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Pagine di Storia locale/11

 Brindisi città senza memoria

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Storia locale

2023

Brindisi, quartiere Minnuta, terreni,

olivi secolari e

 pini marittimi, vittime del Progresso e della

 Mobilità Green.

di Antonio Camuso

I cittadini brindisini che in questi giorni percorrono la Pittacchi possono notare il fervere di lavori  su entrambi i lati di essa.

La pista ciclabile, sulla destra,  è invia di rifacimento  mentre sulla sinistra  si procede a sterrare , per una prossima cementificazione ed asfaltatura,  buona  parte dello  spazio verde al lato del Garage Minnuta, per farne  un’area di supporto al progetto sulla “mobilità sostenibile” che interconnetterà porto, ferrovia ed aeroporto.

 Si tratta di un terrreno di alcuni ettari,  delimitato da una fila di alberi di ulivo centenari disposti parallelamente al tracciato dell’attuale via Minnuta, già ex Via per LoSpada.

 Quegli alberi, piantati a due secoli fa, ai due lati di essa, recintavano simbolicamente,  in entrambi i lati, le grandi estensioni di vigneti di rosso brindisino che erano il vanto della Minnuta, il cui frutto si trasformava in  rosso nettare negli stabilimenti agricoli dei Cappuccini e di via Provinciale San Vito. 

Quei filari di ulivi, per il sottoscritto  che viveva in una casa quasi al ridosso della Polveriera Cillarese, sono stati i compagni di giochi, e lì i miei nonni improvvisarono delle altalene sulle quali abbiamo giocato io e mia sorella con i mei miei cugini e cugine. Quando CocaCola e altre bevande aliene sostituirono il vino, i vigneti furono espiantati  e quei terreni fertilissimi, si traformarono in campi di grano dove da ragazzo ho imparato a far volare i  miei primi alianti veleggiatori, costruiti con l’aiuto di mio zio Giacomo Pedote.

Negli anni 70, la costruzione  del Garage Minnuta  uccise un bel po’di ulivi e cementò gran parte di quei terreni fertilissimi, lasciando salvo quello che oggi si sta “assaltando” in nome della Mobilità Green. Con speranza  ho visto nascere spontaneamente  nuovi ulivi in quel terreno verde, (oggi finalizzato alla mobilità Green) illudendomi che rimanesse integro così come lo ricordavo da bambino ma dovrò farmene  una ragione: l’assalto è ormai in atto e qualcuno, nonostante che gli ulivi secolari siano indenni dalla Xilella  ne decreterà l’anticipato trapasso per sostituirli con catrame  e cemento Green.

Sopravvisse alla asfaltatura di Via per Lo Spada (oggi via Minnuta)  100 metri prima dell’incrocio semaforico, sul lato destro, un secolare altissimo pino marittimo , superstite bis-nipote di un antico filare di Pini, piantato in epoca romana, secondo i canoni dell’epoca, dai proprietari  di una domus rurale, di epoca augustea, di cui le mie ricerche ne attestano la presenza, così come l’antico pozzo messapico e poi romano che insisteva ai piedi di quel pino.

Quell’albero maestoso era il simbolo di quella strada, così come il famoso pino che un tempo accompagnava le cartoline ricordo di Napoli. Ma il Progresso non si poteva  arrestare e con l’allargamento della Pittacchi, non ci fu scrupolo per abbattere il pino e ricoprire l’antico pozzo romano.

 Del filare di ulivi, sulla sinistra, che iniziava di fronte all’attuale Farmacia Minnuta, ne rimangono  miracolosamente un paio che il sottoscritto, insieme all’allora consigliere Fabrizio Scoditti, riuscimmo a salvare, una mattina che degli operai, intenzionati a costruire lo svincolo per il parcheggio , delle palazzine ex Saca , si presentarono con le motoseghe. Grazie a questo salvataggio in extremis, oggi due panchine sottostanti accolgono i pensionati del quartiere, espropriati di un Centro Anziani divenuto il dormitorio dei migranti africani.

Un altro salvataggio miracoloso lo feci, facendo intervenire la Sovrintendenza, tramite la dottoressa Angela Marinazzo, all’altezza del semaforo della Minnuta-Pittacchi, lì dove si ferma la ciclabile imponendo  il salvataggio di un vecchio “trappito”, che sovrasta una piccola grotta, ultimo segno superstite di un insediamento di epoca bizantina, che ho rilevato qualche decennio fa.

Un piccolo insediamento medioevale che viveva con l’utilizzo agricolo dei terreni che oggi si stanno ricoprendo per una per una singolare iniziativa di orti urbani ma che di fatto stravolge e modifica il loro contesto idrogeologico, su una zona particolarmente  sensibile, quale è la”Vela” della Minnuta coi costoni  friabili a picco sul Cillarese. Ne è la prova la presenza di un canneto esistente da millenni e persistente su un antico canale asservito da sorgenti d’acqua, che permisero la vita ad un piccolo insediamento di epoca repubblicana, a sua volta sostituente uno di epoca messapica,i cui resti furono tagliati in due, un secolo fa, dalla ferrovia militare che portava al Cillarese.

Purtroppo non riuscii a salvare gli altri ulivi centenari presenti  sulla destra nel terreno antistante la exSidelm, lì dove  oggi vi è il complesso edilizio  che include la Farmacia Minnuta, ed essi dovettero chinare la testa alla ghigliottina del Progresso e all’alito soffocante del cemento.

Nello svincolo semaforico per la Pittachi avevano piantato, una trentina di anni fa, tre pini, e la loro presenza attenuava il mio dolore nel non scorgere il Pino secolare abbattuto in nome del Progresso, ma purtroppo mi illudevo: nel nuovo progetto della mobilità green,  essi dovranno morire,  sostituiti da una rotonda, così come lo denuncia una bella X rossa tracciata sul loro tronco.

Sono i segni che intimano alla mia generazione piena di illusioni di prepararsi a scomparire e farsi da parte per dar spazio al “Nuovo che avanza”. Un Nuovo che purtroppo ricorda tanto il Vecchio, se pur dipinto di uno smagliante verde supertecnologico. Con noi scomparirà il ricordo delle scampagnate primaverili in quei  campi  di papaveri e margherite dal profumo inebriante, o quello dei cofanatori e delle raccoglitrici d’uva che a settembre facevano colazione al fresco degli ulivi, con pomodori  spremuti sulle friselle e bevendo acqua e un rosso tanninico da recipienti d’argilla, simili a trozzelle messapiche.

Questa Città che si abbellisce secondo un ottica Verde-modernista , continuerà ad essere una Città senza Memoria del suo passato, intervenendo con modifiche decontestualizzanti nelle aree  superstiti rimaste verdi. Ne è la prova come non si sia riusciti a salvare uno solo degli antichi stabilimenti vinicoli, per farne un museo di quel vino, di cui i Messapi andavan orgogliosi ,battendone il simbolo sul dritto delle loro monete, ed unica bevanda salvifica di coloro che si son spezzati  la schiena ogni giorno, per secoli,  per dissodare e rendere fecondi quegli ultimi  terreni che oggi si aggrediscono in nome del “Green”.

pagina a cura di

Antonio Camuso

Brindisi 6 febbraio 2023

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