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28 novembre 2007: Bari della memoria
Comunicato di alcune compagne e compagni di Bari
...non vogliamo celebrazioni, vogliamo ancora una lettura politica dell'assassinio di Benedetto, così come vogliamo ancora una verità politica su Genova...Vogliamo che in questa città decolli un processo, vogliamo che si riprenda a parlare il linguaggio della politica e della vita reale degli individui, dei nostri bisogni e dei nostri desideri...
le foto dell'iniziativa del 28 novembre 2007,
i volantini, i comunicati
La memoria non è un esercizio tecnico o la rappresentazione di un'idea senza
corporeità. La memoria è un'azione politica e di giustizia, non può divenire
un'icona da rimirare all'occorrenza. Non è solo un atto di tenerezza, a volte
deve necessariamente essere un atto di durezza etica. Le icone imprigionano le
idee nell'atto stesso di celebrarle, ed è per questo che ne diffidiamo.
Le celebrazioni, o meglio i rituali celebrativi appartengono ad un contesto
umorale, sentimentale e dunque pre-politico e come tale non possono neanche
ri-conoscere un'azione politica.
Benedetto non era un ragazzo, era un militante, un'attivista che aveva fatto
dell'antifascismo una pratica militante.
Forse noi non riusciamo più ad esprimere la nostra tensione verso una
trasformazione radicale dell'esistente, ma ci continuiamo a sentire parte di un
mondo pluriverso e multiverso, di cui ancora esprimiamo, senza alcuna forma di
quel sentimentalismo che produce separatezza e lontananza, l'umore ed anche il
disagio, le passioni e le inquietudini, le rabbie e le contraddizioni, i
desideri e le paure, la sfiducia e la sfrontatezza, la delusione ed il saper
rinascere.
Il trentennale di Benedetto non può avere valenza meramente testimoniale,
Benedetto non era un testimone dei tempi andati ma un militante che ha fatto
dell'attivismo la sua ragione di vita e dunque anche di morte.
La memoria non è statica, non è un universo a sé stante ed immobile, sospeso nel
tempo e senza giudizio. La memoria ha una sua pratica ed è per questo che il
nostro modo di ricordare Benedetto è continuare a credere in un mondo
differente, altro. Per questo continuiamo a non sentirci parte di un tutto che
non ri/conosciamo, per questo continuiamo a sentire stridori ed a voler
esprimere malumori. Quello stesso desiderio di cambiamento è riemerso con
costanza, nel corso di questi trent'anni, è riemerso nei conflitti e nelle lotte
di questa parte di mondo, nelle lotte contro i poteri forti, contro le mafie
economiche, contro l'indifferenza e contro ogni tentativo di pacificazione
sociale. Ha voluto mantenere una memoria mai selettiva. Perché le istanze
politiche di allora sono le stesse che hanno accompagnato trent'anni di storia
politica di questa città, sono le stesse cui vorremmo dar voce ancora oggi.
Forse non siamo anagraficamente la generazione di Benedetto, ma siamo la stessa
generazione politica. Siamo i ragazzi dell'85, siamo la Pantera, siamo le donne
e gli uomini contro le guerre neoliberiste ed umanitarie, siamo gli occupanti
degli spazi sociali, siamo i curdi in Piazza Kurdistan a Roma, siamo i sognatori
della libertà di movimento e contro i luoghi di detenzione, siamo la targa
posticcia sul lungomare titolato a Crollalanza, siamo gli insonni del train
stopping, siamo la folla di Genova nel 2001, siamo ancora Genova nel 2007.
Per questo non vogliamo celebrazioni, vogliamo ancora una lettura politica
dell'assassinio di Benedetto, così come vogliamo ancora una verità politica su
Genova, e la chiediamo al governo che la preparò ed a quello che la mise in
opera.
Poniamo ancora la stessa domanda di trasformazione sociale e culturale, di
relazione e di libertà, la stessa voglia di riappropriazione dei luoghi e degli
spazi dell'agire politico e della nostra vita. E dunque prestiamo attenzione
quando ricordiamo Benedetto: non stiamo parlando del quadro che abbiamo in
camera da trent'anni o di quello che non abbiamo mai avuto e fingiamo di avere
da trent'anni. Stiamo parlando della vita di milioni di donne ed uomini. Stiamo
parlando di questa città, oggi.
Non vogliamo chiudere alcun cerchio, non vogliamo celebrare bensì ricordare, e
nel ricordo aprire un dibattito a partire da quel 28 novembre di trent'anni fa,
con tutte le anime di quel movimento, degli anni che seguirono, fino ad arrivare
all'oggi. Vogliamo che in questa città decolli un processo, vogliamo che si
riprenda a parlare il linguaggio della politica e della vita reale degli
individui, dei nostri bisogni e dei nostri desideri.
Alcune compagne e compagni
BARI