei lavoratori italiani e tedeschi furono situati in un
“sotto-lager” a ridosso, a nord, del complesso Buna-Werke, Monowitz,
La denominazione di questo campo fu Lager I “Leonhard Haag” ed
in alcune baracche trovarono alloggio anche militari italiani
prigionieri “IMI”.(allegato 2 mappa2)
Quali i servizi di cui potevano usufruire i lavoratori
italiani impiegati nella
costruzione di Auschwitz III –Buna_Monowitz? La risposta la abbiamo
nella ricerca del professor Mantelli con le relative fotografie degli
stessi impiegati in altri siti produttivi tedeschi:
una mensa autonoma, barbiere, cappellano, poter la domenica dedicarsi
a qualche svago come ad esempio dipingere.(Allegato 4a)
e 4b)
Per comprendere come era organizzato quel cantiere infernale “ la torre di Babele”, dove si parlavano mille lingue e dove gli schiavi erano considerati subumani, basta leggere “Se questo è un uomo” di Primo Levi.
(Allegato
8)( bibl 9)
Ad ogni caposquadra, tedesco o
italiano che fosse , era affidata una squadra di operai specializzati
o manovali in un rapporto
di uno a dieci. Ad ogni squadra era affiancata un’altra composta da
dieci a venti schiavi ebrei a cui erano affidate le funzioni più
pesanti e quelle più degradanti, sotto la sorveglianza
di guardie e Kapò armati di frusta e scudiscio. Ogni errore
compiuto dagli schiavi ebrei era pagato da loro in pesanti percosse.
Nonostante l’impiego di migliaia di deportati schiavi
i tempi per la
costruzione dell’impianto che avrebbe dovuto produrre benzina
sintetica non furono rispettati e a fine estate del 1944 l’impianto fu
più volte colpito dai bombardamenti alleati, come testimonia Primo
Levi nel suo libro. La stessa
IG Farben dovette ammettere che , se invece di torturare i
deportati e ridurgli le razioni alimentari, si fosse scelta una linea
diversa , il rendimento lavorativo sarebbe migliorato.
Furono migliaia i deportati che morirono di fame, malattie, ma
ancor di più quelli che
giunti al limite delel forze furono tolti dalle linee produttive ed
avviati alle camere a gas o semplicemente impiccati sul posto.
Quando i primi operai italiani del consorzio
di imprese guidato
dall’Ingegner Stoelker giunsero sul cantiere di Auschwitz III
nell’estate del 1942, il tributo di sangue già versato era stato
altissimo a causa di scelte scellerate
e paradossalmente
in antitesi con il disegno di
rispettare i tempi per la messa in marcia dell’impianto. Sull’area prescelta i lavori di bonifica e preparazione alle fondazioni dall’Aprile 1941 lavorarono migliaia di ebrei che ogni giorno venivano condotti per 7 kmt a piedi da Auschwitz Buchenvald a Monowiitz ; quando tre mesi dopo incominciarono a morire di stenti ed essere tutti inabili al lavoro, le SS si decisero a trasportarli quotidianamente in treno sino alla stazione di Dwory (foto 1 e Allegato 5d)
L’anno dopo, nel luglio
1942 mentre si completava l’arrivo degli operai italiani, questi
viaggi si arrestarono a causa di un epidemia di tifo. In questo
contesto l’arrivo di carpentieri specializzati permise di accelerare i
tempi per la costruzione del campo di concentramento di Monowitz, a
ridosso dell’impianto chimico della Buna-Werke, per far sì che gli
schiavi ebrei fossero direttamente disponibili al lavoro.
Un lavoro che procedette così rapidamente che nell’ottobre 1942, il campo(Lager 9 “Pulvertum”) fu ultimato , potendo ospitare oltre 10.000 schiavi. La gran parte degli operi italiani era però impegnata nelle fondazioni , nella messa in opera delle strutture metalliche portanti delle linee di produzione ; un lavoro così ben fatto che nel gennaio 1943, dopo le ferie natalizie, quando si rischiò che molti lavoratori italiani non volessero rientrare in Germania, le autorità tedesche protestarono vivacemente affinchè venissero rispettati i contratti e imposero il rinnovo dell’appalto in via di scadenza.
Il
professor Mantelli, nella sua ricerca datata 1990, ipotizzava
che dopo l’8 settembre 1943, cambiati i rapporti tra Italia e
Germania, tale appalto fosse stato fortemente limitato se non proprio
decaduto. Grazie ad altra
documentazione si ha
invece notizia che la presenza dei lavoratori italiani continuò sino a
1944 inoltrato. Paradossalmente questa
conferma era sotto gli
occhi di tutti, da tempo: Primo Levi
nel suo libro-diario, descrivendo il rapporto tra i
deportati-schiavi e i lavoratori civili del campo, narra della sua
personale esperienza con un lavoratore italiano. Purtroppo tutti coloro che si sono dedicati alla lettura di questo
libro, schiacciati dalla narrazione del dolore fisico e psicologico a
cui era sotto posto “il sotto-uomo” Primo Levi, non hanno mai colto
l’invito ad indagare il motivo della presenza di Leonardo, questo
lavoratore italiano nel cantiere Lager di Aschwitz III –Buna.(allegato
8) Allego nella seconda parte del mio contributo uno stralcio delle pagine
che Levi dedica a questo operaio italiano e di come lui lo ringrazi
per averlo trattato con un minino di umanità aiutandolo quindi a
credere che, nonostante tutto, egli era un uomo.
(bibl9)
Nel 1944 gli schiavi impiegati
nel cantiere di Auschwitz Monowitz furono giornalmente oltre
10.000
I morti: oltre 11.000 su 35.000 deportati
impiegati dal 1942 al
dicembre 1944 Scarsità di
cibo, le percosse continue e lavoro pesantissimo causarono il continuo
ricambio di deportati. Nei rapporti inviati da Monowitz alla sede centrale della IG Farben a Francoforte sul Meno, Max Faust, un ingegnere responsabile della costruzione affermò in questi rapporti che l'unico modo per mantenere la produttività del lavoro dei detenuti a un livello soddisfacente era attraverso l'uso della violenza e punizioni corporali.
Max Faust incontra ufficiali SS ad Auschwitz III
Solo all'ultimo, poche settimane prima dello sgombero di
Monowitz si ebbe il coraggio di ammettere, anche se indirettamente,
che lo sterminio per fame riduceva la produttività, che tanta violenza
e sadismo ed espedienti erano stati inutili perché i lavoratori
schiavi, ridotti a scheletri denutriti non ce la facevano a mantenere
i ritmi di lavoro, anche se venivano battuti a morte.
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