14
agosto 1944
La
strage di Sant'Anna di Stazzena:
il
ruolo dei fascisti come guide per le SS
dal
sito della memoria di Stazzena alla pagina
http://www.santannadistazzema.org/sezioni/LA%20MEMORIA/pagine.asp?idn=1054
I fascisti locali le guide delle SS tedesche
All’epoca Sant’Anna era ancora più defilata e di difficile accesso
di quanto lo sia oggi; per raggiungerla si dovevano percorre le vecchie
mulattiere che da Valdicastello (Pietrasanta) e dal versante di Stazzema
vero e proprio raggiungevano il villaggio di Sant’Anna dopo almeno due
ore di difficile e faticosa marcia. Fu proprio questa caratteristica che
spinse nell’estate del 1944 un migliaio di sfollati a raggiungere questi
luoghi ritenuti praticamente inaccessibili.
Eppure il 12 agosto 1944 Sant’Anna venne circondata da quattro colonne
SS tedesche.
Le quattro compagnie si mossero dalla zona di Pietrasanta intorno alle tre
di notte percorrendo quattro diverse direttrici e raggiungendo verso le
sei del mattino la vallata del paese. La salita fu pertanto compiuta
durante la notte, e fu quindi essenziale la guida di italiani, per lo più
versiliesi, profondi conoscitori dei luoghi, per raggiungere i vari borghi
del paese.
Alcuni superstiti dell’eccidio hanno rilasciato precise testimonianze in
merito all’operato di questi italiani rinnegati. Individui col volto
coperto, che parlavano italiano, addirittura in dialetto versiliese.
Con la partecipazione attiva alle stragi dell’estate 1944, i fascisti
scrissero la pagina più infame della loro collaborazione con
l’occupante nazista, dopo essersi già macchiati di gravissime colpe,
dalla fucilazione di partigiani, alle violenze e ai soprusi commessi ai
danni della popolazione.
Dichiarazioni di testimoni oculari, utilizzate durante i processi a carico
dei criminali nazifascisti:
“dal punto dove ero nascosto sentivo parlare anche in italiano” (F.B.,
superstite dell’eccidio).
“Vedi che c’è qui se te sorti! Mi disse un individuo in tuta mimetica
che impugnava una pistola, mentre cercavo di uscire dalla casa” ( B.B,
superstite dell’eccidio).
“Dai mora! Gridava un milite che trascinava una mucca” (E.M.,
superstite dell’eccidio)
Enio Mancini , altro superstite, afferma che nel borgo di
“Sennari” notò almeno due o tre squallidi personaggi mascherati che
parlavano versiliese. “Quando già predisposti al muro di una casa con
la mitragliatrice ormai pronta a far fuoco arrivò l’ufficiale nazista
che in tedesco impartiva degli ordini per noi incomprensibili uno di
questi tradusse in perfetto italiano “via svelti scendete a
Valdicastello” ; un altro disse alla nonna che chiedeva di potersi
prendere gli zoccoli: “brutta vecchiaccia di ben altro ti devi
preoccupare”; un altro, ancora, togliendo la mucca dalla stalla la
sollecitò: “dai mora”.”
Le sorelle Alba e Ada Battistini più volte hanno testimoniato il
particolare di un bue ferito con un colpo di pistola alla testa, non
ancora morto, al quale si avvicinò un uomo esclamando: “brutto mostro
‘un voi morì”.
Alfredo Graziani, il 12 agosto 1945, pubblicò una sua memoria
del tragico evento nella quale testualmente riportava: “che vi fossero
anche italiani, camuffati sotto la divisa SS, e che non fossero pochi, è
stato accertato”.
Graziani riportava nella sua pubblicazione anche un brano pubblicato sulla
“Nazione del Popolo” 29/6/45 dallo scrittore Manlio Cancogni che
testualmente recitava:
“Dei nomi, uno sopra tutti, girano da tempo sulle bocche degli abitanti
dell’intera regione e ci si aspetta, forse invano, che prove definitive
confermino la verità del sospetto.
Italiani comunque hanno partecipato a esecuzioni del genere in altre parti
d’Italia. La mente recalcitra. Italiani che non si limitarono alla
infamia opera di spie, di carcerieri, di aguzzini nelle celle dI tortura e
nel campi di concentramento, ma che vollero anche ,macchiarsi del delitto
più atroce: la strage degli innocenti. «Vollero» è l’espressione
giusta, perché non potevano esservi comandati, e comunque avrebbero
potuto facilmente sottrarvisi. “Volero”, alcuni per vera deformità
morale, ma i più per criminale vanità, per servile bisogno
d’imitazione. Volevano non sentirsi minori dei loro Padroni; dimostrare
d’essere capaci di ciò in cui loro eccellevano; dimostrarlo a se stessi
e a quanti non lo credevano. Volevano partecipare anch’essi al «gioco»
senza preoccuparsi se nella posta vi; erano vite umane e la loro stessa
anima. Ma non si trattava ,di vite e di anime per loro, come per i
tedeschi, incapaci di commozione e gelati dall’indifferenza.
Ma per gli italiani che parteciparono all’eccidio di Sant’ Anna come
si può parlare d’indifferenza? Non erano gente venuta da fuori; la
regione non era per essi un luogo qualunque di passaggio, privò di
memorie e di affetti. L’indifferenza lamentata per gli altri non
possiamo ammetterla nei loro riguardi, sé non a patto di riconoscervi un
cinismo ancor più terribile. Quello era pur sempre il paese della loro
infanzia. Ne conoscevano certamente tutte le pieghe, le forme, i colori e
persino quell’odore che ciascuno porta nel proprio animo dovunque vada
per ricordarlo e riconoscerlo, nei momenti di maggiore dolcezza. Era il
paese nel quale erano cresciuti e a ogni casa, a ogni sentiero, a ogni
albero, a ogni volto umano era legata una parte della loro vita. Era
uomini più umani che altrove, quelli sui quali . puntarono le armi
omicide, case dense della loro stessa vita quelle a cui appiccarono
voluttuosamente le fiamme, tenera erba della loro infanzia, accarezzata
dai loro passi, quella che intrisero di sangue.
Su quelle pendici, forse, s’erano trovati in altri tempi durante una
passeggiata domenicale. Si erano seduti su quelle balze all’ombra dei
castagni e abbandonata liberamente la vista alla vallata avevano
anch’essi sentito un attimo di struggente felicità. un amore più
tenero per le cose, e un pensiero di gratitudine per i beni della vita
s’era forse levato da loro cuore.”