ANGELO BAGORDO l'ultimo saluto degli amici |
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Quotidiano di Lecce del 6/4/01 Centinaia di persone davanti all'abitazione di Bagordo. I funerali a spese del Comune. "Ciao Angelo" Pellegrinaggio in via Palmieri Gli amici , quelli veri , non lo hanno dimenticato. E forse nemmeno lui pensava di averne tanti. Per tutta la giornata di ieri, in via Palmieri, al civico 1, c’è stato un pellegrinaggio spontaneo. Tantissime persone (amici, conoscenti, residenti del borgo antico) si sono fermate davanti a quella casa , alla casa di Angelo, del "profeta ribelle".E per ieri sera, era in programma una veglia , per ricordarlo degnamente. Angelo Bagordo non è morto l'altro giorno. E' morto lo scorso novembre, quando èstato sfrattato da quella casa. E i messaggi di oggi, purtroppo, non potranno restituirlo alla vita E di messaggi , sui muri di quel palazzo, ce n'erano tanti ieri pomeriggio."Lode alla morte solare nel cielo. Della tua vita, del tuo dolore , del tuo pensiero". Giorgia: "Mi dispiace tanto. Ciao Angelo" "Ce l'hanno fatta. Ciao Angelo": firmato Emanuele, Ornella, Fernando. " Ciao Angelo. Ricordiamo sempre il tuo grande senso di giustizia e di libertà Rimarrai sempre l'amico di tutti": firmato gli amici del Duomo. "Angelo era un uomo di pensiero- stava scritto accanto ad una sua foto- di filosofia, di antagonismo. La sua natura politica lo ha accompagnato per tutta la vita e politico è il suo atto estremo: s’è negato al mondo, un mondo che pure amava nel suo tenace tentativo di cambiamento" E poi ancora :" E' andato, stordito dalla solitudine, dalla mancanza dell'incontro, delle parole scambiate per strada, lontano dalla sua dimora, dai suoi cagnetti, dalle sue povere cose, che erano bandiera della sua diversità, della sua separazione cosciente e critica". Intanto i cani di Angelo ( sei esemplari adulti e quattro cuccioli) sono accuditi nella pensione dell'associazione rifugio cani abbandonati, della " Nuova Arca". Seguono i num. telefono per adozione... I funerali di Angelo si svolgeranno oggi pomeriggio a totale carico del Comune di Lecce PER NON DIMENTICARE
Per
ricordare Angelo e per non dimenticare gli anni ’70.
Credo
che Angelo Bagordo, nella nostra città, per la nostra esperienza e
memoria delle storie, dei conflitti, degli affetti maturati negli anni,
sia appartenuto a pieno titolo alla parte migliore di una generazione –
quella degli anni ’70 – sia esistenzialmente che politicamente. Sino
alla radicalità delle sue scelte, sin nel disagio, nell’essere estraneo
a ogni percorso di accomodamento, nel non accettare le regole
dell’ipocrisia corrente.
Oggi
c’è una guerra sulla memoria che riguarda non solo gli anni della
Resistenza e del secondo lungo dopoguerra, il più lungo dopoguerra per un
paese europeo, ma anche sugli anni ’70, sulla memoria di quel lungo
decennio. Non c’è memoria condivisa, né sulla Resistenza (un evento di
appena 20 mesi), né sugli albori della Repubblica
e agisce ancora una rimozione sul ’68 e il decennio successivo
quando non il tentativo di screditare quel ciclo di conflitti come causa
del lassismo, delle droghe, del terrorismo di sinistra, e magari delle
difficoltà proprie di una classe dirigente incapace di riforme e ben
capace di corruzione e storicamente propensa alla chiusura autoritaria del
conflitto.
Ricordo
di aver conosciuto Angelo in un’assemblea di movimento all’Università,
poco prima del ’77, anno particolarmente rimosso. Lo ricordo che andò
in silenzio a una lavagna e scrisse una poesia, sorprendendo un po’
tutti. Aveva scelto un linguaggio creativo che sovvertiva le regole del
discorso, diverso da quello già un po’ stereotipato delle
organizzazioni militanti e di opposizione della nuova sinistra che nasceva
dalla rottura del ’68 e si radicava nell’autonomia culturale e
organizzativa dalla sinistra storica. Probabilmente era il 1976, anno di
vigilia, l’anno del raduno giovanile di Parco Lambro e delle
contraddizioni che scoppiarono anticipatrici già nel cuore dei movimenti
collettivi e dei circoli giovanili.
Di
quella generazione dispersa si può dire che un nucleo residuale, per
quanto minoritario, rimane tuttora in carcere o rifugiato in Francia,
senza che si sia saputo e potuto agire con un provvedimento di indulto o
di amnistia come segno di superamento dell’emergenza e di chiusura di un
lascito tragico del Novecento. Non solo, uno come Adriano Sofri è
rinchiuso da tre anni in carcere senza più prospettive di battaglia
legale contro una sentenza mostruosa di condanna priva di prove e
certezze. Poi forse si può dire che dopo la fine di quel decennio,
diciamo dopo la ricaduta del movimento del ’77, di quella generazione in
troppi hanno conosciuto il malessere, la delusione, a volte l’artiglio
micidiale dell’eroina.
Dopo
vent’anni e anche più, a Milano, a Roma, a Bologna, ma anche altrove,
sono stati ricordati quei ragazzi uccisi dai neofascisti e dalla risposta
d’ordine delle polizie. Sulla Rete si possono trovare siti sulla memoria
di quegli anni, con documenti e immagini e bibliografie. In alcuni casi si
tratta di Fondazioni o Associazioni intestate a quei nomi, per non
dimenticare, perché non si è fatta giustizia. Tra quei nomi che non
abbiamo intenzione di dimenticare c’è quello di un ragazzo di
vent’anni, Walter Rossi, ucciso a Roma nel ’77 mentre volantinava nei
pressi di una notoria sezione fascista della capitale, con un proiettile
alla nuca. E nel nome di Walter Rossi Angelo tentò, con altri giovani, di
mettere su un centro sociale nel cuore del centro storico, con
un’occupazione e una scaletta di attività culturali, di lavoro
cooperativo, di attenzione e intervento sociale.
Durante
una manifestazione antifascista, quella del 12 novembre del ’77, Angelo
assieme ad altri assaggiò, come si dice, mesi di carcere solo perché reo
di antifascismo militante e il suo centro sociale venne sgombrato. Uno
storico come Claudio Pavone riconosce all’antifascismo militante un
ruolo, per quanto non quantificabile, nell’aver mantenuto basso il
profilo elettorale e la presentabilità del partito neofascista. Non solo.
Pavone non confonde l’antifascismo militante con il terrorismo di
sinistra né accredita la nefasta teoria degli opposti estremismi che la
sinistra storica volle usare per attaccare i movimenti collettivi e le
organizzazioni militanti di allora. Il vecchio PCI in quegli anni vide con
cecità incredibile in quei movimenti un impedimento al “farsi Stato”
della classe e un intralcio alla marcia istituzionale che doveva
legittimarlo in un compromesso con la Democrazia Cristiana (ricordiamo
l’unità nazionale con quella classe dirigente). Si voleva stroncare il
dissenso e si correva incontro a una democrazia eccezionalistica.
Quelle
lotte erano lotte di opposizione, di difesa della democrazia, contro la
chiusura autoritaria del conflitto sociale, nel clima della guerra fredda
tra i cosiddetti “due campi”, in una situazione di guerra civile
strisciante attivata dai circoli dell’oltranzismo atlantico e subita da
chi ancora si appoggiava cospicuamente al blocco sovietico e alle sue
agenzie. Sempre lo storico Claudio Pavone ricorda come alcune delle
organizzazioni militanti della nuova sinistra di quegli anni facevano
riferimento all’ala sinistra della Resistenza, quella non rassegnata al
paesaggio sociale del dopoguerra e all’involuzione della democrazia
italiana. Ingenuamente o meno si parlava di Nuova Resistenza. In ogni caso
ci si opponeva a una democrazia oligarchica e a una concezione di
democrazia eccezionale fatta propria anche dalla sinistra storica che per
poco non sfociò in una democrazia da Stato d’eccezione, e c’era chi
lo cercava. La Commissioni stragi si chiude senza un nulla di fatto e con
la proposta peregrina del suo presidente di una ambigua
“pacificazione”. Per la qualità della democrazia nel nostro paese non
c’è proprio da stare tranquilli, visto la nuova scena politica del dopo
13 maggio.
Angelo
era uno di quegli anni, era entrato in rapporto con quel movimento, veniva
dall’area dell’Autonomia senza alcuna voglia e capacità di
essere fazioso, faceva piuttosto riferimento al versante che a partire dal
’77 affacciò bisogni e desideri di creatività, anche in modo radicale,
la ricerca di frammenti di autonomia culturale, di ricerca collettiva e
privata di nuovi stili di vita. Non penso che bisogna riproporre nuove
istanze di guerra ideologica o vecchie culture e subculture politiche.
Credo piuttosto che dobbiamo mantenere vivo uno spazio di autonomia
culturale, un clima di conversazione e di attenzione, una rete di rapporti
e una difesa della memoria, e tenere aperto il passaggio a nuovi transiti
culturali, a nuove modalità del sentire, a sensibilità che non vadano più
isolate e mortificate. In una provincia come la nostra non possiamo
accettare l’oscuramento del dissenso, della pluralità delle esperienze
e delle nuove ipotesi di legame sociale, un microclima costruito spesso
attorno all’ossequio del peso dei poteri specifici del denaro e degli
affari, del discorso metafisico, delle consorterie, né accettare la
censura, l’oscuramento del dibattito pubblico. Nel clima a volte
deprimente e pesante di una piccola città Angelo apparteneva a una
comunità di cuore, di generazione, di solidarietà ironica e di amicizia.
Chi l’ha conosciuto nel corso degli anni è quasi ancora geloso dei
propri ricordi, gli conserva una forma pudica e difficile di memoria, gli
deve ancora l’oscura gratitudine per una battuta, una chiacchierata, un
sorriso.
(16
maggio 2001)
Silverio Tomeo
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