La Confindustria come il Governo,
vuole la
riduzione del salario reale dei
lavoratori.
Bisogna interrompere il negoziato e prepararsi alla lotta
Il Direttivo della Cgil si è concluso con un voto
a maggioranza, 72 contro 15, che ha visto approvare un documento nel quale si
dà un giudizio nettamente negativo sulle scelte del governo sul piano
fiscale, sul mercato del lavoro, sulle flessibilità degli orari. Nello stesso
tempo però il documento non esprime un giudizio sulla gravità della
posizione della Confindustria, che coincidono con quelle del governo, e che
dovrebbero rendere impossibile almeno per la Cgil, la prosecuzione del
negoziato sulla riforma del sistema contrattuale. Questa differenza di
giudizio sulle posizioni della Confindustria è la ragione principale per cui
Cremaschi, Nicolosi e Rinaldini, oltre ad altre compagne e compagni hanno
votato contro al documento conclusivo.
Nel frattempo prosegue con difficoltà il confronto
tra Confindustria e Cgil, Cisl, Uil sulla riforma del sistema contrattuale.
Allo stato è possibile chiarire che:
1. Il governo ha stabilito l’inflazione
programmata all’1,7% per il 2008 e all’1,5% per il 2009 e il 2010. Secondo
il governo dunque i nuovi contratti triennali dovrebbero al massimo avere un
aumento complessivo del 4,7%, cioè poche decine di euro in tre anni. E’
bene ricordare che se il tasso di inflazione programmata è indicativo per i
settori privati, è tassativo per quelli pubblici, in quanto lì il governo è
anche datore di lavoro. Quindi il governo ha programmato la riduzione dei
salari reali di tutti i lavoratori pubblici e, per imitazione, di tutti quelli
privati.
2. L’inflazione italiana attualmente stimata
dall’Istat è al 3,6%, mentre per Eurostat è al 3,7%. La stessa Istat ha
poi definito un “paniere” che misura l’aumento dei prezzi dei beni di
prima necessità, cioè dei beni che servono di più a vivere, e qui
l’inflazione sarebbe già al 5,5%.
E’ chiaro che un aumento dei salari che fosse
semplicemente pari all’inflazione ufficiale per i prossimi tre anni (e non a
quella vera), dovrebbe oscillare tra il 12 e il 15%.
3. Cgil, Cisl, Uil hanno respinto l’inflazione
programmata dal governo e hanno chiesto di usare come riferim ento per i
contratti un’inflazione “vicina a quella reale”. Si è anche detto che
questa inflazione dovrebbe tenere conto degli indici europei e dovrebbe
aggiungere ad essi l’aumento dei mutui.
4. La Confindustria ha invece ribadito che per essa
l’aumento dei salari non può in nessun modo essere alla pari
dell’inflazione. Questo perché le aziende non possono sopportare un aumento
del costo del lavoro pari all’inflazione. Quindi la Confindustria, anche se
non sposa totalmente l’inflazione programmata del governo, ne condivide
completamente il concetto: i salari nei contratti nazionali devono crescere
meno dell’inflazione.
5. La Confindustria ha inoltre ribadito che il
nuovo sistema contrattuale dovrà contenere sanzioni per chi non rispetta le
regole della contrattazione, in primo luogo per le Rsu, i sindacati
territoriali, quelli nazionali, che dovessero chiedere di più di quello
concordato centralmente.
Sulla base di queste posizioni è ancor più chiaro
che non c’è alcun spazio per una trattativa, che si proponga di
migliorare le condizioni dei lavoratori. Di fronte alla sola possibilità, per
noi insufficiente, che il salario nei contratti nazionali recuperi
l’inflazione in atto, la Confindustria dice di no. Così non solo si nega il
sacrosanto diritto dei lavoratori di veder aumentati i salari a livello
nazionale, per recuperare quanto perso negli anni passati, ma si rischia di
accumulare nuove perdite. La Confindustria ha chiarito con queste sue
posizioni che essa intende chiedere una nuova riduzione del salario reale dei
lavoratori. Per poi costringere una parte di essi a lavorare di più per
guadagnare qualche cosa in più. Si conferma così che l’unica strada per
tutelare il salario dei lavoratori è quella di interrompere il negoziato e
passare alla mobilitazione.
Rete28Aprile
Rete 28 Aprile nella Cgil per l’indipendenza e
la democrazia sindacale
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