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Quando
a vivere nelle baracche erano gli italiani migranti nella opulenta
Svizzera, ovvero quando
la squadra del Lecce vinceva il Berna 6 a 1 "Gli emigranti subiscono due volte le ingiustizie e lo sfruttamento capitalista.Da una parte subiscono l'umiliazione violenta di dover lasciare la propria terra, la famiglia, gli amici, costretti dalla politica antipopolare di distruzione capitalista e dei governi democristiani e soci, e dall'altra vivono l'aggressione alienante e razzista dei padroni e governi stranieri. Gli emigranti così si trovano prigionieri di due istituzioni statali capitalista, quella italiana e quella svizzera...." (Progetto di tesi per il primo congresso Nazionale della F.I.L.E. in Svizzera aprile/maggio 1975) Archivio storico Benedetto Petrone, Fondo Rosario Attanasio I fatti di Rosarno con la rivolta degli “schiavi neri” della piana agricola calabrese, le proteste anche violente di egiziani a Milano dopo un accoltellamento e relativa risposta antimmigrata, uno croccante sondaggio tra i giovani che mette in luce ostilità crescente contro stranieri e diversi, ha spinto anche noi dell’Archivio storico Benedetto Petrone a ricercare in chiave solidale le similitudini tra le condizioni di vita dei migranti pugliesi all’estero, negli anni 60 e quelle degli extracomunitari in Italia, oggi. All’encomiabile iniziativa del treno-mostra sui Migranti in partenza da Lecce e che presto giungerà a Brindisi, vogliamo contribuire anche noi, con una piccola ricerca sul nostro, non lontano , essere stati migranti in terre straniere. Anni
60, l’Estero, la maledizione inevitabile per il Sud. Esattamente 40 anni fa in pieno autunno caldo, mentre in Italia, compreso nel nostro Sud, montava la richiesta di riforme sociali e miglioramenti salariali dalle classi lavoratrici, gli “altri”, gli emigranti, quelli che con una valigia di cartone avevano riempito i treni del Nord, speravamo, di poter ritornare nei propri paesi e contribuire alla loro rinascita. L'Estero...una parola pronunciata dall'emigrante come una maledizione dalla quale non puoi sfuggire era per i pugliesi, ed in particolare per i salentini ,la Svizzera, la Germania, la Francia, il Belgio, dove essi lavoravano, vivendo spesso in condizioni durissime, in baracche affollate, con pochi servizi igienici individuali, sacrificando le ore libere per corsi serali, sognando di poter ritornare nel proprio paese e vivere dignitosamente non più separati dalle proprie famiglie. Per tanti questo fu un sogno irrealizzato, poiché continuarono a vivere da emigranti e rimasero all’Estero rifacendosi una famiglia, per altri invece il ritorno fu coatto, sotto l’incalzare della crisi petrolifera del 73-74 che si fece sentire in tutta Europa. Di essi, molte sono le storie orali che ancor oggi potremmo raccogliere nei nostri paesi ma anche trarre dalla lettura dei giornali dell’epoca , in primis la Gazzetta del Mezzogiorno che, esattamente 40 anni, fece un’inchiesta sui nostri emigranti, raccogliendone voci, speranze e lamentele. Tornare
in Italia; l’idea fissa dei salentini a Berna. Così titolava la Gazzetta in una serie di articoli nell’ottobre del 1969, in occasione di un viaggio degli esponenti politici locali salentini nella capitale svizzera dove i nostri compaesani vivevano in tremila. Il dottor Quarta, il sindaco di Parabita ( un paese del leccese con tanti emigrati) e il prof Cacciapaglia visitarono in quei giorni l’agglomerato di Friburgstrasse dove in baracche che ospitavano cento uomini, erano alloggiati i nostri compaesani emigrati. Lì si viveva gomito a gomito, lavandosi, stirando, preparando il pranzo a turni, rammendando, ma anche studiando nel tempo libero, Per vivere in quelle case di fortuna essi pagavano settantacinque franchi, l’equivalente di 11.000 lire al mese a persona ( l’equivalente di una settimana di stipendio da bracciante in Puglia), da dare alle ditte per le quali lavoravano e che erano esse stesse proprietarie di quelle baracche. Ieri come oggi niente è cambiato nel rapporto tra migrante e il suo sfruttatore. Ad un lavoro da sfruttato si aggiunge la beffa del dover pagare al proprio padrone anche il diritto di un materasso in una baracca da lager. Lager senza filo spinato ma sempre baracche da lager teutonico in confronto alle calde, comode case dei ricchi cittadini svizzeri che proprio essi , le migliaia di edili italiani e spagnoli, in quegli anni stavano costruendo o rimodernando, facendo Berna una capitale da sogno. Come un sogno era anche quello di poter presto abbandonare quei locali di fortuna e quella convivenza coatta per potersi permettere un appartamento moderno, magari mettendo su famiglia, come altri più fortunati italiani, exoperai divenuti imprenditori o i nuovi business-man. I
giovani emigrati italiani frequentano corsi professionali per trovare un
posto al loro rientro. La voglia di riscatto, e la speranza di tornare al più presto tra i propri cari ,arricchiti almeno professionalmente e quindi con una chance in più di poter entrare a lavorare da operaio presso le fabbriche che, anche nella lontana Svizzera si diceva , avrebbero invaso il Sud e la Puglia, spingeva i nostri fratelli emigrati , i più giovani, a studiare dopo i turni di lavoro, in quelle fredde, umide e poco illuminate baracche. Corsi impegnativi, presso il CISAP (Centro Addestramento italo-svizzero) di oltre mille ore per divenire tornitori, fresatori, disegnatori e dove ancora una volta i salentini dimostravano senza ombra di dubbio la loro capacità, la loro ostinazione, la loro voglia di riscatto. Leggendo gli articoli di 40 anni fa scopriamo che i che i primi del corso sono proprio della provincia di Lecce, giunti entrambi nel 61 a Berna. Sono Aurelio Rolli di Galatina ( 34 anni) e Mario Bisconti di Gallipoli (27 anni). LECCE vince Berna 6 a 1 Gli stessi giovani emigrati che 6 giorni su 7 erano costretti a chinare la testa sotto gli ordini dei padroni svizzeri, si riprendevano una rivincita la domenica, in improvvisati campi di calcio alla periferia di Berna “stracciando” letteralmente i ben nutriti e rubicondi coetanei svizzeri. Era quello il tempo in cui la squadra dell’Esperia formata da leccesi in maglia juventina che batteva la svizzera Grafferie per 6 a uno. Istruzione
e integrazione: baracche sì
ma anche scuole dove la lingua dei migranti
è insegnata!. Ovvero
quando la Svizzera di 40 anni fa potrebbe insegnare qualcosa al sistema scolastico italiano al tempo della Gelmini che
vorrebbe mettere il tetto alla presenza dei bambini migranti. In quella Svizzera di 40 anni fa che sfruttava al meglio le condizioni dei migranti dobbiamo dire che in quanto a sistema educativo non badava a spese; 12.000 in quegli anni i bambini italiani in età scolare nel cantone di Berna dove nelle scuole pubbliche svizzere si dedicavano 4 ore settimanali allo studio della lingua e della cultura italiana. Una dibattito sulla cultura italiana tenuto in pedi allora anche dai giornali in lingua italiana che si stampavano in Svizzera:l’Informatore stampato a Neuchatel, l'Emigrazione libera stampato a Bellinzona, l’Eco e poi il Carcosino ma che non potevano sopperire alla voglia di essere aggiornati di ciò che accadeva nei paesi di origine. Ascoltare la radio sul balcone? Settemila franchi di multa! C’è un altro aspetto ben poco piacevole della Svizzera di quel tempo e del suo rapporto con i migranti italiani, quello della Repressione attuata secondo i canoni dell’efficienza del paese degli orologi che non sbagliano un secondo. Proibito scioperare, vietato far politica, camminare in punta di piedi, parlare a bassa voce. Una radio ascoltata , anche a bassa voce, su un balcone poteva costare sino a settemila franchi di multa applicata da una polizia assillantemente guardinga pronta a sanzionare e a minacciare l’ombra dell’espulsione ed un ritorno senza pietà in patria e senza possibilità di ritornare a lavorare. La peggiore paura? Quella di morire ed essere seppelliti in terra straniera!Di questa curiosa fobia sembra che fossero afflitti già dai primi anni 60 i nostri connazionali emigrati , come racconta il signor Franco Timo , 33enne di Scorrano, impiegato in un’agenzia di viaggio,tanto che si giunse a costituire una società di mutuo aiuto che, associando ben ventimila emigrati, assicurava in caso morte del loro rientro nel paese natìo, autotassandosi dal loro salario. Ma anche l’assistenza sanitaria era un altro dei punti dolenti dei nostri fratelli in Svizzera come denunciava ai cronisti della Gazzetta del mezzogiorno, durante quel viaggio tra i salentini emigrati nel 1969, Paolo Meleleo di Cutrofiano :-“ niente mutue e se ci si ammala occorre arrangiarsi da soli!”- Che la vita da migrante fosse dura lo testimoniava allora lo stesso Console italiano a Berna che ammetteva di dover ricevere ogni sabato quattrocento, cinquecento connazionali che ponevano a lui le lamentele e i bisogni della vita quotidiana del migrante: problemi familiari, assistenza, le condizioni dei baraccati, richieste di sussidi, i rapporti spesso difficili con i datori di lavoro e con la polizia. L’arrivo
della contestazione e dell’autunno caldo tra gli emigrati. Anche nella pacifica Svizzera intanto crescevano i semi della rivolta e della contestazione, alcuni giunti per caso con l’arrivo delle nuove generazioni contaminate dall’autunno caldo che dilagava in Italia, ma anche da “professionisti” della agitazione sindacale e politica. Questa è una pagina tutta da raccontare che parla di una generazione di militanti che per oltre un decennio portarono il loro credo e la loro voglia di unificare le lotte degli sfruttati , anche tra gli emigrati. Spesso questi agit-prop si facevano assumere da questa o quella ditta , diffondendo materiale propagandistico organizzando leghe sindacali, scioperi, spesso licenziati ed espulsi. Ma la loro voglia di militanza non si fermava così facilmente e molti rientravano clandestinamente, ricominciando di nuovo, con un continuo giocare a rimpiattino con la polizia politica e i guardioni di fabbrica, ma anche trovando l’ostilità delle burocrazie sindacali svizzere o delle associazioni “conservatrici” degli emigrati che non vedevano di buon occhio i sobillatori. Pagine di storia e di attivismo sindacale che videro, per esempio, l’immigrato “barese” Walter Cerfeda divenire segretario sindacale cantonale a Lucerna nel 1969, a soli 22 anni, per poi rientrare in Italia e divenire segretario della FIOM-Cgil . Pagine di umile militanza quella degli appartenenti a gruppi di emigrati rivoluzionari come la FILE dove operarono anche dei salentini come risulta dai documenti del fondo Rosario Attanasio ( anch’esso emigrato in Svizzera a metà anni 70) di Gallipoli, custodito dall’Archivio Storico Benedetto Petrone. Pagine di umanità, di gioie, sofferenze e speranze che accompagnano ogni vita da migrante che va rispettata ed accolta, allontanando i semi del razzismo e ritrovando negli occhi dello “straniero” la storia dei nostri padri, dei nostri nonni…da consegnare ai nostri figli. Antonio
Camuso Archivio
storico Benedetto Petrone http://www.pugliantagonista.it/arch2.htm Brindisi 23 febbraio 2010
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