Archivio storico"Benedetto Petrone"
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Brindisi, quartiere Minnuta, terreni, olivi secolari e pini marittimi, vittime del Progresso e della
Mobilità Green.
I cittadini
brindisini che in questi giorni percorrono la Pittacchi possono notare
il fervere di lavori su
entrambi i lati di essa.
La pista ciclabile,
sulla destra, è invia di
rifacimento mentre sulla
sinistra si procede a
sterrare , per una prossima cementificazione ed asfaltatura,
buona parte dello
spazio verde al lato del
Garage Minnuta, per farne
un’area di supporto al progetto sulla “mobilità sostenibile” che
interconnetterà porto, ferrovia ed aeroporto.
Si tratta di un terrreno di
alcuni ettari, delimitato
da una fila di alberi di ulivo centenari disposti parallelamente al
tracciato dell’attuale via Minnuta, già ex Via per LoSpada.
Quegli alberi, piantati a due
secoli fa, ai due lati di essa, recintavano simbolicamente,
in entrambi i lati, le grandi
estensioni di vigneti di rosso brindisino che erano il vanto della
Minnuta, il cui frutto si trasformava in
rosso nettare negli
stabilimenti agricoli dei Cappuccini e di via Provinciale San Vito.
Quei filari di
ulivi, per il sottoscritto
che viveva in una casa quasi al ridosso della Polveriera
Cillarese, sono stati i compagni di giochi, e lì i miei nonni
improvvisarono delle altalene sulle quali abbiamo giocato io e mia
sorella con i mei miei cugini e cugine. Quando CocaCola e altre
bevande aliene sostituirono il vino, i vigneti furono espiantati
e quei terreni fertilissimi,
si traformarono in campi di grano dove da ragazzo ho imparato a far
volare i miei primi
alianti veleggiatori, costruiti con l’aiuto di mio zio Giacomo Pedote.
Negli anni 70,
la costruzione del
Garage Minnuta uccise un bel
po’di ulivi e cementò gran parte di quei terreni fertilissimi,
lasciando salvo quello che oggi si sta “assaltando” in nome della
Mobilità Green. Con speranza
ho visto nascere spontaneamente
nuovi ulivi in quel terreno verde, (oggi finalizzato alla
mobilità Green) illudendomi che rimanesse integro così come lo
ricordavo da bambino ma dovrò farmene
una ragione: l’assalto è
ormai in atto e qualcuno, nonostante che gli ulivi secolari siano
indenni dalla Xilella ne
decreterà l’anticipato trapasso per sostituirli con catrame
e cemento Green.
Sopravvisse alla
asfaltatura di Via per Lo Spada (oggi via Minnuta)
100 metri prima dell’incrocio
semaforico, sul lato destro, un secolare altissimo pino marittimo ,
superstite bis-nipote di un antico filare di Pini, piantato in epoca
romana, secondo i canoni dell’epoca, dai
proprietari di una domus
rurale, di epoca augustea, di cui le mie ricerche ne attestano la
presenza, così come l’antico pozzo messapico e poi romano che
insisteva ai piedi di quel pino.
Quell’albero
maestoso era il simbolo di quella strada, così come il famoso pino che
un tempo accompagnava le cartoline ricordo di Napoli. Ma il Progresso
non si poteva arrestare e con
l’allargamento della Pittacchi, non ci fu scrupolo per abbattere il
pino e ricoprire l’antico pozzo romano.
Del filare di ulivi, sulla
sinistra, che iniziava di fronte all’attuale Farmacia Minnuta, ne
rimangono miracolosamente un
paio che il sottoscritto, insieme all’allora consigliere Fabrizio
Scoditti, riuscimmo a salvare, una mattina che degli operai,
intenzionati a costruire lo svincolo per il parcheggio , delle
palazzine ex Saca , si presentarono con le motoseghe. Grazie a questo
salvataggio in extremis, oggi due panchine sottostanti accolgono i
pensionati del quartiere,
espropriati di un Centro
Anziani divenuto il dormitorio dei migranti africani.
Un altro
salvataggio miracoloso lo feci, facendo intervenire la Sovrintendenza,
tramite la dottoressa Angela Marinazzo, all’altezza del semaforo della
Minnuta-Pittacchi, lì dove si ferma la ciclabile imponendo
il salvataggio di un vecchio “trappito”, che sovrasta una
piccola grotta, ultimo segno superstite di un insediamento di epoca
bizantina, che ho rilevato
qualche decennio fa.
Un piccolo
insediamento medioevale che viveva con l’utilizzo agricolo dei terreni
che oggi si stanno ricoprendo per una per una singolare iniziativa di orti urbani ma che
di fatto stravolge e modifica il loro contesto idrogeologico, su una
zona particolarmente
sensibile, quale è la”Vela” della Minnuta coi costoni
friabili a picco sul
Cillarese. Ne è la prova la presenza di un canneto esistente da
millenni e persistente su un antico canale asservito da sorgenti
d’acqua, che permisero la vita ad un piccolo insediamento di epoca
repubblicana, a sua volta sostituente uno di epoca messapica,i cui
resti furono tagliati in due, un secolo fa, dalla ferrovia militare
che portava al Cillarese.
Purtroppo non
riuscii a salvare gli altri ulivi centenari presenti
sulla destra nel terreno
antistante la exSidelm, lì dove
oggi vi è il complesso edilizio
che include la Farmacia Minnuta, ed essi dovettero chinare la
testa alla ghigliottina del Progresso e all’alito soffocante del
cemento.
Nello svincolo
semaforico per la Pittachi avevano piantato, una trentina di anni fa,
tre pini, e la loro presenza attenuava il mio dolore nel non scorgere
il Pino secolare abbattuto in nome del Progresso, ma purtroppo mi
illudevo: nel nuovo progetto della mobilità green,
essi dovranno morire,
sostituiti da una rotonda,
così come lo denuncia una bella X rossa tracciata sul loro tronco.
Sono i segni che
intimano alla mia generazione piena di illusioni di prepararsi a
scomparire e farsi da
parte per dar spazio al “Nuovo che avanza”. Un Nuovo che
purtroppo ricorda tanto il Vecchio, se pur dipinto di uno smagliante
verde supertecnologico. Con noi scomparirà il ricordo delle
scampagnate primaverili in quei
campi
di papaveri e margherite dal
profumo inebriante, o quello dei cofanatori e delle raccoglitrici
d’uva che a settembre facevano colazione al fresco degli ulivi, con
pomodori spremuti sulle
friselle e bevendo acqua e un rosso tanninico da recipienti d’argilla,
simili a trozzelle messapiche.
Questa Città che si
abbellisce secondo un ottica Verde-modernista , continuerà ad essere
una Città senza Memoria del suo passato,
intervenendo con modifiche decontestualizzanti nelle aree
superstiti rimaste verdi. Ne è la prova come non si sia
riusciti a salvare uno solo
degli antichi stabilimenti vinicoli, per farne un museo di quel vino,
di cui i Messapi andavan orgogliosi ,battendone il simbolo sul dritto
delle loro monete, ed unica bevanda salvifica di coloro che si son
spezzati la schiena ogni
giorno, per secoli, per
dissodare e rendere fecondi quegli ultimi
terreni che oggi si aggrediscono in nome del “Green”. pagina a cura di Antonio Camuso Brindisi 6 febbraio 2023
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