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ANNUARIO

RESISTENZA AL NAZIFASCISMO /27

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RESISTENZA

 

 

Giovanni Pesce ritorno a Guadalajara

speciale n°1 per i  10 anni Pugliantagonista (2017)

Giovanni Pesce ritorno a Guadalajara ( 1986)

(….impedimmo  l’avanzata verso Madrid, grazie a quella piccola mitragliatrice russa fabbricata a Stalingrado.)

(Di quella battaglia Enerst Emingway scrisse: posso dire con sicurezza che Brihuega avrà un posto nella storia militare a fianco delle battaglie decisive della grande Storia.)

Dal racconto di Giovanni Pesce sul  suo ritorno  50 anni dopo a Guadalajara  , pubblicato sull’Illustrazione Italiana  ottobre 1986 numero 35 (Archivio Storico Benedetto Petrone; fondo Centro Sociale , Brindisi). Ad accompagnarlo  e a testimoniare con le sue foto questo viaggio un altro partigiano e famoso fotografo Mario Dondero, scomparso qualche anno fa.

Pesce e il pastore di Brihuega che ricorda la battaglia

…Stavamo al Pardo da qualche giorno…ci avevano alloggiato  in alcune caserme dinanzi al palazzo che poi sarebbe divenuto la dimora di Franco da dittatore. Tra spiazzi e colline le vecchie case della periferia di Madrid . Case di operai , di lavoratori che avevano conosciuto la democrazia da pochi mesi , quando la Repubblica aveva vinto.  L’aspetto di quelle case strideva con quell’enorme palazzo. Eravamo a Madrid per riposarci dopo la vittoriosa battaglia di  Arganda e del Jarama delle quali ci portavamo  l’entusiasmo e la voglia di tornare a combattere per dare la spallata finale a Franco  . A Jarama il generale fascista Franco ci aveva lanciato contro  i marocchini del Tercio traghettati in Spagna dalla colonia  africana… Ci erano venuti contro sui loro piccoli cavalli nervosi sciabolando  e urlando da lasciarci atterriti e solo una grande forza interiore ci aveva permesso di resisterealla paura.  Io rimasi  con la mitragliatrice insieme al grande Tomat, Con quella mitragliatrice rimessa in piedi incominciammo a sparare sullo squadrone che caricava , abbattendo uomini e cavalli in una scena da incubo, Così riuscimmo a far cadere  cavalli e  uomini uno sull’altro impedendo l’avanzata verso Madrid, grazie a quella piccola mitragliatrice russa fabbricata a Stalingrado.(  Una città che appena cinque anni dopo sarebbe divenuta  il simbolo della disfatta nazista  e  l’icona della vittoria finale contro il nazifascismo in Europa. Ma  questo gli antifascisti della Brigate Internazionali  non lo sapevano e dopo aver  assaggiare il miele di effimere vittorie, avrebbero ingoiato  loro malgrado il fiele  della disfatta  della Repubblica spagnola  in poco più di un anno…NdA:) .

A Jarama era stato facile , e credevo con il mio entusiasmo giovanile che sarebbe stato sempre così. Pochi giorni dopo al Pardo giunse Ilio Barontini , commissario del popolo della Brigata Garibaldi ed in quei giorni sostituto  comandante della stessa al posto di Randolfo Pacciardi che era andato a Parigi a cercare una (impossibile)solidarietà . 

Era il 9 marzo del 1937 e Barontini ci disse che quel riposo ben meritato doveva terminare   perché dovevamo andare a combattere a Guadalajara. Ci consigliò di metterci i pastrani e le maglie poichélì faceva freddo. Dovevamo fermarer i fascisti diretti a Madrid venendo da Saragozza e attraversando Guadalajara. Sapemmo che questa volta avremmo combattuto i fascisti italiani e molti di noi pensarono come tra essi potesse esserci un  parente, amico d’infanzia, un vicino di casa. Con i nostri dubbi viaggiammo sui camion , con i teloni . Giungemmo di notte a Gadalajara.  Scendemmo dinanzi al palazzo di don Luis, dove un contadino mi fece vedere un volantino falangista  , umido dal nevischio   che affermava che le truppe di Franco erano sei volte più numerose di quelle che avevano occupato  Malaga.

Ilio Barontini ci ordinò di marciare  su due colonne  ai lati della strada. dove si marciava nel fango,. Qualcuno di noi chiese perché non marciassimo al centro , ci fu detto che da lì sarebbero passati i nostri plotoni d’assalto. Noi della seconda compagnia eravamo l’ala sinistra del contrattacco, sulla destra la terza compagnia, anch’essa nel fango del ciglio della strada.  Era difficile per me stare in equilibrio  portando in spalla la mitragliatrice, C’era confusione, nessuno sapeva dov’era il nemico  , Alle prime luci del mattino scorgemmo un paesaggio piatto con pochi cespugli. Poi ci dissero che andavamo sulle alture di Brihuega. Ci tranquillizzammo perchè significava stare in un centro abitato e avrenmmo potuto ripararci dal freddo tra le case. Tutto un tratto  incominciartono a sparare dinanzi a noi. La compagnia si aprì a ventaglio e ci disponemmo ai lati della strada . Davanti a noi i fascisti che venivano avanti con le “tanchette” ( i piccoli carri armati italiani, grandi quanto un’utilitaria e armati di mitragliatrice)e Barontini ordinò di sparare. Per  i fascisti italiani  fu tremendo : sotto una nugola di proiettili , prima di fermarono  e poi fuggirono verso Brihuega. Nelle compagnie c’era entusiasmo.  Provammmo a scavare delle trincee , ma sotto quaranta centimetri di terra , davanti al palazzo di don Luis c’era la roccia.  Così mezzo secolo fa, attendemmo sdraiati e non al riparo delle trincee l’attacco delle tanchette italiane , una , due, più volte e li respingemmo. Tra un  assalto e l’altro soccorrevanmo i feriti. Terribile il ricordo del volto stravolto di un ragazzo colpito all’addome che lentamente moriva.

Il giorno stava per finire e non si vedevano più tanchette, ad un tratto apparve una automobile Balilla, lucente, con  la vernice che luccicava sotto la pioggia. Qualcuno di noi ha sparato alle ruote. Si è fermata e sono usciti un sergente e due soldati italiani. Uno dei soldati tremava in tutto il corpo. Erano convinti che li avremmo uccisi. Si ripresero quando offrimmo loro delle sigarette. Poi furono mandati a Madrid. Ero molto orgoglioso per i mei compagni antifascisti che nonostante fossero stati perseguitati ed imprigionati in Italia, non avevano dato neanche uno schiaffo ai prigionieri. . Quella notte del 10 marzo del 1937 faceva freddo e nevicava . Alla fine giunse una rada e calda minestra e con lei la notizia che la terza compagnia aveva catturato trentasei militari italiani tra i quali un ufficiale, il maggiore Luciano di Napoli che  era stato recalcitrante ad arrendersi ad altri italiani.

Quella notte  una voce altissima  che faceva vibrare l’aria , ci scosse: era la voce degli altoparlanti  della radio dell’ALTAVOX del frente che chiamava fratelli i fascisti e chiedeva loro di abbandonare Mussolini e passare tra i repubblicani.  Dopo la prima voce, la seconda e poi la terza. La prima era quella di Giuliano Pajetta, la terza di Calandrone, quella di mezzo di Teresa Noce, la donna coraggiosa che dopo la sconfitta della repubblica spagnola , passò nella Resistenza in Francia e poi catturata dai nazisti mandata in campo di concentramento in Germania. Giorno 13marzo 1937 siamo andati noi all’assalto con la copertura di due autoblindo. Con i fascisti asserragliati nel castello di Ibara.  Il mio amico Nunzio Guerini andava gridando ai fascisti di arrendersi poiché, come tutti noi , non voleva  che uccidessimo degli italiani. Di risposta da una finestra fu lanciata una bomba che lo uccise. Allora dopo la sua morte andammo all’assalto. A fermare la nostra voglia di vendetta fu il tenente Brignoli che avanzando tra le due autoblinde  impose di fermare il fuoco e intimò la resa ai fascisti italiani  e poco dopo uscirono con le mani alzate.  Erano le sei di sera del   14 marzo del 1937.

i fori sul palazzo di Ibarra e la finestra da dove sparavano i fascisti italiani che si arresero ai garibaldini

Quattro giorni dopo che da una settimana dormivamo nel fango e sotto la neve, arrivarono i nostri carriarmati  e in cielo la nostra l’aviazione . Andammo all’assalto ed io, solo ora, ricordo come gridavo e davanti a me i fascisti che fuggivano.Feci tre chilometri correndo con la mitragliatrice sulle spalle e gli scarponi appesantiti  dal fango. Oggi la  Brihuega che raggiunsi non la riconosco più,  ma a ricordare di quella battaglia c’è un pastore allora bambino , che rimase nascosto  con la madre e la sorella  sotto il fieno durante  la battaglia,( e del quale pubblichiamo la foto scattata da Mario Dondero, in quel viaggio) …io adesso sto in silenzio nella macchina che ritorna a Madrid. Qualcosa mi stringe alla gola e faccio forza per non mostrare che ho gli occhi umidi……

GIOVANNI PESCE , GUADALAJARA, 1986

mario dondero

il giornalista, fotografo e partigiano  Mario Dondero che ha accompagnato e fotografato Pesce nel suo ritorno a Guadalajara

Articolo a cura dell'Archivio Storico Benedetto Petrone 27 luglio 2017 , nel decennale della morte di Giovanni Pesce

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LA PRIMA PAGINA DI DIECI ANNI FA DEL SITO DI PUGLIANTAGONISTA CHE VOLLE DEDICARLA A GIOVANNI PESCE

27 luglio 2007

GIOVANNI PESCE

una vita da Gappista

ONORE AL COMPAGNO GIOVANNI PESCE "VISONE"!

onore alla sua fedele compagna Nori Brambilla "Sandra" che ci ha lasciati il 7 novembre 2011

 

 

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