ARCHIVIO STORICO BENEDETTO PETRONE
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TESTIMONIANZE
LOTTA CONTINUA di Bari raccontata da Nicola Latorre
Agli inizi degli anni 70 Bari era in piena trasformazione: la città cambiava i ritmi, gli spazi,prendeva forma dentro una rapida estensione verso i nuovi quartieri in costruzione,che le giunte locali democristiane avevano regalato all’opera speculativa dei nuovi palazzinari locali: i giovanotti della famiglia di Salvatore Matarrese, i Rubino etc. La nascita del C.E.P.(Centro Edilizia Popolare) all’estrema periferia nord aveva permesso una gigantesca opera di riqualificazione dei terreni della zona: un mostruoso susseguirsi di alveari edilizi prendevano forma, integrandosi nel cinturone industriale delle grandi e medie imprese della zona(Fiat OM,Breda,Fucine Meridionali,Firestone, Termosud..).Così come a Palermo con lo ZEN, ed in altre città del sud, la “modernizzazione” voluta dalla DC aveva significato (insieme agli incredibili profitti garantiti dalla Cassa per il Mezzogiorno) il progressivo svuotamento del centro storico barese ed una vera e propria deportazione di centinaia di famiglie proletarie al neonato quartiere San Paolo. Un quartiere dormitorio,composto da una geometria lineare di torri in un deserto di attività commerciali, ricreative e culturali(a parte la chiesa,chiaro..).La trasformazione urbanistica della città avviava dunque il ridisegnare la mappa della composizione di classe,l’emergere di nuove domande sociali fronte alle contraddizioni emergenti ed insieme,un riassetto dei poteri forti ed esclusivi che,illo tempore,le mani sulla città già le avevano messe...
La storia e la tradizione politica “ufficiale” di Bari è quella di una città conservatrice e di destra. Quella che sempre si è compiaciuta ed identificata con la levantina borghesia mercantile nostrana. E’ anche la città che ha tributato, come pressoché tutto il Sud del resto, un autentico plebiscito alla Monarchia sabauda il 2 giugno 1946; che si è data successivamente,negli anni 50, un “fior fiore” di Amministrazione comunale come quella guidata dal monarchico Chieco e dal fascista Tarsia Incuria del MSI; che ha sempre eletto il Senatore missino e mai quello democristiano e tanto meno quello comunista; la città del potere di notabili e bottegai che nell'affanno di una più succosa e progressiva palingenesi ha sempre votato in funzione anticomunista,cercando di stabilizzare una egemonia permanente.Fino addirittura a trasformarsi,nel decennio dell’Eldorado di nani&ballerine,nella città più craxiana d’Italia. Per i vecchi e nuovi padroni di allora, Bari infatti era la città che ha sempre ritenuto di dovere al ministro ai Lavori Pubblici di Mussolini,il poi sempiterno Senatore Arnaldo Di Crollalanza, molto più di quanto non abbia dovuto, per esempio, ad Aldo Moro ed a Rino Formica*. Non è un caso quindi se lo stesso moroteismo fu a Bari molto meno “di sinistra” di quanto non fosse nel resto d’Italia.
*Formica è stato uno dei maggiori e brillanti leader nazionali del PSI ,proveniente dalla sinistra lombardiana divenne in seguito uno dei fautori dell’ascesa di Bettino Craxi alla segreteria del partito. Padrone assoluto ed indiscusso del poderoso Psi locale fino al suo scioglimento.
Di contro, la stessa storia della città(e di gran parte della provincia:le zona limitrofa alla costiera nord- Mola, Polignano, Noicattaro- e soprattutto i paesi dell’entroterra della Murgia)aveva un percorso che, dalle esperienze di resistenza- politica ed anche armata- antifascista del ´43/´44,era cresciuta nelle lotte bracciantili, in un nuovo protagonismo popolare che nella CGIL e nel PCI pugliese di Di Vittorio e Papalia acquistò un forte e radicato punto di riferimento. È al principio degli anni ’60 che un nuovo ciclo,lentamente, inizia. Il 1962 è l’anno della rivolta degli edili. Per quasi dieci giorni il centro del capoluogo barese è teatro di enormi manifestazioni di lavoratori edili, in sciopero per un contratto che riconoscesse garanzie e dignità sul lavoro,sugli orari ed il salario. La Cgil ne è la organizzatrice,però la rabbia dei lavoratori si scontra con la dura risposta poliziesca: tutta il centro storico e parte del quartiere Murattiano sono teatro di scontri durissimi. Per quasi una settimana il clima è quasi pre-insurrezionale,con Barivecchia trasformata in una vera e propria zona liberata sorretta da una spontanea rete di solidarietà popolare. Dirigenti del sindacato e del Pci (di cui numerosissimi sono i militanti protagonisti della lotta e degli scontri)cercano di soffocare la rivolta. Alla fine ci riusciranno,denunciando come “provocatori” “infiltrati” “sbandati”(nonostante i cori alla “modernità”,certe categorie e le sue declinazioni non cambieranno affatto negli anni a venire..) i suoi stessi compagni...
Però la rivolta,come in Piazza Statuto a Torino,segna in profondità la stessa base del Pci, acutizzando la ricerca di una autonomia politica nello sviluppo crescente di un nuova composizione di classe,delle sue lotte e bisogni.
Al principio degli anni ’70 molte di queste soggettività hanno già incontrato nei gruppi della sinistra rivoluzionaria una alternativa di progetto e lotta. Bari è una città in espansione produttiva:da qui ormai non si emigra come nel resto della regione. In più la Università si è trasformata, con l’apertura degli accessi di massa ,in una delle imprese più importanti del territorio. Migliaia di studenti arrivano in città da tutta la Puglia,la Basilicata,la Calabria. Tanti anche gli stranieri,in particolare i greci. Le lotte operaie nella zona industriale si nutrono da tempo della presenza dei compagni universitari e medi, incontrando insieme a compagni del precedente ciclo di lotte,la nuova rete operaia composta dai tanti giovani che entrano in produzione alla catena. Il Circolo Lenin di Puglia degli Aló, Nicola Vox, Annamaria Rivera..aveva incontrato nel biennio “rosso” l’adesione di militanti ,diversi dei quali già militanti del Pci. Sarà però soprattutto Lotta Continua quella che più e meglio saprà cortocircuitare con la capacità di lotta e la radicalità dei giovani operai della zona industriale. Il trasferimento come dirigenti da Torino di Marcello Pantani e da Mestre di Beppe Casucci, apportarono il prezioso bagaglio delle esperienze di lotta dei poli industriali del nord. Ma Bari non è Torino,Genova o Mestre. Tanto meno la Taranto città-fabbrica dell’Italsider. È territorio popolato dalle mille contraddizioni di una provincia ancora fortemente legata alla terra e alla sua economia ed un capoluogo che si avvia,nonostante l’impianto di alcune grandi fabbriche,ad esser una città centrata nel commercio,nei servizi,nell’Università. Una città che cresce rapidamente e che insieme al progressivo declino del porto vede l’affermarsi di una diffusissima rete di attività extra legali,legate in particolar modo al contrabbando. Sono infatti migliaia le famiglie che vivono del traffico e smercio delle sigarette. Codici,valori,comportamenti quasi naturalmente”antagonisti” allo Stato che incroceranno dal ´72 fino al ´77 in cento di occasioni le lotte sociali. E parecchi saranno coloro che faranno la scelta di militare nella sinistra rivoluzionaria(grazie anche al sempre più frequente,anche se breve, transito di compagni per il carcere cittadino)in particolare modo in Lotta continua(nella quale spiccavano nomignoli suggestivi e/o espliciti: Onofrio e Pierino “la merda”..Pasquale “u’contrabbandir”..Tonino “Capa di Ferro”...)o successivamente nell’aerea della nascente Autonomia. Compagni spesso abituati a certi codici della vecchia malavita che dentro i processi reali acquisivano una nuova concezione di sé come classe a parte,una autovalorizzazione identitaria che a partire dalla propria storia individuale si trasformava in senso collettivo. E certo i tratti caratteristici di un mondo spesso abituato a metodi “spicci”, però anche ad una generosità estrema, si facevano non poche volte notare in molte iniziative:una cultura della extra legalità legata a bisogni proletari nella quale per un largo periodo irruppe la politica rivoluzionaria.
Ma soprattutto sarà la estensione di questa rete sociale,a permettere l’avvio di importanti campagne di lotta e –spesso- a supportare in diversi quartieri (Bari vecchia in primis,il Cep, Madonnella e San Pasquale)l’azione militante dei compagni e proteggerli da polizia e fascisti*.
Barivecchia in particolare era il cuore sociale del Movimento. Era il quartiere storico della sinistra,dove il PCI a partire dal nuovo decennio aveva costruito una vera e propria egemonia elettorale,un humus sociale radicato a sinistra dentro il quale i compagni della sinistra rivoluzionaria avevano incontrato grandi spazi di agibilità politica e legittimazione. Le condizioni del quartiere erano disastrose:intere zone non avevano rete fognaria né servizi sanitari,l’abbandono da parte delle amministrazioni comunali era totale ed il degrado rionale(strutturale,sociale,culturale) permise agevolare l’opera di “deportazione”delle famiglie da consistenti aree verso i nuovi casermoni delle case popolari che lo IACP costruiva nelle estreme periferie di San Girolamo ed in particolare al CEP del S.Paolo. Crescevano dunque i ghetti nella città,ma allo stesso tempo le contraddizioni erano terreno di uno sviluppo costante di agitazione e lotte. Nel 74 già entrano in funzione i Comitati di quartiere a Barivecchia,al Cep e San Pasquale. La composizione politica è variegata e abbastanza plurale, con la partecipazione anche di diversi compagni/e di base del PCI. Nel corso del 75 e 76 si estendono le lotte contro il carovita: la crisi energetica del ‘73 aveva aperto la strada a una nuova fase di ristrutturazione del capitale,in particolare il padronato italiano tenta di rompere la rigidità ed incompatibilità di quella autonomia operaia che era venuta affermandosi nel lungo ciclo di lotte partite nel ’69. I governi della Democrazia Cristiana con i suoi alleati tradizionali nella borghesia,sono chiamati a governarne i passaggi con scelte economiche per i lavoratori e le classi popolari di “lacrime&sangue”. Il Partito Comunista di Berlinguer,che già dal ’73- all’indomani del golpe militare in Cile organizzato dagli USA- aveva iniziato ad elaborare la necessità di un nuovo patto sociale cogestivo con il blocco politico-sociale cattolico, accelera lo sviluppo di quel processo che verrà sigillato sotto il nome di “compromesso storico”.Una scelta di orientare la classe operaia a “farsi Stato” rinvigorita dal grande esito elettorale del ’76 ,che porterà la Direzione di Botteghe Oscure a varare il sostegno ad una “politica necessaria dei sacrifici per governare la crisi”. Vale a dire le politiche antisociali della Dc ,contemporaneamente facendosene garante e controllore disciplinante dentro il profondo scontro sociale aperto nel Paese.
A Bari l’inizio delle campagne per l’autoriduzione delle tariffe della luce e del telefono sviluppate nei quartieri popolari saranno accolte da centinaia di famiglie. Interi isolati,grazie alla diffusione dei “saperi proletari”, faranno i “ponti” alle centraline Enel e “taroccheranno” i contatori. A Barivecchia la battaglia per il risanamento del quartiere permetterà la riapertura del Centro di Santa Teresa dei Maschi(di proprietà della Università) trasformandolo in quello che sarà per alcuni anni un importante laboratorio culturale,aggregativo e politico per l’intera città.
Al San Paolo partono le prime occupazioni collettive degli stabili vuoti IACP insieme alla campagna sul blocco al dieci per cento del salario operaio dei prezzi del canone di affitto. A San Pasquale “Villa Camomilla”(una grande villa del principio del secolo nel cuore del quartiere)abbandonata ai ratti ed all’incuria da anni,viene occupata e vieppiù risanata,facendone per lungo tempo un centro vitale per le iniziative di quartiere e simbolo delle lotte contro i piani regolatori disegnati dai pescecani dell'edilizia democristiana. Si estende la pratica settimanale dei “mercatini rossi”,dove si vendono a prezzo politico prodotti ortofrutticoli: pane,latte,formaggi ed a volte anche carni.Cominciano le prime significative iniziative contro il lavoro nero,in una città dove la nuova legge sull’apprendistato non fa che legalizzare la condizione storica di sfruttamento minorile di migliaia di figure proletarie giovanili. Le campagne di denuncia e lotta si estenderanno significativamente a San Pasquale dove esistono decine di sartorie semi-clandestine(molte in garage o sottani), che fungono da indotto per le aziende tessili pugliesi, che danno lavoro a centinaia di donne per dieci ore al giorno in cambio di poche centinaia di lire. Condizioni di vita e lavoro imposte dai padroncini con stile feudale. Si risponderà con la richiesta di assunzioni vere,con un contratto che garantisca tempi e salari. Alcune di queste mini fabbrichette verranno visitate in massa,con l’obiettivo di imporre e difendere il punto di vista della operaie,strette spesso nel ricatto di un salario necessario, bisogno questo frequentemente utilizzato dai padroni(in maggioranza delle vere canaglie, mafiosetti abituati a trattare la gente come propri mezzadri) per minacciare o punire chi alzava la testa. Le risposte militanti in diversi casi furono contundenti: al sabotaggio delle macchine da cucire si affiancarono la devastazione notte tempo di alcuni dei covi del lavoro nero. Alcune auto dei padroncini verranno incendiate,pratica che anche a Modugno (paesone alla periferia industriale) inizierà ad esercitarsi contemporaneamente alla nascita del collettivo politico autonomo.