Archivio storico"Benedetto Petrone"
|
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
21 gennaio 1921
A Livorno nasce il Partito Comunista d'Italia IN QUESTA PAGINA INSERIAMO DIVERSI CONTRIBUTI PROVENIENTI DA COMPAGNI ED ORGANIZZAZIONI CHE HANNO DIVERSI PUNTI DI RFERIMENTO RISPETTO A QUELLE CHE FURONO LE VIE SUCCESSIVE SU CUI SI INCAMMINò IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO. NOI LE RIPORTIAMO INTEGRALMENTE, LASCIANDO AD OGNUNO LA PROPRIA VALUTAZIONE:
Manifesto
ai lavoratori d’Italia. Presentazione: Il 21 gennaio 1921, terminato il congresso di Livorno [ de il Partito Comunista d’Italia (P.C.d’It.) n.d.r.], il Comitato Centrale eletto. subito riunitosi, formava nel suo seno il Comitato Esecutivo, chiamando a farvi parte Bordiga, Fortichiari, Grieco Repossi, Terracini; nominava Gennari rappresentante del C.E. della Internazionale Comunista; prendeva atto dello scioglimento della “frazione astensionista del PSI”; costituiva il gruppo parlamentare comunista, nominandone il comitato direttivo. Il Comitato Esecutivo, stabilita a Milano la propria sede, nella Palazzina di Porta Venezia, iniziava la propria attività il 30 gennaio, lanciando il “Manifesto ai lavoratori italiani”, di cui segue il testo integrale. Proletari italiani! Nessuno di voi ignora che il Partito Socialista Italiano, nel suo Congresso Nazionale tenuto a Livorno, si è diviso in due partiti. I rappresentanti di quasi sessantamila dei suoi membri sui centosettantamila che hanno partecipato al Congresso, si sono allontanati, e in un primo Congresso hanno costituito il nuovo partito:il nostro Partito comunista. I rimasti nel vecchio partito hanno conservato il nome di Partito socialista italiano. Ciò voi avrete appreso, proletari tutti d'Italia, dalla nuda cronaca di questi ultimi giorni; ma tale nuova, che non appare ben chiara nelle ragioni che ne furono la causa a molti di voi, mentre essa tanto da vicino riguarda i vostri interessi ed il vostro avvenire, vi sarà presentata e commentata dagli interessati sotto una luce artificiosa e sfavorevole. E' perciò che il 1° congresso del nuovo Partito ha sentito, come suo primo dovere, la necessità di rivolgersi a voi; e con questo manifesto vuole rendervi ragione del sorgere del nuovo Partito, perché vi stringiate intorno ad esso, accogliendolo come il solo e vero strumento delle vostre rivendicazioni, come il vostro Partito. Richiamiamo, quindi, tutta la vostra attenzione su quanto abbiamo il compito di esporvi nel modo più chiaro, onesto e preciso. Vi fu detto per molti anni che coloro i quali lavorano e sono sfruttati dalla minoranza sociale dei padroni delle fabbriche, delle terre, delle aziende tutte, devono tendere, se vogliono sottrarsi allo sfruttamento e ad ogni sorta di miserie, a rovesciare le istituzioni attuali che difendono i privilegi degli sfruttatori. Vi fu detto, a ragione, che questo scopo poteva raggiungersi solo col formarsi di un partito dei lavoratori, di un partito politico di classe, il quale doveva condurre la lotta rivoluzionaria di tutti gli sfruttati contro la borghesia, contro i suoi partiti, contro i suoi istituti politici ed economici. Ma già prima della guerra in molti paesi, ed anche in Italia, i capi dei partiti proletari avevano cominciato a transigere con la borghesia, ad accontentarsi di ottenere da essa e dal suo Governo piccoli vantaggi, e sostenevano che, a poco a poco e senza lotta violenta, sareste, così, giunti a quel regime di giustizia, sociale ch'era nelle vostre aspirazioni. Questi uomini erano anche nel Partito Socialista Italiano. Alcuni, come i Bissolati e i Podrecca, ne furono allontanati; altri però, come i Turati, i Treves, i Modigliani, i D'Aragona, ecc., vi rimasero, capi incontrastati nell'azione parlamentare e nelle organizzazioni economiche, anche dopo che la maggioranza del partito ebbe dichiarato erronee le loro teorie riformiste. Guidata da costoro, o da altri meno sinceri, ma in fondo simili ad essi per pensiero e per temperamento, l'azione del partito non corrispondeva alle aspettazioni delle masse e alle esigenze della situazione. Venne la guerra del 1914. Come voi sapete, in moltissimi paesi i partiti socialisti, diretti da quei capi riformisti e transigenti di cui abbiamo detto, anziché opporsi energicamente alla guerra, divennero i complici del sacrificio proletario per gli interessi borghesi. Ciò dipese sopratutto dal fatto che essi non capirono che la guerra era una conseguenza del regime capitalistico; che rappresentava il crollo di esso nella barbarie, e creava una situazione in cui i socialisti avevano il dovere di spingere le masse ad un'altra e ben diversa guerra, alle lotte rivoluzionarie contro la borghesia imperialista. Voi, proletari italiani, ricordate anche che il Partito Socialista in Italia tenne un contegno migliore di quello degli altri partiti socialisti europei; attraversammo un periodo di neutralità, durante il quale avemmo l'agio di meglio comprendere quale enormità fosse l'adesione dei socialisti alla guerra. Ma quando si trattò di passare da un'opposizione verbale all'azione effettiva contro la borghesia italiana impegnata nella guerra, ad una propaganda in senso rivoluzionario, allora gli uomini della destra del partito ed altri ancora - anche e sopratutto quando il territorio italiano fu invaso - dimostrarono col loro contegno esitante tutta la loro avversione al metodo rivoluzionario. A dichiarare e precisare l'atteggiamento dei socialisti dinanzi alla guerra e alle sue conseguenze, venne la rivoluzione russa. Essa ci mostrò i socialisti russi divisi in campi opposti: mentre alcuni partiti e frazioni socialiste, che pure erano stati contro la guerra, propugnavano l'alleanza coi partiti borghesi, la continuazione della guerra, la limitazione delle conquiste rivoluzionarie alla costituzione di una repubblica democratica al posto del vecchio dispotico impero zarista; all'avanguardia del proletariato rivoluzionario si poneva un forte e cosciente partito politico: quello dei Bolscevichi, che ora é il grande Partito comunista di Russia. I Bolscevichi avevano già il loro programma rivoluzionario. Essi fin dal 1914 avevano dichiarato che la guerra delle nazioni doveva volgersi in guerra civile rivoluzionaria del proletariato internazionale contro la borghesia; e nel 1917 sostennero che, data la situazione creata dalla guerra, non v'era altra soluzione che la dittatura del proletariato, da raggiungersi con la lotta rivoluzionaria, respingendo ogni alleanza coi partiti borghesi russi e colle borghesie estere dell'Intesa imperialistica. I Bolscevichi e i lavoratori rivoluzionari russi col trionfo di questo loro programma attirarono l'attenzione dei lavoratori di tutto il mondo su importanti questioni nelle quali i riformisti di tutti i paesi avevano portato grande confusione. Eccole. Il proletariato non arriverà mai al potere né alleandosi con partiti borghesi, né servendosi del suffragio elettorale per la conquista dei mandati elettivi nei Parlamenti. Solamente se il proletariato si impadronirà con la violenza del potere, spezzando le forme attuali dello Stato: polizia, burocrazia, esercito, parlamento, potrà costituire una forza di govemo organizzata, capace di operare la distruzione dei privilegi borghesi e la costruzione del regime sociale comunista. In questo nuovo sistema di potere, al posto dei Parlamenti democratici vi é la rete dei Consigli dei lavoratori, alle elezioni dei quali partecipano solo quelli che lavorano e producono, e che la Russia ci ha mostrati per la prima volta nei Soviet. Ma l'insegnamento più importante ancora della rivoluzione russa fu questo: che nella lotta decisiva per la conquista del potere proletario, quei socialisti riformisti, democratici, che, o furono per la guerra, od anche non seppero passare dalla opposizione alla guerra all'affermazione rivoluzionaria che la guerra aprì in tatto il mondo il periodo della lotta per la dittatura proletaria, tutti costoro nella lotta finale si alleano alla borghesia contro il proletariato. Se il proletariato vince, come in Russia, continuano la loro opera per sminuirne e distruggerne i successi d'accordo con le borghesie estere. Se, come in Germania e altrove, il proletariato é vinto, i socialdemocratici appaiono come gli agenti e i boia della borghesia. Ed allora - altra conseguenza della rivoluzione russa - la nuova Internazionale, che deve sostituire la seconda Internazionale vergognosamente battuta nell'adesione alla guerra, deve sorgere su questa base: riunire non già tutti i socialisti che in qualche modo furono contrari alla guerra, bensì quelli che sono per la rivoluzione, per la dittatura proletaria, per la repubblica dei Soviet, come unica possibile uscita dalla situazione lasciata dalla guerra in tutti i paesi. La nuova Internazionale infatti, sopratutto ad opera dei comunisti russi, si costituiva a Mosca, tenendovi nel marzo 1919 il primo suo Congresso mondiale. Attraverso vicende che non è qui il caso di rammentare, ben presto si delineò una minaccia per la nuova Internazionale: l'invasione delle sue file da parte di elementi equivoci, usciti dalla seconda Internazionale, ma non completamente aderenti alle direttive comuniste. Per ovviare a tale pericolo si riuniva a Mosca, nel luglio 1920, il II Congresso mondiale, il quale stabilì che ogni partito desideroso di entrare nell'Internazionale comunista dovesse, per essere accettato, dimostrare che la sua composizione e la sua attività corrispondevano al programma e al metodo comunisti. A tale scopo il Congresso stabilì una serie di condizioni di ammissione, nelle quali sono contenuti i criteri a cui i partiti che entrano nell'Internazionale devono corrispondere. Queste condizioni si applicano a tutti i partiti senza eccezione. Poiché, mentre la seconda Internazionale lasciava arbitro ogni partito aderente di seguire la tattica che meglio credeva - e fu quest'autonomia la causa principale della sua rovina - la III Internazionale é invece fondata sulla comunanza ai partiti di tutti i paesi delle fondamentali norme di organizzazione e di azione; le quali appunto figurano nelle 21 condizioni di ammissione. Ciò non vuol dire che la III Internazionale ignori che in ciascun paese l'azione rivoluzionaria può presentare problemi speciali. Ma mentre nelle 21 condizioni è fissato il contegno dei partiti di fronte ai problemi più importanti che si presentano in tutti i paesi, il secondo Congresso stabiliva anche le tesi sui compiti principali dell'Internazionale, di cui la terza tratta delle modificazioni della linea di condotta e parzialmente della composizione sociale dei partiti che aderiscono o vogliono aderire all'Internazionale. In queste tesi si parla di ciascun paese partitamente ed anche dell'Italia, che presentava questo speciale problema: la esistenza di un partito, che pur essendo stato contrario alla guerra ed avendo aderito a grande maggioranza alla III Internazionale, dimostrava tuttavia coi fatti un'evidente incapacità rivoluzionaria. Abbiamo detto quale immenso valore abbiano avuto per i proletatri di tutti i paesi gli insegnamenti della rivoluzione russa. Quale utilizzazione se ne é fatta finora nel movimento proletario italiano? In Italia si é molto parlato della rivoluzione russa, della dittatura proletaria, dei Soviet, della III Internazionale. Ma furono, in realtà, quegli insegnamenti, verso i quali si protendeva ansioso il nostro proletariato, efficacemente intesi ed applicati? Tutt'altro. Il Partito Socialista italiano accettò nel suo Congresso di Bologna il programma comunista, aderì alla III Internazionale. Si era nell'agitatissima situazione del dopo-guerra, che dura tutt'ora, e si parlò molto di rivoluzione nei comizi, mentre in realtà il partito non aveva mutato dopo la guerra, né mutò, col Congresso di Bologna, i caratteri tradizionali dell'opera sua, che seguitò a basarsi nel campo politico sulla pura azione inspirata da finalità elettorali. Né attraverso la guerra, né per effetto del Congresso di Bologna fu cambiato quello stato di cose per cui l'azione politica ed economica del partito era affidata alla destra riformista; e le conseguenze poterono essere constatate così nell'andamento della campagna elettorale politica e di quell'amministrativa, come nella piega che presero tutte le grandi agitazioni che scoppiavano in seno al proletariato italiano. Il partito, benché diretto da massimalisti, non fece nulla per togliere il monopolio della Confederazione del Lavoro ai D'Aragona, Baldesi, Buozzi, Colombino, Bianchi, ecc., la cui opera spesso si presentò come un indirizzo politico apertamente opposto a quello del partito, e praticamente si svolse attraverso continui compromessi con la borghesia, culminando nella famosa derisoria concessione giolittiana del controllo operaio. Il Partito socialista italiano in conclusione rimase sostanzialmnete quello che era prima della guerra, ossia un partito un po' migliore di altri partiti della II Internazionale, ma non divenne un partito comunista capace di opera rivoluzionaria secondo le direttive dell'Internazionale comunista. L'azione e la tattica dei partiti comunisti a questa aderenti devono essere ben diversi. I partiti comunisti hanno come loro finalità la preparazione ideale e materiale del proletariato alla lotta rivoluzionaria per la conquista del potere. Come mezzi per la loro propaganda, agitazione ed organizzazione, essi si servono dell'intervento nell'azione sindacale e cooperativa, nelle elezioni e nei Parlamenti, ma non considerano affatto le conquiste che si realizzano con queste azioni come fine a se stesse. Il Partito socialista italiano invece, lasciando dirigere queste azioni dagli uomini dell'ala destra o anche da uomini della sinistra che da quelli si differenziano soltanto per affermazioni verbali senza essere capaci di intendere la nuova tattica rivoluzionaria, non fece utile opera di preparazione rivoluzionaria, ed il suo massimalismo condusse soltanto a quella serie d'insuccessi e di delusioni ben noti a tutti i lavoratori, di cui la destra del partito, infischiandosi dell'impegno assunto di essere disciplinata a quell'indirizzo che la maggioranza aveva stabilito, si servì per deridere audacemente il metodo massimalista. Per evitare tutto ciò non vi sarebbe stato che un solo mezzo: eliminare dal partito i riformisti, basandosi sulla loro avversione di principio al programma comunista, per poterli scacciare dalle loro posizioni squalificandoli innanzi a tutto il proletariato italiano come avversari della rivoluzione e della III Internazionale, come equivalenti dei Menscevichi russi e di altri controrivoluzionari esteri. In questo modo la situazione italiana e l'andamento della lotta di classe tra noi vengono a confermare quelle esperienze internazionali, su cui si basano i comunisti per liberare il proletariato dai suoi falsi amici social-democratici. Tutto ciò in Italia fu sostenuto dagli elementi di sinistra del partito, che andarono sempre meglio organizzandosi sul terreno del pensiero e del metodo comunista, ed intrapresero la lotta contro il pericoloso andazzo preso dal partito. Lo stesso giudizio intorno alla situazione italiana fu espresso dal Congresso di Mosca e sancito nelle sue deliberazioni, richiedendosi in esse che il partito italiano si liberasse dai riformisti, e divenisse come nel programma così nella tattica, nell'azione e nel nome un vero partito comunista. Intanto i riformisti italiani, sempre più imbaldanziti dagli insuccessi del massimalismo che aveva apparentemente trionfato a Bologna, si erano organizzati in frazione «di concentrazione socialista» col loro convegno di Reggio Emilia dell'ottobre 1920. Tutti i comunisti italiani che, al di sopra di singoli apprezzamenti tattici, accettavano la disciplina internazionale alle deliberazioni di Mosca, si costituirono in frazione, e nel convegno di Imola del 28-29 novembre 1920 decisero di proporre al Congresso del partito una mozione, che oltre al comprendere l'applicazione di tutte le altre decisioni del Congresso di Mosca, stabiliva che il partito si chiamasse comunista e che tutta la frazione di «concentrazione» dovesse essere esclusa. L'organo supremo dell'Internazionale comunista ossia il Comitato esecutivo di Mosca, approvò ed appoggiò tale proposta. Intanto nelle file del partito, da parte di coloro che tanto facilmente si erano proclamati massimalisti e avevano inneggiato a Mosca quando si trattava di andare ai trionfi elettorali, si organizzò una corrente unitaria, venendo così a costituire una frazione di centro che si opponeva alla divisione tra comunisti e riformisti. I capi di questa tendenza si dicevano comunisti, ma oggi che essi hanno dimostrato coi fatti di tenere più ai riformisti e ai controrivoluzionari, come Turati e D'Aragona, che ai comunisti e alla terza Internazionale, riesce evidente che essi costituiscono la peggior specie di opportunisti. Infatti costoro nel recente Congresso di Livorno, capitanati da G. M. Serrati, hanno respinto le precise disposizioni del Congresso mondiale dell'Internazionale comunista, trascinando la maggioranza del Congresso a decidere che i riformisti restassero nel partito, tutti senz'alcuna eccezione. Tale atto inqualificabile - voluto da pochi capi che hanno saputo speculare sull'inesperienza dei gregari - ha preparato questa logica conseguenza: l'espulsione del Partito socialista italiano dall'Internazionale comunista. Dinanzi a tale situazione la frazione comunista ha senz'altro abbandonato il Congresso ed il Partito, ed ha deciso di costituirsi in Partito comunista d'Italia - Sezione dell'internazionale comunista. Così i sedicenti «comunisti» della frazione unitaria serratiana, per restare uniti ai quindicimila riformisti dell'estrema destra, si distaccano dall'Internazionale comunista, ossia dal proletariato rivoluzionario mondiale, e da sessantamila comunisti iscritti al partito, con i quali è solidale tutto il movimento giovanile, forte di più di cinquantamila iscritti. A voi, o lavoratori, giudicare il contegno di costoro, a voi il dire quanto essi siano comunisti, quanto abbiano a cuore le sorti della rivoluzione proletaria. Gli unitari hanno tentato e tentano di far apparire dovuto ad altre e sciocche ragioni il loro distacco dall'Internazionale comunista. Essi affermano che noi avremmo avuto il torto di volere applicare troppo rigidamente gli ordini di Mosca che, secondo loro, non corrisponderebbero alle esigenze della situazione italiana. A ciò noi rispondiamo che l'Internazionale sarebbe una vana parola e nulla più, se non fosse organizzata sulla base della disciplina. Come le sezioni di un partito devono essere disciplinate alla direzione centrale, così i partiti devono esserlo rispetto all'Internazionale. In secondo luogo non si tratta di ordini personali di Lenin o di altri capi del movimento russo, ma delle decisioni di un Congresso, al quale hanno partecipato rappresentanti di tutto il mondo, tra cui cinque italiani, quattro dei quali hanno accettato le decisioni relative all'Italia, coll'opposizione del solo Serrati. Quei compagni, come tutti i comunisti italiani, come tutti quei lavoratori italiani, che ogni giorno sentivano affievolirsi la loro fiducia nel vecchio partito, pensavano che le decisioni di Mosca rispondessero ad un maturo esame ed alle vere esigenze della situazione italiana. Se i comunisti (?) unitari pensano che quelle decisioni non sono convenienti per l'Italia, è perché essi hanno un concetto della rivoluzione che contraddice alle direttive di principio del comunismo internazionale, al pensiero di tutti i veri comunisti del mondo, siano essi italiani, americani o cinesi. Esistono in tutti i paesi coloro che pensano come gli unitari italiani: asseriscono cioè di essere per il comunismo e per la terza Internazionale, ma nella pratica rifiutano di eseguire le decisioni dell'Internazionale, col pretesto che non sono applicabili alle condizioni particolari del loro paese. E sono appunto questi gli avversari più insidiosi dell'Internazionale. Un'altra bugia degli unitari è l'asserzione che le concessioni a loro rifiutate nell'applicazione delle 21 condizioni siano, invece, state accordate dall'Internazionale ai compagni di altri paesi e sopratutto della Francia. La verità è del tutto opposta. Il Partito socialista francese nel recente Congresso di Tours si è dichiarato nella sua maggioranza per l'adesione a Mosca, però la mozione della maggioranza conteneva alcune riserve, tra cui quella di conservare nel partito la minoranza centrista. E' falso che il Comitato esecutivo dell'Internazionale abbia accettato queste riserve. Al contrario, esso inviò al Congresso di Tours un energico telegramma, richiedente l'espulsione dei centristi e l'applicazione integrale delle condizioni di ammissione. La maggioranza del Congresso accettò disciplinata il contenuto del messaggio dell'Esecutivo. Invece gli unitari italiani si sono ribellati alle disposizioni dell'Internazionale, alla quale, a differenza dei Francesi, già erano aderenti. Abbiamo avuto così il primo caso di un partito che abbandona l'Intemazionale dopo esservi entrato a bandiera spiegata: negli unitari italiani la terza Internazionale può così registrare i primi suoi rinnegati. Costoro accampano ancora il proposito di ricorrere al Comitato esecutivo ed al Congresso prossimo dell'Internazionale comunista, per ottenere di essere riconosciuti come tutt'ora aderenti. Poiché in ogni paese non può esservi che un solo partito aderente a Mosca, l'Internazionale dovrebbe per riconoscere gli unitari ripudiare il nostro partito e sconfessare l'atteggiamento da noi tenuto, cosa evidentemente assurda e stranamente contraddicente alla famosa, affermazione espressa da Mosca. Il nostro Partito comunista è e resterà l'unica Sezione italiana dell'Internazionale comunista. Chi non é col nostro partito, sia esso un borghese od un aderente al vecchio partito socialista, é fuori ed é contro la terza Internazionale. I membri del vecchio partito che, con mille menzogne, sono stati indotti a pronunziarsi per la tesi unitaria e ai quali si é promessa l'unità del putito nella terza Internazionale, possono oggi vedere chiaramente la situazione. L'unità del partito non esiste più, avendo esaurito, la sua ragion d'essere, ed essi si troveranno fuori dall'Internazionale comunista, dalla famiglia mondiale dei lavoratori rivoluzionari. Essi possono uscire da questa falsa situazione soltanto abbandonando i capi che li hanno ingannati, e venendo fiduciosi nelle file del Partito comunista. Il Partito comunista d'Italia vi si presenta dunque, o compagni lavoratori, come un prodotto della situazione creatasi in Italia dopo la guerra mondiale e che va svolgendosi, anche più rapidamente che in altri paesi, verso la rivoluzione proletaria. Questo partito comprende in sé le energie rivoluzionarie del proletariato italiano, esso deve rapidamente organizzarsi come l'avanguardia di azione della classe lavoratrice. I suoi principi ed il suo programma vi dicono che il Partito comunista sta sul terreno del pensiero marxista, del comunismo critico, del Manifesto dei Comunisti, così come tutto il movimento dell'Internazionale di Mosca. Gli altri che, chiamandoci anarchici o sindacalisti, si rivendicano continuatori del marxismo, sono invece coloro che lo hanno falsificato. Noi invece, raccogliendo nelle nostre file la maggior parte di coloro che sostennero il valore rivoluzionario del marxismo in Italia, dissentiamo, così come le tesi di Mosca dissentono, dalle teorie anarchiche e sindacaliste pure considerando i proletari anarchici e sindacalisti come nostri amici generosamente rivoluzionari, che finiranno col riconoscere la giustezza delle direttive teoriche e pratiche dei comunisti, mentre invece i riformisti, i socialdemocratici, e tutti quelli che si sentono di convivere con costoro si allontanano sempre più dal comunismo e dalla via della rivoluzione. Il Partito comunista d'Italia si compone dunque di coloro che veramente hanno sentito ed accolto, nella mente e nel cuore, i grandi principii rivoluzionari dell'Internazionale comunista. Nelle sue file sono giovani e vecchi militanti dell'antico partito: esso continua storicamente la sinistra del Partito socialista, quella parte cioè di questo partito che lottò in prima linea contro il riformismo collaborazionista, contro i blocchi elettorali, contro la massoneria, contro la guerra libica, che non solo sostenne la lotta contro i fautori della guerra, ma, che in seno al partito contrastò tenacemente il passo a coloro che alla guerra erano avversi a parole ma, non del tutto scevri da pregiudizi patriottici, tendevano a continue transazioni colla borghesia. E'vero che restano nel vecchio partito taluni che in certi periodi furono estremisti, magari più estremisti di noi, ma costoro o sono esemplari del vecchio fenomeno d'involuzione politica degli individui, o rappresentano i massimalisti che si improvvisarono tali per opportunità elettorale, o, nella ipotesi più benevola, sono individui che si credettero dei comunisti quando ancora non avevano inteso quali siano le differenze vere tra il comunismo e i pregiudizi borghesi e piccolo- borghesi. Il Partito comunista d'Italia inspira il suo indirizzo tattico alle deliberazioni dei Congressi internazionali, e quindi intende avvalersi dell'azione sindacale, cooperativa, elettorale, parlamentare; come di altrettanti mezzi per la preparazione del proletariato alla lotta finale. Attraverso l'intimo contatto con le masse lavoratrici, in tutte le occasioni in cui queste sieno spinte ad agitarsi dall'insofferenza delle loro condizioni di vita, il Partito comunista svolgerà la migliore propaganda dei concetti comunisti, suscitando nel proletariato la coscienza delle circostanze, delle fasi, delle necessità che si presenteranno in tutto il complesso svolgimento della lotta rivoluzionaria. Con la rigorosa disciplina della sua organizzazione interna, il Partito comunista si organizzerà in modo da essere capace d'inquadrare e dirigere sicuramente lo sforzo rivoluzionario del proletariato. La
propaganda, il proselitismo, l'organizzazione e la preparazione
rivoluzionaria delle masse saranno basati sulla costituzione di gruppi
comunisti, che raccoglieranno gli aderenti al partito che lavorano nella
medesima azienda, che sono organizzati nel medesimo sindacato, che,
comunque, partecipino ad uno stesso aggruppamento di lavoratori. Questi
gruppi o cellule comuniste agiranno in stretto contatto con il partito,
che assicurerà la loro azione d'insieme, in tutte le circostanze della
lotta. Con questi metodi i comunisti muoveranno alla conquista di tutti
gli organismi proletari costituiti per finalità economiche e contingenti,
come le leghe, le cooperative, le Camere del lavoro, per trasformarle in
strumenti della azione rivoluzionaria diretta dal Partito. Il Partito comunista non invita quindi i suoi adetenti ed i proletarii che lo seguono ad abbandonare le organizzazioni confederali, bensì li impegna a partecipare intensamente all'aspra lotta che si inizia contro i dirigenti. Non è certo questo breve e facile compito, sopratutto oggi che molti sedicenti avversarii del riformismo depongono la maschera e passano apertamente dalla parte dei D'Aragona, con i quali militano insieme nel vecchio partito socialista. Ma appunto per questo il Partito comunista fa assegnamento sull'aiuto di tutti gli organi Proletari sindacali che conducono all'esterno la lotta contro il riformismo confederale, e li invita, con un caldo appello, a porsi sul terreno della tattica internazionale dei comunisti, penetrando nella Confederazione, per sloggiarne i controrivoluzionarii con una risoluta e vittoriosa azione comune. I membri del Partito comunista, rivestiti di cariche elettive nei comuni, nelle province e nel Parlamento, restano al loro posto con mandato di eseguire la tattica rivoluzionaria decisa dal Congresso internazionale, e con subordinazione assoluta agli organi direttivi del partito. Una parte dei giornali del vecchio partito resta al Partito comunista, tra questi i quotidiani L'Ordine nuovo di Torino e Il Lavoratore di Trieste. Organo centrale del Partito sarà Il Comunista, bisettimanale, pubblicato a Milano, ove ha sede il Comitato esecutivo del Partito. Questo, nelle grandi linee, é il piano d'azione che il Partito comunista si propone, e per l'esplicazione del quale conta sull'adesione entusiastica della parte più cosciente del proletariato italiano. Gli avvenimenti, attraverso i quali il Partito comunista d'Italia si è costituito, dimostrano come esso corrisponda ad una necessità irresistibile dell'azione proletaria, e dimostrano come esso sorga quale unico organo capace di condurre alla vittoria la classe lavoratrice italiana. Il programma di lotta del Partito comunista dimostra che esso soltanto potrà applicare, nell'azione rivoluzionaria, i risultati delle esperienze italiane ed estere della lotta di classe e le deliberazioni dell'lntemazionale comunista. Il vecchio Partito socialista, nel Congresso di Livorno, ha perduto nello stesso momento le energie e l'audacia della sua parte più giovane, ed il migliore contenuto dell'esperienza delle sue lotte passate, che si riassume nell'affermazione di quel metodo rivoluzionario, di cui oggi il rappresentante é il Partito comunista! Il vecchio Partito socialista, nel Congresso di Livorno, ha scelto la via fatale che ha come ultimo sbocco la controrivoluzione. Esso è squalificato dinanzi agli occhi del proletariato italiano, ed è destinato, d'ora innanzi, a vivere solo delle pericolose simpatie borghesi, il cui coro già si eleva intorno ad esso. E' il partito in cui la destra coi suoi Modigliani ed i suoi D'Aragona, é moralmente padrona, e gl'intransigenti rivoluzionari, i massimalisti, i comunisti di ieri, recitano la parte di servitori del riformismo. Lavoratori italiani! Il vostro posto di battaglia é col nuovo partito, é nel nuovo partito. Attorno alla sua bandiera, che é quella della Internazionale, dei lavoratori rivoluzionarii di tutto il mondo, dovete stringervi per la grande lotta contro lo sfruttamento capitalistico. Il Partito comunista d'ltalia, nel chiamarvi a raccolta per le battaglie della rivoluzione sociale, si sente in diritto di salutare a nome vostro i lavoratori di tutto il mondo, inviando all'lntemazionale comunista di Mosca, invincibile presidio della rivoluzione mondiale, il grido entusiasta di solidarietà dei proletari e dei comunisti italiani. Contro tutte le resistenze del sistema, sociale borghese, contro tutte le insidie dei falsi amici del proletariato, contro tutte le debolezze e le transazioni, avanti per la vittoria rivoluzionaria, al fianco dei comunisti del mondo intero! Abbasso i rinnegati ed i traditori della causa proletaria! Viva la III Intemazionale comunista! Viva la rivoluzione comunista mondiale! Il Comitato Centrale del Partito comunista d'Italia (Il Comunista 30 gennaio 1921)
Tratto
integralmente dal volume: Testi delle Edizioni l'Internazionale disponibili come il primo sopra al seguente indirizzo: -20154- Milano. Piazza Morselli, 3 2.
La lotta del partito comunista
d'Italia (1921-22) ---Testo
curato con
le: EDIZIONI L’INTERNAZIONALE---
BARI 21 GENNAIO 2011 le iniziative per ricordarlo Associazione politico-culturale MARX XXI 21 gennaio 1921 da Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Comunista_d'Italia ....Dopo sei giorni di discussioni, il 21 gennaio 1921 al teatro Goldoni di Livorno, il presidente del Congresso socialista Giovanni Bacci comunica l'esito della consultazione:
Bordiga, a nome della mozione comunista, dichiara che così il Psi si è posto fuori dal Comintern e invita chi ha votato la mozione di Imola a confluire al teatro San Marco per costituire il Partito Comunista d'Italia: avviene così la scissione di Livorno. Il I Congresso del Pcd'I non dura molto e sarà più la passerella di comunisti italiani e stranieri (come Jules Humbert-Droz per la Svizzera) e vedrà Fortichiari proporre lo scioglimento della frazione comunista perché «ha esaurito il suo compito», Ortensia Bordiga portare il saluto delle donne comuniste e Polano annunciare che la Fgsi aderisce al nuovo partito. Il 27 gennaio, infatti, la Fgsi quasi all'unanimità muterà nome in Federazione Giovanile Comunista d'Italia (Fgcd'I). Nel pomeriggio del 21 è poi approvato il nuovo statuto che introduce la dicliplina ferrea e centralizzata di partito, come sempre auspicato da Lenin. Il nuovo Comitato Centrale conta appena 15 membri di cui 5 costituiscono il Comitato Esecutivo che risiederà a Milano e continuerà a pubblicare il bisettimanale Il Comunista che dall'11 ottobre successivo sarà quotidiano. Nel Ce del Pcd'I il lavoro è collegiale, tuttavia è evidente che il capo indiscusso e Bordiga che con Terracini e Ruggero Grieco costituisce il nucleo politico e organizzativo vero e proprio; Repossi dirige il Comitato Sindacale, mentre a Fortichiari va il cosiddetto «Ufficio 1°» o lavoro «illegale».... Alleghiamo una serie di contributi ricevuti per ricordare la nascita del Partito Comunista CONTRIBUTO DI PIATTAFORMA COMUNISTA 21
gennaio 1921 - 21 gennaio 2011: 90° anniversario della costituzione del Partito Comunista d'Italia – Sezione della III
Internazionale Comunista Oggi come ieri
è necessaria una rottura completa e definitiva
con il riformismo e l'opportunismo per fondare un
vero partito comunista Ai
sinceri comunisti, ai proletari e ai giovani rivoluzionari d’Italia! Novanta anni
fa, a Livorno, fu costituito il Partito Comunista d’Italia (P.C.d'I.).
Questo evento si produsse sulla base di grandi avvenimenti storici, grazie
alla lotta condotta dalle componenti di ispirazione comunista, riunite in
frazione all'interno del PSI, e sotto la spinta dell’Internazionale
Comunista, che formulò
le condizioni necessarie per l'ammissione dei partiti nazionali. Con la
formazione del proprio partito indipendente e rivoluzionario, il movimento
operaio italiano uscì dalla “preistoria” ed entrò in una nuova fase,
nella quale l’obiettivo divenne la preparazione ideale e materiale alla
lotta rivoluzionaria per la conquista del potere, l’instaurazione della
dittatura del proletariato e la costruzione del socialismo. Il P.C.d’I.
nacque in un momento critico, separando la parte più avanzata e cosciente
del proletariato dal riformismo e dal massimalismo (l'opportunismo di
allora). Il partito fu
subito aggredito da tutti i lati. L'adesione ai principi del marxismo, del
leninismo e dell’internazionalismo proletario, la ferrea disciplina,
costituirono la garanzia indispensabile nella dura lotta contro la
borghesia e i suoi servi. Con la
direzione di Antonio Gramsci e la guida dell'Internazionale, il
bolscevismo si fece strada nella linea e nell'organizzazione del partito,
furono elaborate la strategia e le tattiche necessarie per la conquista
del potere da parte della classe operaia e dei suoi alleati, crebbe la
capacità di analisi, di iniziativa politica, l'influenza in ampi strati
del proletariato e delle masse popolari. Le gloriose
lotte contro il fascismo, nella guerra civile di Spagna, durante la
Resistenza, fecero acquisire al partito forza e solidi legami con le
masse, fornendo per contro alle masse sfruttate ed oppresse una guida
ideologica, politica ed organizzativa nella lotta per la nuova società. Insegnamenti
per l'oggi La borghesia,
i rinnegati del comunismo, coloro che hanno abbandonato la causa del
proletariato, si sforzano di condannare, di denigrare, di far dimenticare
alle masse sfruttate l’importanza storica della fondazione del P.C.d’I. Lo
“strappo” dall’opportunismo e dal gradualismo riformista, l'adozione
del marxismo, del leninismo, del loro metodo rivoluzionario, mantengono
invece per intero il loro significato e la loro validità. Quali sono i
tratti essenziali di quella esperienza che oggi poniamo all'attenzione di
tutti i proletari e i rivoluzionari del nostro paese?
a) Alla base
della costituzione del P.C.d'I. ci fu la lotta di principio contro i
Turati, i Treves, i Modigliani, i D’Aragona, che non furono mai dei
rivoluzionari, ma degli esponenti del riformismo, del pacifismo borghese e
del socialpatriottismo; e fu una lotta di principio anche contro
l'operaismo massimalista di Lazzari e il centrismo opportunista di
Serrati. Quali che fossero le loro posizioni di destra o di sinistra,
quegli uomini difendevano - soggettivamente od oggettivamente - gli
interessi della borghesia “meglio degli stessi borghesi”
(Lenin). La prima condizione della costituzione del partito fu dunque la
separazione su tutta la linea da ogni forma di opportunismo.
La fondazione del P.C.d'I. dimostra che finché si
hanno nelle proprie file i rappresentanti del riformismo, della
socialdemocrazia e dell'opportunismo di destra e di “sinistra”, non si
può avere nessuna prospettiva di abbattimento rivoluzionario del dominio
borghese.
Oggi in Italia i riformisti, gli opportunisti, sono i
Bersani, i D'Alema, i Vendola, i Ferrero, i Diliberto, i Salvi, i Rizzo,
sono i vertici sindacali; sono i trozkisti e gli estremisti che ripetono
frasi rivoluzionarie avulse dalla situazione concreta, sono gli
intellettuali piccoli-borghesi che negano la concezione del mondo
proletaria e non sanno uscire dalla dimensione morale della lotta contro
il capitalismo. Senza una
definitiva rottura, politica, ideologica e organizzativa con costoro,
senza distanziarsi da tutti i tentativi di resuscitare i cadaveri
dell'opportunismo, con il loro guazzabuglio di posizioni ideologiche e
politiche che nulla hanno a che vedere col marxismo rivoluzionario e col
leninismo, non è possibile creare un vero partito comunista, non è
possibile dar vita a una coerente politica comunista, che concepisce le
riforme come un prodotto collaterale della lotta rivoluzionaria di classe.
“Prima dividersi, ossia dividere l'ideologia rivoluzionaria dalle
ideologie borghesi (socialdemocrazia di ogni gradazione); poi unirsi,
ossia unificare la classe operaia intorno all'ideologia rivoluzionaria”,
scriveva Gramsci.
b)
Il P.C.d'I. fu il distaccamento organizzato di una sola classe, la classe
operaia, l’unica classe veramente rivoluzionaria della società per il
ruolo che occupa nella produzione sociale. Finché rimase su posizioni
rivoluzionarie il partito non perse mai di vista il suo obiettivo
fondamentale, la ragione stessa della sua esistenza: dirigere la classe
operaia alla conquista del potere politico, per abolire la schiavitù
salariata e costruire un nuovo modo di produzione fondato sulla proprietà
sociale dei mezzi di produzione e di scambio. Oggi
invece vediamo che gran parte delle forze e dei partiti che si definiscono
comunisti hanno sostituito i generici “movimenti” al proletariato come
loro referente sociale e non sanno andare oltre il più trito riformismo.
Nei loro programmi è assente l'abolizione del capitalismo, la dittatura
del proletariato, la demolizione rivoluzionaria del sistema borghese, che
anzi – liberato dai suoi aspetti negativi più macroscopici – è
accettato come il terreno stesso su cui deve compiersi il progresso
sociale. Si tratta di un vero e proprio asservimento alla borghesia,
spacciato per marxismo. c) Il partito, fin dalla sua nascita, si caratterizzò per la
lotta teorica e politica contro le deviazioni dal marxismo e dal
leninismo, per conquistare la massima omogeneità ideologica dei suoi
dirigenti e militanti. Sotto la guida della III Internazionale e
attraverso la “bolscevizzazione”, fu raggiunta l’unità
ideologico-politica, lottando in particolare contro l’opportunismo e
l'estremismo. Questa unità fu, come lo è per tutti i partiti comunisti,
la principale condizione per lo sviluppo e i successi del partito. E’
necessario sottolinearlo con la massima decisione, poiché esistono forze
che dicono di volere il partito negando o sottovalutando la necessità
della compattezza e della saldezza teorica, politica ed organizzativa
marxista-leninista, della disciplina e di una direzione centralizzata e
coesa. In
tal modo si cerca di attenuare e di negare la differenza di principio fra
comunismo e riformismo, di indebolire la critica alla socialdemocrazia in
quanto ideologia e pratica della collaborazione di classe con la
borghesia, la critica allo spontaneismo e all'economicismo che svalutano
la funzione decisiva del partito. Senza una salda base ideologica, senza
unità sui principi e nella pratica non vi può essere partito comunista. d)
Fin dai suoi primi anni di vita il P.C.d'I. si pose il problema del
costante legame con le masse, della conquista della maggioranza della
classe operaia, della necessità di mantenersi alla sua testa in ogni
circostanza e situazione. Ciò implicò la lotta nelle associazioni di
massa, nei sindacati confederali, la partecipazione e l’impegno nelle
lotte a carattere parziale, l’elaborazione di un programma di
rivendicazioni immediate, nella consapevolezza che solo con la rivoluzione
le condizioni dei lavoratori sarebbero cambiate. All'interno di questo
lavoro, il compito fondamentale fu quello di promuovere e attuare un
fronte unico di lotta del proletariato, basato su organismi di massa. Il
P.C.d'I. ha sempre lavorato per raggiungere l'unità di lotta della classe
operaia, da realizzare sulla base di organismi rappresentativi di tutta la
massa. Questa
preziosa indicazione rappresenta nell'attuale momento storico il
principale compito immediato del movimento comunista ed operaio, che deve
sforzarsi di dar vita ad un potente fronte unico di lotta della classe operaia contro l'offensiva
capitalista, la reazione politica e le minacce di guerra imperialista. I
comunisti devono essere alla testa della lotta per l'unità della classe
operaia e di tutti i settori sociali e politici interessati a combattere
contro l’oppressione politica e sociale, operando allo stesso tempo per
la più netta separazione dai loro nemici. La
lotta al revisionismo è sempre attuale Purtroppo
oggi, in Italia, non c'è più un autentico partito comunista, essendo
stato distrutto dal revisionismo. Con l'VIII° Congresso del 1956,
Togliatti e il gruppo dirigente del PCI, sotto la pressione
dell'imperialismo statunitense e sull’onda della restaurazione
kruscioviana, bruciarono le tappe nel processo di degenerazione del
partito e di integrazione nell'ordinamento capitalistico italiano. Dall’illusoria
e fallimentare “via italiana verso il socialismo” al “compromesso
storico” di Berlinguer, dalla “svolta” liquidatrice di Occhetto fino
all’approdo al Partito Democratico, esiste un filo conduttore: è la
rinuncia alla via rivoluzionaria e l’adesione totale all’ordine
capitalista, dapprima in nome del moderno revisionismo, poi del
social-liberismo. Il
togliattismo, la strategia del conseguimento del “socialismo”
attraverso la Costituzione borghese, l'attacco a Stalin, non sono
scomparsi con l’autoliquidazione del PCI revisionista. Sono ancora oggi
parte integrante della sostanza teorica e programmatica di molti partiti e
formazioni politiche pseudo-comuniste. Allo stesso
tempo il revisionismo ha assunto nuove forme, si è combinato con le
correnti piccolo-borghesi, dando vita a tendenze ostili al comunismo,
quali il cosiddetto “socialismo del XXI secolo” che si presenta
ingannevolmente come un passo in avanti, ma in realtà è un ritorno
all’utopismo pre-marxista, o altre che teorizzano l'instaurazione di
un'economia pianificata in assenza della rivoluzione, della presa del
potere, della dittatura del proletariato. La lotta per
la formazione di un autentico partito comunista nel nostro paese, non può
avanzare senza allontanarsi dal pantano del revisionismo, senza combattere
contro chi vuole finirvi dentro, senza marciare sulla via tracciata da
Marx, Engels, Lenin e Stalin. Entriamo
in un nuovo periodo Fino a
qualche anno fa, in corrispondenza con il crollo del revisionismo
sovietico, la necessità del partito comunista veniva considerata una
bestemmia. Gli ideologi della borghesia e i loro tirapiedi riformisti
dichiaravano che la rivoluzione era una cosa morta e seppellita, che
l'umanità era arrivata alla "fine della storia”, che il
capitalismo era capace di svilupparsi senza crisi.
Sono bastati pochi
anni per veder crollare queste falsità. La crisi capitalistica
internazionale più grave degli ultimi ottanta anni, le sue drammatiche
conseguenze economiche, sociali e politiche, il continuo degrado
ambientale, morale, culturale, dimostrano che il capitalismo è un
ostacolo al progresso umano, che è incompatibile con la natura e
pertanto deve essere abbattuto. All’interno
della crisi attuale, assieme all’inasprimento di tutte le
contraddizioni del capitalismo monopolistico, procede la decomposizione
e il declino dell'imperialismo italiano. La borghesia, che ha esaurito
la sua funzione storica, sta esasperando tutti i problemi della società.
Essa non può più offrire alcuna prospettiva di miglioramento ai
lavoratori, alcun futuro per le giovani generazioni. La cricca di
banditi al potere per sopravvivere può solo aggravare lo sfacelo
economico, il parassitismo, la corruzione, la criminalità, la
devastazione del territorio, l'oscurantismo religioso, la spaccatura fra
Nord e Sud, può solo avanzare nella trasformazione reazionaria delle
istituzioni borghesi ed accrescere l'oppressione delle masse
lavoratrici. Questa
situazione fa sì che, come in molti altri paesi, anche in Italia
la lotta di classe è in ripresa. La classe operaia sta uscendo dalla
fase del ripiegamento, del riflusso. Va riprendendo fiducia nelle sue
forze, va man mano liberandosi dal periodo di confusione e sbandamento,
in cui le pesanti sconfitte dei decenni passati l’avevano gettata. Le
posizioni rivoluzionarie guadagnano terreno. Il
riformismo, il “dialogo sociale”, la concertazione, sono falliti e
non potranno risollevarsi poiché non esistono più le condizioni
economiche di tali politiche. Una conseguenza di ciò è che la base
operaia dei sindacati e dei partiti socialdemocratici e riformisti si
radicalizza, subendo i colpi della crisi e vedendo il vero volto del
capitalismo, mentre i dirigenti collaborazionisti ed opportunisti vanno
a destra, sabotando l’unità di azione dei proletari, per
salvaguardare il sistema che garantisce i loro privilegi. Mentre la
crisi perdura e si aggrava, tra i lavoratori scompare l'illusione sulle
“magnifiche sorti e progressive” del capitalismo ed appare sempre più
evidente la direzione rovinosa dei partiti opportunisti, riformisti e
socialdemocratici, dediti alla difesa del sistema di sfruttamento ed
oppressione di miliardi di donne e di uomini. Assieme allo
sviluppo delle proteste e delle mobilitazioni di massa per rifiutarsi di
pagare la crisi, vediamo un risveglio politico. Torna a porsi la
necessità di una via di uscita positiva dalla situazione attuale, di
un'alternativa rivoluzionaria, di un'urgente, profonda e radicale
rottura politica con l'ordinamento vigente per mettere fine ai mali
endemici del capitalismo e trasformare la società. Il
capitalismo si decompone e si profilano grandi battaglie di classe, in
cui il dilemma che si porrà sarà: dittatura dell’oligarchia
finanziaria o dittatura del proletariato? Di
conseguenza anche in Italia il baricentro della lotta
si sposterà sempre più dal Parlamento alle fabbriche e alle piazze.
Pensare di poter affrontare questo nuovo periodo, in cui la lotta di
classe del proletariato si svilupperà in condizioni particolarmente
dure e difficili, pensare di aprire brecce nel regime che ci opprime con
i vecchi partiti socialdemocratici e riformisti, abituati
all'elettoralismo e al cretinismo parlamentare, al pacifismo imbelle,
vuol dire rassegnarsi alla sconfitta. Senza
partito, la resistenza della classe operaia e delle masse sfruttate ai
disegni dei monopoli capitalisti rimarrebbe senza orientamento e
direzione politica, senza prospettiva rivoluzionaria, senza coscienza
della sua funzione e dei suoi scopi. In mancanza di un
partito comunista non si può nemmeno parlare di conquista del potere da
parte della classe operaia, ma ci si deve accontentare di trascinarsi
alla coda del movimento spontaneo. E' in questo
contesto che diventa sempre più seria l'importanza di un partito
proletario indipendente e rivoluzionario, basato sul movimento operaio.
La ricostruzione di questo partito è un’esigenza cruciale che viene
sentita da nuclei di operai d’avanguardia e da molti militanti
comunisti, isolati o sparsi fra le varie organizzazioni e forze
politiche. E'
l'offensiva stessa dell'imperialismo che non lascia margini, che rimette
sul tappeto la questione ineludibile del partito politico della classe
operaia, strumento indispensabile per concentrare le energie
rivoluzionarie, inquadrare e dirigere gli sforzi del proletariato, per
portare alla vittoria la rivoluzione sociale. Avanti
sulla strada del Partito! Questa
storica esigenza, per quanto negata, boicottata e ostacolata in mille
modi dalla borghesia e dagli opportunisti, può e deve compiere passi
avanti sulla base di saldi principi, applicati alla realtà, e della
lotta comune. Perciò ci
rivolgiamo agli elementi migliori del proletariato, ai giovani
rivoluzionari, agli intellettuali onesti, ai sinceri comunisti che
militano nelle organizzazioni rivoluzionarie e a quelli che sono ancora
iscritti ai partiti socialdemocratici ed opportunisti affinché agiscano
di conseguenza, rompendo nettamente, completamente e definitivamente con
il riformismo e l'opportunismo, col settarismo e col dottrinarismo, con
la frammentazione e l'autoreferenzialità, per condurre insieme ai
marxisti-leninisti la lotta per il partito comunista ed il socialismo
proletario. Tutti coloro
che sostengono la completa indipendenza dalla borghesia e attuano una
scissione completa con la socialdemocrazia, il riformismo, il
revisionismo, che propugnano l'egemonia della classe operaia nel
processo rivoluzionario, che riconoscono la necessità dell'abbattimento
rivoluzionario del dominio della borghesia e della instaurazione della
dittatura del proletariato, che accettano il principio organizzativo del
centralismo democratico, che difendono il marxismo-leninismo come
espressione teorica degli interessi del proletariato, sono tenuti a
collegarsi ed avviare fin da subito un lavoro in comune per avvicinare
la fondazione di un autentico partito comunista quale reparto di
avanguardia organizzato e cosciente del proletariato, indissolubilmente
legato al movimento comunista internazionale. Un movimento che ha la sua
espressione più organica e coerente nella Conferenza Internazionale di
Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti. Piattaforma
Comunista, che non si autoproclama partito e non è componente
interna ad altre forze, ma agisce in maniera indipendente sulla base del
suo programma politico, ha per compito principale la lotta per la
formazione di un forte partito comunista della classe operaia. A tal
fine contribuisce a chiarirne i presupposti teorici, politici,
programmatici ed organizzativi, dà impulso all'unificazione del
movimento comunista del nostro paese, partecipa alle lotte quotidiane
per sostenerle ed elevare il livello di coscienza degli operai.
Perciò invita i migliori elementi del proletariato a partecipare alla
sua attività per rafforzarla ed estenderla, svolgendo un ruolo sempre
più incisivo nel processo di ricostruzione del partito. Allo stesso
tempo propone a tutti i gruppi, le organizzazioni e i singoli comunisti
che si collocano sul terreno del marxismo-leninismo di compiere
passi avanti. E’
necessario far progredire il confronto e l'unità attraverso incontri ed
accordi politici ed ideologici che, assieme alla critica e
all’autocritica, alla realizzazione dell'unità di azione, al legame
sempre più stretto con gli elementi più coscienti ed avanzati della
classe operaia, ci permetteranno di avvicinare la fondazione di un
partito comunista degno di questo nome, capace
di assumere le proprie responsabilità storiche. Al lavoro,
compagni, col massimo impegno. Con il Partito avremo tutto, senza il
partito niente! Gennaio 2011
Piattaforma Comunista
Leggete Scintilla
e Teoria & Prassi Sito web:
www.piattaformacomunista.com Per
contatti: teoriaeprassi@yahoo.it
contributo da RIVOLUZIONE
COMUNISTA Cronistoria PCd’I (1921-1926) ( III )
Ricordiamo
il 21 gennaio, data di fondazione del Partito Comunista d'Italia (1921),
proseguendo nella pubblicazione della terza puntata della cronistoria
del comunismo rivoluzionario in Italia.
Il PCd’I nacque in
un momento di riflusso della rivoluzione. Non si trattava più di
condurre il proletariato all’insurrezione, ma di dirigere la ritirata
per evitare lo sfacelo, organizzare la resistenza armata contro il
fascismo in vista della successiva ripresa della lotta rivoluzionaria. Il
Congresso costitutivo elesse un Comitato centrale composto di 15 membri,
di cui otto appartenenti alla frazione astensionista (Bordiga, Grieco,
Fortichiari, Repossi, Parodi, Polano, Sessa, Tarsia), cinque alla
corrente massimalista (Belloni, Bombacci, Gennari, Marabini, Misiano),
due all’Ordine Nuovo (Gramsci, Terracini). La direzione effettiva
venne affidata ad un comitato esecutivo composto da Bordiga, Fortichiari,
Grieco, Repossi, Terracini. Questa direzione rivoluzionaria, chiamata
“La Centrale”, ha potuto operare secondo le proprie convinzioni fino
allo sciopero dell’agosto 1922. Dopo di esso, la direzione effettiva
passa all’Internazionale Comunista che imposta tutta l’attività
sull’unione coi socialisti (“tattica del fronte unico”).
1921
(marzo) Tentativo insurrezionale in Germania (“azione di marzo”). (primavera) A Torino, in seguito all'annunciato licenziamento di più di mille operai, le maestranze Fiat e Michelin entrano in sciopero. Gli industriali rispondono con la serrata degli stabilimenti e l'agitazione si conclude, agli inizi di maggio, con la sconfitta delle organizzazioni sindacali e il licenziamento di più di 3.500 lavoratori, tra cui numerosi militanti comunisti e dirigenti delle commissioni interne. Ben presto le serrate ed i licenziamenti si diffondono nelle industrie di tutti i più importanti settori produttivi del paese, allargandosi a tutta la penisola. Nella pianura padana l'iniziativa dei proprietari terrieri si sposa con le sempre più frequenti gesta fasciste. Il risultato fu il proliferare di iniziative che sempre più sovrappongono motivazioni economiche alla violenza antisocialista. Nel giro di pochi mesi - ricorda Paolo Spriano - "vengono saccheggiate 119 camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 141 sezioni e circoli socialisti e comunisti, 100 circoli di cultura, 28 sindacati di categoria" (pp. 122-138). (24 maggio) I comunisti guidano a Roma la resistenza popolare di Borgo San Lorenzo contro lo squadrismo fascista. (giugno) Al Terzo Congresso dell’IC, Lenin e Trotski sostengono la necessità della nuova parola d’ordine del “fronte unico” (coi socialisti); le correnti di sinistra dei vari partiti comunisti europei, tra cui il PCd’I, la respingono. Terracini, in rappresentanza della “Centrale” italiana, sostiene la “teoria dell’offensiva” (in termini spiccioli, la miglior difesa è l’attacco)[1]. (2 luglio) Nasce il movimento degli Arditi del Popolo, da una scissione dell’associazione Arditi d’Italia (ispirata a Nitti e D’Annunzio), diretta dal tenente Argo Secondari. (7 agosto) Il PCd’I prende posizione sugli Arditi del Popolo sull’organo centrale Il Comunista, richiamando alla disciplina i compagni che avevano appoggiato le iniziative degli Arditi, sostenendo che “L’inquadramento militare proletario… deve essere a base di partito”. (9 ottobre) Si forma la Frazione terzinternazionalista del PSI (Lazzari, Maffi, Riboldi, Zanetta, Trevisani, Corbetta), col nome di “Gruppo massimalista per la Terza Internazionale”, sulla base dell’adesione alla tattica del “fronte unico”. Verranno chiamati “terzini”. (ottobre) Al congresso del PSI, tenutosi a Roma, Serrati si allea coi terzini ed espelle i riformisti, i quali formano il PSU. (9 novembre) Una squadra fascista, in arrivo a Roma per il congresso del PNF, spara a Termini sui ferrovieri. Il Comitato di Difesa Proletaria proclama lo sciopero generale a Roma e provincia; che, sotto la pressione dei comunisti, viene trasformato in sciopero a oltranza fino allo sgombero totale degli squadristi da Roma. Lo sciopero dura 5 giorni e si estende ai ferrovieri di Ancona e del Sud. Il 14 gli squadristi, dopo violenti scontri con operai armati, debbono lasciare la città. Quattro operai restano uccisi e 115 feriti, di cui 44 comunisti. (21 dicembre) L’Esecutivo dell’IC elabora 25 tesi sulla “tattica del fronte unico”, cioè dell’alleanza tattica tra comunisti e socialisti (che verranno approvate ufficialmente dal Quarto Congresso del novembre-dicembre 1922). 1922 (8-19 febbraio) Si tiene a Roma il congresso costitutivo dell’Alleanza del Lavoro, sorta di patto federativo tra il Sindacato Ferrovieri Italiani (SFI), Confederazione Generale del Lavoro (CGdL), Unione Sindacale Italiana del Lavoro, Unione Sindacale Italiana (USI), e Federazione Nazionale Lavoratori dei Porti. I comunisti accettano di collaborare con essa, in applicazione della tattica del “fronte unico” (ma solo sindacale), senza grandi conseguenze sul piano dell’iniziativa di lotta.
(3 febbraio) Bordiga e altri membri del C.C. vengono arrestati e reclusi
nelle carceri fasciste (in tutto quasi tutti i membri del CC, 72
segretari federali, 41 segretari giovanili provinciali). In seguito
(ottobre) verranno processati per “complotto contro lo Stato”. In
tale occasione inizia il lavorìo dell’Internazionale Comunista per
esautorare la maggioranza di sinistra e consegnare il partito in mano
alla minoranza di centro, allineata alle posizioni di Mosca (Gramsci,
Togliatti, Scoccimarro). Il Terzo Esecutivo Allargato dell’I.C.
sostituisce la direzione incarcerata a febbraio con una nuova direzione
provvisoria, nominata a Mosca (Gramsci presente e d’accordo):
Togliatti e Scoccimarro, al momento, non si adeguano.
(5 marzo) Il CE del PcdI (di fatto, Grieco e Terracini) coopta come suoi membri provvisori Togliatti e Scoccimarro, escludendo Fortichiari e Repossi (colpiti da mandato di cattura); e chiama a far parte del CC, con Scoccimarro, anche Camilla Ravera e i due destri, Tasca e Graziadei (il tutto dietro pressione di Rakosi (l’inviato del Comintern). (31 marzo) Viene arrestato anche Grieco, a Milano. (aprile) Terracini, su proposta di Gramsci (da Mosca), viene spostato a Mosca, a causa della sua lettera 8/3/1923 di critica alla proposta fusionista PCd’I-PSI di Zinoviev. La direzione effettiva del partito passa nelle mani di Togliatti, il quale opererà a Milano, coadiuvato dalla Ravera, Rita Montagnana, Giuseppe Amoretti, Alfonso Leonetti e Felice Platone. (maggio) Vengono arrestati i membri della segreteria della F.G.C. (Berti, Longo, Guermandi e Cassitta). In tutto cadono nelle retate circa 5.000 comunisti. (18 maggio) Gramsci scrive a Togliatti che occorre: “creare nell’interno del partito un nucleo, che non sia una frazione, di compagni che abbiano il massimo di omogeneità ideologica”. (maggio-giugno) Circola nelle fila del partito il “Manifesto” di Bordiga, col quale si difende le posizioni assunte dalla direzione di sinistra, da Livorno in poi. (12 giugno) Nella seduta dell’Esecutivo Allargato dell’Internazionale, Tasca conclude la propria relazione di minoranza del PcdI, chiedendo di essere chiamato a sostituire l’attuale direzione del partito. La “commissione per la questione italiana” dell’E.A.[3] sostituisce la direazione incarcerata con un nuovo Comitato Esecutivo, composto da Fortichiari, per la sinistra, che rifiuta (sostituito da Gennari, vicino al centro gramsciano); Scoccimarro e Togliatti per il centro; Tasca e Vota per la destra. La commissione invita il PCd’I a cercare un’alleanza politica col PSI e a promuovere un’azione coerente per unire in un solo fronte le forze proletarie italiane. (12 luglio) Si riuniscono informalmente i rappresentanti della maggioranza del CC (Fortichiari, Terracini, Leonetti, Ravera, Togliatti). Essi concordano di trasformare la maggioranza in frazione, e di porre a capo della stessa Bordiga. Questi non accetta, rifiutandosi di avallare posizioni di centro e, protestando per l’esclusione dal CE nominato dall’E.A. del’I.C., si dimette dal Comitato Centrale (seguito da Grieco e Fortichiari) (9 agosto) Il CC del PCd’I respinge le dimissioni dal CC inviata per protesta da Bordiga, Grieco, Fortichiari. La maggioranza boccia sia l’intervento di Rakosi, di appoggio alla minoranza di centro, sia quello di Graziadei, di critica alla scissione di Livorno (perché “troppo a sinistra”). (11 agosto) Bordiga tronca la corrispondenza con la nuova dirigenza del P.C.d’I. A questo punto, gli schieramenti interni nel PCd’I sono: Bordiga, Grieco e Fortichiari, per la sinistra (ancora maggioranza del partito); Togliatti, Ravera, Leonetti, Scoccimarro, Terracini, per il centro, ispirato da Gramsci (maggioranza del C.C.); Tasca, Vota e Graziadei, per la destra (minoranza nel CC e nel partito)[4] (21 settembre) Vengono arrestati a Milano: Togliatti, Leonetti, Tasca, Montagnana, Gennari, Teresa Noce e Caterina Piccolato. Denunciati per complotto contro la sicurezza dello Stato, saranno prosciolti in istruttoria dopo 3 mesi di carcere preventivo. (ottobre) Ultimo tentativo insurrezionale in Germania, e sua disfatta. Inizio del declino della rivoluzione in Europa. “Ristabilizzazione” temporanea del capitalismo a livello internazionale, grazie al “piano Dawes” degli Usa. Il capitalismo va verso una forte ripresa e pone le premesse per una colossale crisi di sovrapproduzione. Sul piano strutturale si forma un nuovo assetto economico, basato sull’interventismo e il monopolismo di Stato. “Crisi delle forbici” in Russia (operai e contadini entrano in frizione acuta). La “troika” è messa sotto accusa da Trotski e dalla “piattaforma dei 46”. (18 ottobre) Inizia a Roma il “processo ai comunisti” arrestati a febbraio. Il Tribunale manderà tutti assolti, tranne Corazzoli condannato a 4 mesi di carcere (di cui 3 condonati) per detenzione illegale di una rivoltella. (dicembre) Bordiga, uscito dal carcere, stila una “lettera aperta”, che viene sottoscritta da tutti i componenti della vecchia maggioranza del C.C., tranne che da Gramsci.
1924
(gennaio)
Gramsci rompe gli indugi, e s’impegna a seguire le direttive dell’IC
(rappresentata in Italia da Humbert Droz) per formare una frazione
centrista tra la sinistra di Bordiga e la destra di Tasca, e stabilire
rapporti amichevoli con la frazione dei “terzini” [5].
1925
1926
(gennaio) Terzo Congresso (clandestino), a Lione (Francia). Il centro gramsciano elimina definitivamente la sinistra, trasforma in programma la nuova linea e rompe completamente col PCd’It. Col congresso di Lione finisce, nella forma e nella sostanza, il P.C.d’It. E al suo posto si trovano due distinti e opposti movimenti: il Partito Comunista Italiano e la Sinistra Comunista. Il primo proiettato verso l’interclassismo e il trasformismo; il secondo ancorato al programma rivoluzionario. Con ciò si conclude la prima tappa del percorso comunista.
Bordiga potrà, grazie alla sua carica, intervenire al sesto Esecutivo allargato dell’I.C., ove ha solo la possibilità di denunciare la politica nazionalista di Stalin e i gravi rischi per l’Internazionale.
Bordiga e Gramsci vengono arrestati e inviati al confino a Ustica. Con l’arresto di Gramsci la guida di fatto passò a Togliatti, che rafforzò ulteriormente i rapporti con l’Unione Sovietica.
(5
novembre) Il PCd’I. viene soppresso dal regime fascista. Il partito
venne ricostituito clandestinamente, in parte rimanendo in Italia, dove fu
l’unico partito antifascista ad essere presente seppure a livello
embrionale, in parte emigrando all’estero verso la Francia e l’URSS. Bibliografia
-
La lotta del Partito comunista d’Italia (1921-1922). Strategia e tattica
della rivoluzione. Edizioni l’Internazionale, Milano 1984. [1] "Quando si parla di teoria dell'offensiva [...] si vuole sottolineare che una tendenza dinamica sostituirà quella statica che finora aveva messo radice in quasi tutti i partiti comunisti della III Internazionale. Con la formula della teoria dell'offensiva si contraddistingue il trapasso dal periodo dell'inattività a quello dell'attività" (Intervento di Terracini al III Congresso dell'Internazionale comunista, in "Protokoll des III Kongressess der Kommunistischen Internationale", reprint Feltrinelli 1967, p.508). [2] La Parte Prima s’intitola: “Natura organica del Partito Comunista”. Nella Tesi 4 si spiega: “La proclamazione di queste dichiarazioni programmatiche come la designazione degli uomini a cui si affidano i vari gradi della organizzazione di partito si svolgono formalmente con una consultazione a forma democratica di consessi rappresentativi del partito, ma devono in realtà intendersi come un prodotto del processo reale che accumula gli elementi di esperienza e realizza la preparazione e la selezione dei dirigenti dando forma al contenuto programmatico ed alla costituzione gerarchica del partito.” Da qui partiranno tutte le elucubrazioni su “…un partito che non sarà più una semplice forma organizzativa, ma una vera e propria anticipazione organica della società futura, quindi senza più centralismo gerarchico, elezioni interne, concezione personalistica della funzione dei capi, ecc. ecc. ovvero completamente esente dalle caratteristiche della società attuale. Un partito che dovrà essere nello stesso tempo l'organo della classe e lo strumento più affinato che l'umanità si sia mai data per assolvere al passaggio da una forma sociale ad un'altra.” (La peculiarità della Sinistra Comunista “italiana” e il suo tormentato retroterra storico, N+1, Rivista n.12, settembre 2003). Il partito non è l’organo e basta, bensì l’organo di lotta politica, di classe. Non anticipa un bel niente, questa è pura metafisica mascherata di belle intenzioni comunistiche. “La
concezione secondo cui il partito dovrà assumere i compiti specifici
della società futura più che affondare in una risposta quotidiana alle
sollecitazioni di questa, caratterizzò la Sinistra Comunista
"italiana". Questo e non altro fu il senso del passaggio
obbligato dal centralismo democratico a base gerarchica al più moderno
strumento bio-cibernetico (non
stupisca il termine, è solo un altro modo per dire organico,
cioè tipico dei sistemi viventi e interagenti) propugnato dalla nostra
corrente sulla base non di idee astratte, come si disse e si dice, ma
sulla base della dinamica reale della società capitalistica stessa.”
Siamo all’apoteosi: il partito espleta i compiti del futuro,
disdegnando quelli del presente… “…la
peculiarità internazionale dell'ambiente generatore di una sinistra
comunista oggi misconosciuta, ma in grado, fra il 1920 e il 1926 di
tener testa a Lenin, a Trotsky, a Bucharin, a Stalin nei congressi
mondiali, dimostrando che la degenerazione dell'Internazionale veniva da
lontano, precisamente dalla concezione operaista del partito contro la
quale in Italia si era lottato vittoriosamente dando vita nel '21 al
PCd'I, l'unico partito al mondo che mai abbia iniziato a funzionare
sulla base del centralismo organico” (n+1, La
peculiarità della Sinistra Comunista "italiana" e il suo
tormentato retroterra storico,
Rivista n.12). Il centralismo “organico” del PCd’I fu
contingente, infatti durò ben poco. Non per nulla la dirigenza
rivoluzionaria fu spazzata via senza fatica da quella centrista e
stalinista. Il centralismo democratico, con tutti i suoi difetti, resta
l’unico sistema organizzativo utilizzabile nei partiti rivoluzionari.
Il problema è di sostanza politica non di forma organizzativa: i
partiti comunisti, tutti i partiti, senza compagne donne e compagni
operai con ruoli attivi e dirigenti, possono diventare massimalisti
estremi, ma giammai rivoluzionari (questo insegna l’esperienza storica
mondiale e italiana fino a oggi). Il corollario è che finchè gli
intellettuali uomini resteranno il fulcro dei partiti che si richiamano
alla rivoluzione e al comunismo, faremo solo passi indietro, anzi, uno
avanti e due indietro. [4]
Al momento il nucleo di centro (Togliatti, Terracini e Scoccimarro) è
ancora del parere che Bordiga stia dalla propria parte per battere la
destra, ritenuta il maggior pericolo per il partito. Ma Gramsci preme
perché si rompa, invece, con la sinistra. [5]
Haller, Rakosi e Droz, inviati in Italia dal CE dell’IC (Trotski,
Zinoviev, Bucharin), avevano tentato prima, ma senza successo, la carta
Tasca-Graziadei (gli oppositori delle Tesi di Roma) per sostituire
Bordiga alla direzione del P.C.d’I. [6] Nel frattempo i Terzini si erano uniti al PcdI. Postato da: samib
a 10:12 | link
| commenti
----------------------------------------MANIFESTO
AFFISSO IN QUESTI GIORNI IN PROV. DI VARESE. |
|
|
è consentita la riproduzione a fini non di lucro dei materiali dell'Archivio Storico Benedetto Petrone con l'obbligo di riportarne la fonte |
di |
|
Osservatorio sui Balcani |
di Brindisi
|
osservatoriobrindisi@libero.it |
Archivio Storico |
Benedetto Petrone |
mail provvisoria |
archiviobpetrone@libero.it |
|