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Maggio
1941 le spie sovietiche avvisano che Hitler
sta per attaccare l'Unione
Sovietica: Stalin non le ascolta!
Febbraio 2022 Putin non
ascolta i responsabili dei
servizi segreti russi
prima dell'invasione
dell'Ucraina
La storia si ripete...
La rilettura di una pagina
pubblicata 10 anni fa ma dal tono premonitore ....
Non
vogliamo con questa piccola pagina cercare di dare un giudizio sommario o
assoluto sul ruolo di Stalin in quella che in Russia fu definita la guerra
patriottica e che significò milioni di morti ma anche la sconfitta
del nazifascismo in Europa. Stalin alla fine di quella vicenda dolorosa
durata quattro anni ne uscì rafforzato all'interno del paese, ma
anche a livello internazionale. Lo stesso movimento comunista
internazionale fece del suo nome un vessillo che, sino agli anni
dell'operazione di revisionismo storico di cui si assunse la
responsabilità Krusciov ,vide nel capo supremo del PCUS l'uomo-partito
simbolo, il capo vittorioso .
Ma
fu vera gloria?
Purtroppo
anche il marxista-leninista più incallito di fronte ai tanti memoriali,
diari, documenti usciti dagli archivi ( se pur in parte risecretati con
Putin) deve ammettere che Stalin, oltre alla grave responsabilità nelle
purghe della fine degli anni trenta vi è anche quella di non aver voluto
dare ascolto ai segnali di allarme che provenivano dai tanti informatori e
simpatizzanti all'estero che in quel lontano maggio del 1941 avvisarono
che la Germania nazista stava di lì a giorni per attaccare la Russia .
Quanto
costò tutto questo in vite umane? quanto nel prolungamento della guerra?
Cosa avrebbe potuto significare un diverso andamento delle operazioni
militari che di lì a pochi giorni avrebbero fatto perdere centinaia di
migliaia di kilometri quadrati, di centinaia di città e paesi, di milioni
di ebrei caduti nelle grinfie naziste, di sangue e sudore di milioni di
proletari russi?
Ma
la Storia comunque non può essere giudicata con i ...se... possiamo
solo cercare di apprendere dagli errori affinchè altri proletari, altri
rivoluzionari non cadano negli stessi errori.
i
fatti
Il
9 maggio 1941 il quotidiano Izvestia deve confutare le voci che a livello
internazionale parlano di una concentrazione di truppe risse sul confine
occidentale: era vero ciò? In effetti mentre Hitler stava spostando le
armate per attaccare la Russia, anche Stalin aveva iniziato a rafforzare
l'intero schieramento sovietico per una guerra di tipo offensivo ad
occidente. Chi avesse volato in quei giorni dalla Siberia o dall Asia
centrale avrebbe visto muoversi numerosi treni militari verso ovest. Ma i
preparativi , per quella che sarebbe dovuta essere un'operazione volta a
limitare la preponderanza nazista nel centroEuropa erano lungi dal essere
ultimati, anzi essi furono in parte deleteri al fine della costruzione di
una linea difensiva adeguata contro un'avanzata lampo tedesca. Stalin
aveva da poco iniziato a parlare tra i militari di necessario
atteggiamento offensivo ed aggressivo, dopo la costernazione e lo sgomento
che si era diffuso nell'intero movimento comunista internazionale quando era
stato siglato il patto Ribbentrov-Molotov che aveva diviso la Polonia in
due. e portato all'annessione alla Russia delle repubbliche della lituania,
lettonia ed estonia
Stalin
si era illuso che grazie a quel patto Hitler lasciasse in pace la Russia e
si rivolgesse definitivamente contro le potenze capitalistiche ,
inghilterrra e USA che non avevano voluto firmare un patto di belligeranza
antinazista con la Russia. Purtroppo a fregarlo sul tempo e in furbizia fu
proprio Hitler: a pochi giorni dalla conquista di Creta, quando il
Mediterraneo stava per divenire il Mare Nostrum nazifascista, ecco che
attaccò la Russia di Stalin.
L'intero
sistema di comando e controllo dell'esercito russo con in testa Stalin,
furono totalmente incapaci di reagire, anche a fronte dei segnali
premonitori alla frontiera e delle informazioni provenienti dalle spie
all'estero
14
maggio 1941 l'informatore Zeus di stanza a Sofia riferisce di divisioni
corazzate tedesche sul confine sovietico
19
maggio la spia Dora da Zurigo annuncia il completamento dei piani
dell'attacco nazista, il 20 maggio Esterno da Helsinky conferma
il
28 maggio ABC da Bucarest dichiara che la guera inizia a giugno 1941,
mentre Marte da Bucarest precisa che essa inizierà il 15 giugno
Ramzai
il cui nome in codice nasconde il celebre Richard Sorge, un tedesco che
aveva abbracciato gli ideali comunisti e che viveva in Giappone tra i
diplomatici tedeschi, conferma pienamente la data del 15 giugno.
Mai
informazione fu così precisa ed autorevole,( l'attacco avvenne con 6
giorni di ritardo) ma Stalin che non voleva prestare nessun ascolto a
questi avvisi e che avrebbero messo in cattiva luce la sua capacità di
abbindolare la diplomazia tedesca fece catalogare questo messaggio
come" fuorviante"
Dopo
aver ricevuto una nota da un infiltrato sovietico nel quartier generale
dell'aviazione nazista che lo avvisava dell'attacco imminente, disse
che:-" quella fonte si vada a farsi fottere, è un bugiardo!"-
Si
giunse così alla notte del 20 giugno quando a mezzanotte , un soldato
tedesco del 74° fanteria , attraversò silenziosamente nuotando il
fiume a ovest di Vladimir Vlolinskjji ed annunciò l'invasione alle
quattro del mattino. l'informazione giunse velocemente al generale Zukov
che alle 12, 30 chiamò Stalin
Quest'ultimo
volle appurarsi che la direttiva che annunciava delle manovre provocatorie
tedesche alle quali non bisognava rispondere in maniera eccessiva , fosse
stata inviata ai generali al fronte. detto questo Stalin andò a dormire.
Venne
la guerra , con i suoi terribili disastri iniziali e per dieci giorni la
sua voce rimase in silenzio...poi alla radio ci fu il famoso discorso,
quello che sembrò voler far suggellare un nuovo patto di sangue tra i
popoli della Russia Sovietica e il partito comunista e l'esercito rosso
con a capo Stalin... un patto che porterà la bandiera rossa a sventolare
sulle rovine di Berlino esattamente quattro anni dopo, nel maggio del 1945
A.C
della redazione dell'Archivio Petrone
sEGUE
21 GIUGNO 1941 DISASTRO AD OVEST!
Spunti
tratti da :
Il
silenzio di Stalin
di
Constantine
Pleshakov
edizioni
Corbaccio , Milano, 2007
S
nota della redazione
Come contributo al dIbattito inseriamo la posizione
dei comunisti internazionalisti di battaglia comunista su quei fatti
una posizione molto critica sia su Stalin, che sul comportamento dei
dirigenti delli partiti comunisti aderenti alla Terza Internazionale, ma
sulla quale avremmo molte riserve ed osservazioni da fare come ad esempio
l'estrema difficoltà che avevano i dirigenti comunisti nell'affrontare il
lavoro clandestino e il sapere che in un'Europa dominata dal nazismo, per
loro la vita era durissima e l'unico bastione rimaneva in ogni caso la
Russia di Stalin... ma come da prassi riprotiamo integralmente quanto da
loro scritto ed invitiamo anche coloro che avessero posizioni dverse a
comunicarcele e le pubblicheremo.
Il
ruolo della Russia nella seconda guerra mondiale
Lo scoppio della guerra non colse di sorpresa la Russia.
Vent´anni di controrivoluzione scavarono profondissime tracce nel tessuto
economico dell´ex repubblica dei Soviet. La contraddizione di fondo che
aveva attanagliato la giovane rivoluzione bolscevica nei suoi primi anni
di vita: l´esistenza di uno stato proletario nato come condizione
politica per una trasformazione economica in senso socialista, ma
impossibilitato a realizzarla nell´isolamento da altre esperienze
analoghe nell´Europa occidentale, non poté risolversi che nello sviluppo
dei rapporti di produzione capitalistici, nei modi e nelle forme che l´eredità
della fallita rivoluzione e la linea di tendenza del capitalismo
internazionale poterono consentirle. Il ripristino dell´economia
mercantile, l´estorsione pianificata del plusvalore, il rispetto più
ferreo delle leggi dell´accumulazione furono il contenuto, il
rafforzamento dell´istituzione statale, la concentrazione economica e la
centralizzazione politica, ovvero l´apparato economico politico
staliniano, la forma attraverso la quale si espresse e crebbe il
capitalismo di stato in Russia.
Lo svolgersi di questo processo di sviluppo capitalistico contrabbandato
per socialismo in un solo paese e corredato da una revisione "ab imis
fundamentis" [dalle fondamenta, dalle radici] della strategia
rivoluzionaria, non avvenne senza inciampi, lotte intestine e purghe, sia
all´interno che all´esterno dei confini sovietici. Nel partito
bolscevico Stalin iniziò sin dal 1926 ad eliminare
suoi avversari politici sino a distruggere completamente tutta la vecchia
guardia bolscevica nel "biennio rosso" 1936-38. [1] Su scala
internazionale, attraverso lo strumento del Komintern, operò perché
anche all´interno dei vari partiti comunisti si facesse altrettanto.
Così, dopo la grande crisi (29-33), quando le prime avvisaglie del
conflitto mondiale iniziarono a manifestarsi con progressione geometrica,
la Russia poté entrare nell´arengo imperialistico a pieno titolo, con
una economia capitalistica ormai assestata, con una opposizione interna
pressoché nulla e con una struttura ideologico-organizzativa
internazionale delle più ossequienti. In pratica la Terza Internazionale
con la sua corte di partiti centristi sparsi in tutta Europa, si preparò
a compiere nei confronti della seconda carneficina mondiale il ruolo che
giocò la Seconda Internazionale nei confronti della "grande
guerra", con l´enorme differenza di camuffare la guerra imperialista
in momento di difesa del "suo" socialismo a cui tutto era
subordinato sia da un punto di vista diplomatico che tattico-strategico.
In questa chiave vanno letti i passi obbligati che la Russia compì nella
guerra di Spagna, la politica di aggressione nei confronti della
Finlandia, l´alternarsi dei rapporti diplomatici prima con Francia ed
Inghilterra, poi con la Germania di Hitler che culminarono con gli accordi
russo-tedeschi del 23 agosto 1939.
Abbandonata ogni preoccupazione di presentarsi agli occhi e alle esigenze
del proletariato internazionale come momento propulsore di fermenti
rivoluzionari, e al contempo, preoccupato di costruire una rete di
alleanze all´interno del contraddittorio muoversi degli interessi
capitalistici europei, l´imperialismo russo uscì allo scoperto.
Nel 1934 entrò trionfalmente nella Società delle Nazioni, organismo
internazionale che più volte Lenin definì "covo di briganti".
Un anno dopo, in occasione degli accordi italo-francesi di Roma (gennaio
35) stipulati da Laval e Mussolini, secondo i quali si dichiarava
solennemente di comporre
ogni diaspora tra i due paesi per fronteggiare insieme il riarmo tedesco e
le sue mire espansionistiche nei confronti dell´Austria [2], Stalin ebbe
a dichiarare che "comprende e approva pienamente la politica di
difesa nazionale della Francia"
In altri termini, nel momento in cui l´imperialismo russo accettava l´incontro-scontro
con le altre potenze, non aveva più senso negare la necessità della
guerra, spendere parole inutili contro gli armamenti e il militarismo con
tutti gli annessi e connessi. E´ dello stesso anno la direttiva del
Komintern ai partiti comunisti di appoggiare i rispettivi governi, di
operare concretamente sul terreno della salvaguardia degli interessi
nazionali, sottacendo, come nel caso di Francia, Inghilterra e Italia, il
carattere capitalista delle loro economie e il ruolo imperialistico
perpetrato in Asia ed in Africa. L´ammiccamento russo-francese ebbe
immediate ripercussioni sul proletariato parigino. Organizzato uno
sciopero contro i salari di fame e contro i continui aumenti della
produttività, il 9 giugno, 700 delegati di base si scontrarono con i
membri del PCF e della CGT, ciechi interpreti delle "nuove"
direttive provenienti da Mosca. Lo scopo del PCF era quello di far cessare
lo sciopero, l´occupazione delle fabbriche, di far riprendere il lavoro
per incrementare la produzione in funzione dell´imminente conflitto con
la Germania. Con lo scoppio della guerra civile spagnola, che da tutte le
forze che scesero in campo, sia in difesa del fronte popolare che a favore
del Generalissimo Franco, fu considerata come il prologo della guerra
mondiale, si manifestò palesemente il ruolo controrivoluzionario della
Russia. Nella prospettiva di Stalin il ruolo delle Brigate Internazionali
come il contenuto politico dello scontro, non avrebbe dovuto travalicare
il falso antagonismo fascismo-democrazia, in altri termini doveva essere
chiaro ai "comunisti" spagnoli ed europei che la lotta era
antifascista ma non anticapitalistica, che quanto si stava giocando sulla
pelle del proletariato spagnolo era una questione tra fazioni borghesi e
non uno scontro di classe. Negli anni che precedettero lo scoppio della
guerra, anni di rapina e di intese, di prevaricazioni e di trattati, la
Russia intervenne come imperialismo tra gli imperialismi nel complesso
scacchiere geografico degli interessi nazionali.
La progressione degli avvenimenti fu tragicamente impressionante.
Mentre nel 36 Mussolini inviava truppe italiane al comando del generale
Badoglio alla conquista dell´Etiopia, Hitler ne approfittava per riarmare
la Renania e agganciare l´Austria nell´orbita tedesca.
Il Giappone, dopo che le forze militariste ebbero preso il sopravvento,
stipulò con Hitler il patto anti-Komintern (novembre 1936) si accinse ad
invadere la Cina. La Germania nel marzo del 38 annette definitivamente l´Austria
e dopo gli accordi di Monaco nel settembre dello stesso anno stipulati con
Mussolini, Deladier e Chamberlain, procede alla occupazione della
Cecoslovacchia, concedendo all´Italia di invadere l´Albania in vista
degli accordi del "Patto d´Acciaio" del 22 maggio. A questo
stadio di sviluppo degli avvenimenti appare insostenibile la tesi secondo
la quale Stalin fosse all´oscuro di quanto stava accadendo sotto gli
occhi di tutti e tanto meno che tentasse di giovarsi in qualche modo della
situazione. Sottacere, infatti, le mire imperialistiche tedesche
significava giustificare le proprie. In effetti, quando la Germania di
Hitler operò sul piano della forza dichiarala.
senza mezzi termini, invadendo in pochi giorni la Polonia (9-28
settembre), dando ufficialmente inizio alla seconda guerra mondiale, la
Russia di Stalin si affrettò ad occupare la restante parte della Polonia
e grazie a un nuovo trattato russo-tedesco, installò una sorta di
vassallaggio militare ad Estonia, Lettonia e Lituania le quali cedettero
senza opporre resistenza. Lo stesso trattamento fu imposto alla Finlandia,
che dopo mesi di dura resistenza (novembre 39 - marzo 40) cedette all´imperialismo
russo.
Nella prospettiva imperialistica russa era presente una sola
preoccupazione: fare in modo che i preliminari, quanto la guerra, le
arrecassero, sul terreno della conquista, il massimo dei vantaggi.
Il trattato Stalin-Ribbentrop che certa storiografia di parte cercò di
giustificare in mille modi, ebbe un solo scopo: permettere all Russia,
nell´eterno gioco del "do ut des", di spartire con la Germania
i brandelli della Polonia, di avere mano libera in Finlandia, anche a
costo di sciogliere o addirittura di mandare al macello interi partiti
comunisti, come quello polacco.
Il problema non era più dunque quello di denunciare la guerra, di lottare
contro l´imperialismo ma di scegliere il campo, stabilire alleanze a
medio e lungo termine, dare contenuto al proprio imperialismo. Imboccata
la strada, Stalin non esitò a percorrerla sino in fondo. Il 29 settembre
dello stesso anno firmò un nuovo trattato con la Germania "Patto di
amicizia e di reciproco rispetto della frontiera" che gli permise di
allungare le mani su Estonia, Lettonia e Lituania. La contropartita
consisteva nell´abbandonare la polemica antifascista e antinazista per
passare alla più spudorata difesa dei misfatti hitleriani.
Solo pochi mesi dopo l´ultimo trattato russo-tedesco Stalin,
rimangiandosi i deliberati del VII Congresso del Komintern, emanò una
circolare a tutti i partiti comunisti imponendo loro di cambiare registro,
di sospendere ogni propaganda contro il fascismo, di non organizzare forme
di boicottaggio contro "l´amica Germania".
Si arrivò al paradosso quando Beria ordinò ai carcerieri dei Gulag di
non chiamare "fascisti" i prigionieri politici. Nella stessa
circolare, Stalin sosteneva che la causa prima dello scoppio della guerra
era da imputarsi all´imperialismo anglo-francese, mentre la Germania,
paladina della pace, era costretta a difendersi. Toccò a Molotov, nel
novembre del 39, inventare una giustificazione a questo ennesimo ed
apparentemente assurdo cambiamento di rotta nella politica del Komintern:
Nel corso degli ultimi mesi, i concetti di "aggressione" e di
"aggressore" hanno acquistato un nuovo contenuto concreto, un
altro significato. Ora è la Germania che sta operando per una rapida
finge del conflitto, mentre la Francia e l´Inghilterra, che solo si erano
pronunciate contro l´aggressione, sono oggi per la continuazione della
guerra e contro la conclusione della pace. I ruoli, come vedete,
cambiano... L´ideologia hitleriana, come ogni altra ideologia, può venir
accettata o respinta; questo è un problema che riguarda le idee politiche
personali. [3]
Persino i socialdemocratici gridarono allo scandalo denunciando la Russia
di aver tradito i più elementari principi della solidarietà
internazionalista. Ma l´imperialismo stalinista continuò imperterrito
sulla sua strada sino al giugno del `41, quando cioè la Germania lo mise
di fronte al fatto compiuto. Anche in questo caso va sfatata la tesi della
solita storiografia di parte che pretende di rappresentare uno Stalin del
tutto impreparato allo scontro frontale con Hitler. Se è vero che l´assurda
cecità politica di Stalin arrivò al punto di non tenere in nessuna
considerazione gli avvertimenti di Roosevelt [4] né dei servizi di
sicurezza dello Stato (NKGB) [5], secondo i quali quattro milioni di
soldati tedeschi si stavano ammassando ai confini russi, se risponde a
verità la notizia che il capo supremo dello stato Russo, all´atto della
dichiarazione di guerra da parte della Germania, sconvolto dalla notizia,
non si fece vedere al Kremlino per quasi una settimana, creando ulteriore
confusione nello scompiglio, è anche vero che a Stalin va imputato solo
un errore di calcolo. In effetti egli si aspettava un attacco tedesco,
solo che lo datava al `42, quando cioè fosse caduta anche la resistenza
inglese, permettendo così ai due futuri rivali di spartirsi con calma le
zone di influenza. Fu in questa prospettiva che Stalin iniziò dei
negoziati "segreti" con Hitler per tutto il 1940, mentre nello
stesso periodo aumentò l´organico dell´esercito del 250% , spostò
ingenti quantità di truppe sui confini occidentali, incrementò
notevolmente la produzione bellica. Quindi la sorpresa ci fu ma solo
parzialmente. Il giovane imperialismo sovietico poteva permettersi il
lusso di sbagliare le date ma non di essere impreparato a una guerra di
rapina e di aggressione di cui si era sentito, sin dalle prime battute,
parte integrante. La cecità di Stalin e la sua ottusa ostinazione a non
prendere in considerazione gli avvertimenti che da più parti gli
giungevano [6], sembrano essere dettate più da un errore di prospettiva
nel calcolare i tempi e i modi dell´evolversi degli accadimenti
imperialistici che dalla convinzione di poter giovarsi della guerra senza
esservi partecipe in prima persona.
L´unico errore della politica imperialistica di Stalin non fu quello di
non aver previsto un attacco da parte della Germania, ma di non averlo
previsto in tempo... nonostante gli avvertimenti diretti ed indiretti.
Anche in questi frangenti così controversi e contraddittori il Komintern
assolse pienamente il suo ruolo di cinghia di trasmissione delle
"esigenze" dello Stato russo, adeguando al suo mutevole
orientarsi politico-diplomatico i partiti centristi che operavano nell´occidente
europeo.
Il partito comunista d´Italia, come sempre, da quando Togliatti e
compagni ne assunsero la direzione, eseguì puntualmente le virate di prua
senza porsi minimamente il come e il perché di simili sbandamenti.
Accettato il principio che "lavorare" per la rivoluzione in
occidente significava appoggiare il potenziamento dello Stato russo, che
la rivoluzione comunista non sarebbe stata opera del proletariato europeo,
ma il prolungamento di quello russo esportato con la forza della guerra di
conquista, ne discendeva come corollario nefasto, il concetto del tutto
pragmatico, che qualunque mossa, qualsivoglia atto o trattato di politica
internazionale, fossero i momenti di una tattica necessaria per l´affermazione
dello Stato "socialista" e quindi della "rivoluzione"
internazionale.
Per cui il PC d´Italia fu con Stalin nella politica di avvicinamento al
vecchio imperialismo europeo anglo-francese contro la Germania nazista
agli inizi del 35, fu sempre con Stalin alla fine del 39 quando la
politica del Komintern lo indirizzò verso Hitler e la sua politica di
aggressione. Furono questi gli anni della confusione e del disorientamento
più assoluti. Furono gli anni che videro "L´appello ai
fascisti" uscire su "Stato operaio" del 1936 [7] e tre anni
più tardi, in occasione del trattato russo-tedesco, videro Togliatti
arrestato in Francia dal Governo Deladier, come
"fiancheggiatore" della politica filo-hitleriana. [8]
Contemporaneamente il PCI, avulso da qualsiasi prospettiva rivoluzionaria,
ripudiato ogni "residuo" di bolscevismo, completamente
assoggettato alle manovre di Mosca, non trovò di meglio che rinverdire
vecchie polemiche contro i militanti rivoluzionari.
Anche sotto questo aspetto, il partito di Togliatti, non fece altro che
mimare, con un copione da operetta, le tragiche epurazioni del PC russo.
Non meraviglia, quindi, la dichiarazione del CC del dicembre 1938 in cui
si ribadisce che:
I bordighiano-trockisti debbono essere allontanati spietatamente e senza
ritardo e denunciati pubblicamente come agenti del nemico, in modo che le
masse li respingano come la peste. Gli elementi conciliatori verso i
bordighiano-trockisti, che resistono a rompere i rapporti con questi
nemici, devono essere espulsi dal partito.
Sempre nel `38, dalle pagine de "Lo Stato Operaio" si continua
ad avere più paura degli elementi della sinistra rivoluzionaria che del
fascismo. Dalle presunte critiche politiche si passa all´insulto e alla
delazione, prendendo come capro espiatorio la figura di Bordiga e dei suoi
epigoni anche, se il primo si era autoescluso da quasi dieci anni dalla
vita politica attiva e i secondi operavano prevalentemente all´estero in
un mare di difficoltà organizzative. Ciò nonostante G. Berti ammoniva:
I compagni sanno che il bordighismo, il quale era nel passato una corrente
antileninista del movimento, operaio, é diventato attualmente un vivaio
controrivoluzionario, di spie e di disgregatori, al servizio del fascismo.
[9]
Paradossalmente la campagna contro la sinistra era l´unica strada
praticabile dal PCI in quegli anni. Il continuo ondeggiare di Mosca da un
polo all´altro dello schieramento imperialistico europeo rendeva
titubante l´atteggiamento del partito di Togliatti che, nel dubbio di
sbagliare obbiettivo, preferiva "rilavare i panni sporchi in
casa" evitando di mettere il naso fuori dalla finestra.
Le opposizioni di sinistra e la guerra
A parte il trotzkismo che con lo scoppio della guerra sancì il suo
definitivo passaggio sul terreno della controrivoluzione, scegliendo di
scendere in campo a fianco della Russia, facendo del momento tattico il
fulcro di ogni suo operare e subordinando ad esso la stessa prospettiva
strategica, solo i gruppi della Sinistra comunista Internazionale di cui
la Frazione italiana fu l´anima ispiratrice, cercarono di non cadere nel
calderone guerrafondaio che l´imperialismo, complice la stessa Russia,
stava organizzando. Gli anni che immediatamente precedettero lo scoppio
della guerra, tragicamente intensi di avvenimenti e di episodi
premonitori, permisero alla F.I. di fare una analisi compiuta delle
inevitabili prospettive dell´imperialismo e di circoscrivere, entro i
capisaldi del marxismo rivoluzionario, il terreno d´azione delle forze
che agivano, o avrebbero dovuto agire, in una prospettiva classista. In
questo senso, tutto ciò che venne prodotto in sede di elaborazione
teorica, di confronto e di scontro con organizzazioni sedicenti
rivoluzionarie, rimane ancora oggi un punto di riferimento importante.
La F.I. seppe prendere tempestivamente le distanze non solo dal naufragio
politico della Terza Internazionale e dal suo codazzo centrista, ma anche
da quelle forze, prima fra tutte il trotzkismo, che, pur dichiarandosi
fedeli all´esperienza bolscevica dell´ottobre sovietico, cedettero di
fatto, prima con la guerra di Spagna e con il conflitto cino-giapponese
poi, nell´interventismo anche se camuffato da aggettivazioni tattiche,
quali "critico" o "progressivo".
Fu così che il trotzkismo consumò sino in fondo il suo tradimento.
Allo scoppio della guerra cino-giapponese, Trotzky, in progressione con
quanto era andato sperimentando in Spagna, operò una serie di sottili
"distinguo" sul concetto di guerra che lo convinsero ad
elaborare la teoria secondo la quale non tutte le guerre sono uguali, ma
che ce ne sono di buone e di cattive, di giuste ed ingiuste, di
progressive e non. Se c´è una guerra giusta, è quella del popolo cinese
contro i suoi conquistatori per cui:
tutte le organizzazioni operaie tutte le forze progressive della Cina,
senza nulla cedere del loro programma e della loro indipendenza politica,
faranno sino in fondo il loro dovere in questa guerra di liberazione,
indipendentemente dal loro atteggiamento nei confronti del Governo di
Chang Kai-Shek. [10]
Come se non bastasse Trotzky tentò di dare una veste teorica alla sua
enunciazione di appoggio alla borghesia cinese, al suo fronte unito con il
partito di Mao, muovendo dal fatto che la guerra in questione avrebbe
rimosso la Cina dall´arretratezza economica tipica di rapporti di
produzione semi feudali per sospingerla verso uno sviluppo capitalistico
delle forze produttive, per questo "progressiva" e per questo da
appoggiare senza tanti tentennamenti.
Noi non abbiamo mai messo e non metteremo mai sullo stesso piano tutte le
guerre... Il Giappone e la Cina non si trovano sul medesimo piano
storico... Il patriottismo cinese è legittimo e progressivo. [11]
Questo come preludio all´appoggio del trotzkismo alla "giusta"
guerra della Russia nel secondo conflitto mondiale come se, a parte l´enorme
errore di considerare ancora la Russia come un paese socialista, fosse
possibile basare l´evolversi rivoluzionario in Europa ed altrove sul
rafforzamento dello Stato russo e non sulla necessità di favorire, là
dove se ne presentasse l´occasione, focolai di lotta di classe che si
ponessero su di un piano autonomo e non al traino degli interessi delle
rispettive borghesie.
Non si poteva non cogliere la palese contraddizione e la prospettiva
controrivoluzionaria a cui era giunta l´opposizione trotzkista. In queste
analisi, pregne di un tatticismo deteriore, false nelle analisi che negli
obiettivi di fondo, Trotzky negava sé stesso, facendo proprie le tesi che
dieci anni prima aveva ferocemente combattute contro Stalin e Bukharin.
[12] La F.I. seppe cogliere tutto ciò. Seppe cogliere il maturare degli
eventi, ebbe la capacità di analisi per non cadere nell´errore di
considerare lo Stato russo recuperabile agli interessi del proletariato
internazionale, seppe prevedere il ruolo che avrebbe giocato la Russia sul
piano imperialistico con le sue appendici trotzkiste e centriste. [13] Ma
soprattutto seppe prevedere la guerra, i suoi schieramenti e l´ideologia
nefanda sotto la quale il capitalismo mondiale avrebbe chiamato il
proletariato a pagare il prezzo delle proprie insanabili contraddizioni.
Ma accanto a tutto questo, accanto cioè al processo di analisi,
certamente parziale ma comunque rilevante riguardo all´evolversi della
struttura economica dell´ex repubblica dei Soviet, al determinarsi
caotico, a volte convulso, di opposizioni di sinistra alla ricerca di
nuovi quanto falsi orientamenti, la F.I. commise una serie di errori che
la condussero organizzativamente impreparata e politicamente incerta verso
quel fenomeno che essa stessa aveva previsto: la guerra. Vale la pena
ricordare come la Frazione vedesse proprio nella guerra il momento cardine
della propria strategia, il momento in cui le masse si sarebbero mosse su
di un piano di maggiore radicalizzazione permettendo alle minoranze
rivoluzionarie di effettuare il salto qualitativo, di passare cioè dalla
mera difesa dei sacri principi (frazione) alla guida delle lotte
proletarie (partito). [14] Crisi del capitalismo, guerra e ripresa delle
lotte di classe quindi erano i momenti oggettivi e soggettivi attorno ai
quali si sarebbe dipanata la matassa della storia facendo cadere gli
ultimi veli all´equivoca Russia, il ruolo controrivoluzionario del
centrismo, spianando la strada ad una soluzione rivoluzionaria:
"prima, durante o dopo l´evento bellico, a seconda dell´evolversi
del complesso rapporto avanguardie rivoluzionarie-masse-centrismo".
Il bilancio che le frazioni di sinistra devono trarre è di conseguenza,
un bilancio storico. Le contraddizioni del mondo capitalistico, nella sua
fase imperialista, sono destinate a precipitare nella rivoluzione o nella
guerra. Dopo la vittoria del centrismo all´interno del partito, solo la
frazione di sinistra potrà ridare il partito al proletariato,
riconquistandolo per guidare il proletariato alla rivoluzione. Nel caso in
cui le frazioni non pervengano a condurre, proprio grazie al centrismo, il
proletariato alla vittoria, nessuna volontà individuale potrà evitare l´altro
sfogo delle situazioni: la guerra; ed è solamente nel corso di questa, o
dopo, che la frazione, trasformandosi in partito, potrà condurre il
proletariato alla vittoria.
Fu proprio in questa aspettativa che la Frazione commise il suo primo,
grande errore. Mentre si interpretavano correttamente i mille segni che
accompagnavano il maturare degli eventi verso la conflagrazione bellica:
In tutti i paesi è la comune voce degli Stalin, dei Vandervelde, degli
Hitler, dei Mussolini, che si alza e che provvisoriamente lega le masse al
capitalismo mondiale. Ma non siamo che alla prova generale. A quando la
guerra? Nessuno la può predire. Ciò che è certo è che tutto è pronto.
[16]
Si continuava ad insistere sul concetto politico di frazione demandando l´immane
compito di costituzione del partito a "tempi migliori":
D´altra parte, la situazione di guerra imperialistica che noi viviamo,
impone alle frazioni di sinistra di ciascun paese di uscire dalla fase
precedente d´isolamento in cui vivevano e dove, seguendo Marx, gli era
possibile vivere una vita internazionale... Il compito della Frazione
italiana è quello di fare uno sforzo, non per sostituirsi al proletariato
dei vari paesi, ma di dissipare la confusione esistente, di permettere
alle forze proletarie esistenti di riconoscersi, di ritrovarsi e di
collegarsi per costituire la frazione di sinistra. [17]
L´insistenza sulla necessità della frazione e non della costruzione del
partito come risposta politico-organizzativa al maturare della situazione
internazionale, ebbe nella frazione, una travagliata quanto
contraddittoria vita. Sino al 1935 la funzione e il ruolo della frazione
erano intimamente legati al processo di degenerazione che divorava i
partiti centristi, i quali se non erano più gli organi politici della
lotta di classe non erano ancora gli strumenti dichiarati del nemico di
classe. Dopo il 1935 (congresso della F.I.), dopo cioè che emerse l´irreversibilità
del processo degenerativo in atto, la Frazione, sotto la spinta
elaborativa di Jacobs e Vercesi andò maturando la tesi della permanenza
storica di questa particolare forma organizzativa delle avanguardie
rivoluzionarie nelle fasi controrivoluzionarie per collocare la
trasformazione in partito solo ed esclusivamente nei momenti di ripresa
della lotta di classe, quando fosse all´ordine del giorno la presa del
potere da parte del proletariato. [18]
Divise così le due fasi storiche, quella rivoluzionaria e quella
controrivoluzionaria, fu conseguenza logica collocarvi le due forme
organizzative e la delimitazione dei rispettivi compiti.
Nei momenti meno favorevoli i militanti comunisti avrebbero dovuto operare
come "frazione" preoccupandosi soprattutto di salvaguardare i
principi fondamentali del marxismo preservandolo dalla contaminazione
opportunista della costruzione dei quadri politici e della elaborazione
tecnica, senza preoccuparsi eccessivamente o del tutto del problema
intervento. Nelle fasi di ripresa della lotta di classe avrebbero dovuto
"trasformarsi in partito" per guidare il proletariato alla
conquista del potere, ergendosi nelle lotte stesse a punto di riferimento
politico.
L´errore di fondo fu quello di concepire la lotta di classe, i suoi
sbalzi, le sue impennate, alternate a più o meno lunghe fasi depressive,
non come il portato politico del perenne scontro di interessi tra capitale
e forza lavoro, determinato nelle sue fasi di stanca o di repentino
risveglio dal maturare delle contraddizioni del sistema produttivo, ma
come somma di momenti eccezionali che solo come tali possono essere presi
in considerazione dalle "avanguardie" politiche. Secondo questa
prospettiva la lotta di classe, ed il suo alterno andamento, divengono un
lungo periodo storico in cui "non c´è nulla da fare",
alternato da fasi di risveglio nelle quali, e solo in esse c´è posto per
l´operare del partito rivoluzionario.
Se è vero che solo nei momenti di crisi economica è possibile il
determinarsi della radicalizzazione delle masse, la loro disponibilità a
battersi contro l´avversario di classe, ed è più facile stabilire un
rapporto organico tra le esigenze spontanee, parziali e contingenti del
proletariato e la prospettiva strategica del partito, è anche vero che il
partito non decide di eclissarsi nei momenti meno favorevoli seguendo la
classe nella sua sconfitta. Il partito, proprio perché strumento politico
permanente della lotta di classe, ha il compito di rappresentarla in tutte
le sue fasi, subendo sì gli alti e bassi del procedere contraddittorio
del divenire capitalistico, ma sforzandosi di esserne in ogni momento un
punto di riferimento.
Non è il partito che determina o sceglie le situazioni per intervenire,
ma saranno le situazioni a limitare o ad ingigantire i suoi compiti. Mai,
comunque l´organizzazione politica dei rivoluzionari può ridursi alla
stregua di un gruppo di studiosi dediti alla meditazione senza porsi il
problema di intervenire all´interno della lotta di classe
indipendentemente dal livello col quale essa si esprime. Pensare ed
operare altrimenti, teorizzare cioè l´impossibilità della permanenza
del partito nelle fasi controrivoluzionarie, sostituito dall´organismo
frazione, che ha come caratteristica peculiare quella di poter fare tutto
(?) meno che di essere là dove dovrebbe, significa rinunciare al proprio
ruolo nei momenti difficili e precludersi la possibilità di intervenire
tempestivamente nelle situazioni favorevoli. La storia ha ampiamente
dimostrato che le soluzioni rivoluzionarie, anche se si determinano e si
risolvono soltanto in presenza di momenti particolari, se non c´è alle
spalle un lungo lavoro preparatorio, che solo un partito può svolgere, il
tutto si accartoccia su sé stesso aprendo la strada ad una soluzione
borghese.
Questa concezione meccanicistica che delega la formazione del partito alla
questione della presa del potere o alla ripresa della lotta di classe, già
espressa dalla Frazione al suo congresso del 1935 (a proposito va
ricordato che non tutti i suoi membri erano d´accordo sulla risoluzione
adottata):
Possiamo affermare che il partito possa fondarsi al di fuori di una
prospettiva storica in cui si pone il problema del potere? E´ evidente
che poiché il partito si fonda sulla nozione della lotta contro lo Stato
capitalistico, se le condizioni per questa lotta scompaiono
momentaneamente o per un periodo dato, il problema del partito non si
pone... [19]
venne riproposta, aggravata nella formulazione e dalla vicinanza della
guerra nel febbraio del 1938, in occasione della costituzione del
"Bureau International" formato dalla Frazione italiana e da
quella belga: [20]
Il Bureau proclama che la costituzione dei nuovi partiti e la fondazione
della IV Internazionale non possono risultare che dallo sbocciare di
movimenti proletari che si orientano verso la Rivoluzione comunista. Alla
formula: occorre fondare un partito per creare la lotta di classe, il
Bureau oppone l´altra formula: occorre la lotta di classe per fondare il
partito. Solo la maturazione della classe fornisce la base di massa
indispensabile alla trasformazione della frazione in partito. Costruire un
partito di "massa" indipendentemente da questa maturazione vuol
dire distruggere la base ideologica dello stesso partito: la Frazione di
sinistra. [21]
I tre punti programmatici meritano un esame approfondito non solo perché
denunciano palesemente una errata impostazione nell´affrontare il
problema del partito ed il suo rapporto con la classe, ma anche perché in
essi è possibile trovare la chiave del fallimento politico della frazione
nei confronti della guerra e del ruolo che i rivoluzionari devono compiere
nella prospettiva di questo tragico evento. Le analisi servono a ben poco
se non si traducono in prassi quotidiana, in momenti di verifica politica
e di agitazione all´interno del contraddittorio muoversi dei fenomeni
sociali; tanto peggio se le analisi sono viziate da difetti d´impostazione.
Con il primo punto viene ripresa la nozione partito legato alla ripresa
della lotta di classe. In altri termini si estremizza in senso
meccanicistico il rapporto dialettico tra condizione obiettiva e
soggettiva, demandando al maturare degli eventi tutti quei problemi
politico-organizzativi che invece avrebbero dovuto essere affrontati per
tempo, anche se nei limiti di condizioni date. L´ipotesi di fondo è
caratterizzata dalla aspettativa che le crisi economiche, oltre a muovere
le masse permettano a un gruppo di studiosi che si sono autoconvinti di
dover vivere la lotta di classe come un fatto di letteratura politica, di
trasformarsi in partito della classe operaia e di colmare, nello spazio di
ventiquattro ore, la distanza politica tra il proletariato e la sua
avanguardia.
Se è storicamente verificabile che non tutte le crisi economiche hanno il
potere di smuovere le masse, ma che non c´è muoversi del proletariato
senza che alla base non vi sia una situazione di tracollo economico che lo
determini, è anche vero che quest´ultimo può rappresentare la
condizione necessaria ma non sufficiente alla sua risoluzione in senso
rivoluzionario.
La storia è ricca di episodi di crisi economiche e di sommovimenti, più
o meno spontanei, della classe operaia, ma tremendamente povera di
rivoluzioni comuniste. Ciò non in funzione del fatto che il capitalismo
mondiale, nella ormai secolare gestione del suo rapporto con la forza
lavoro, sia riuscito a trovare un rimedio efficace per eliminare le
proprie contraddizioni, sino a tollerare o ad assorbire senza danno le
crisi economiche, né che il proletariato non abbia saputo rispondere per
tempo con lotte acute e radicali, ma proprio perché è venuto meno il
partito, la guida politica, quell´organizzazione della lotta di classe
che sapesse trasformare, nelle condizioni favorevoli, la spontaneità
proletaria, gli infiniti episodi di radicalizzazione delle lotte, in
rivoluzione sociale.
Non bastano le crisi, non è sufficiente che le masse scendano
spontaneamente nelle piazze perché si possa parlare di evento
rivoluzionario in senso comunista. Accanto a questi due fenomeni,
necessari, imprescindibili, occorre la presenza di una tattica, di una
strategia, di un programma e di una coscienza unitaria del fine che non si
ritrovano per incanto finalistico o per una correlazione meccanica né
nelle crisi, come bruto fatto economico, né nell´insorgere delle masse,
come spontanea risposta alle aggravate condizioni di vita. Ma anche la
terza condizione (presenza del partito) perde di efficacia, se la sua
presenza operante è legata ad un momento particolare, anche se
significativo, dell´evolversi della lotta di classe, come se fosse una
questione dell´ultima ora, un avvenimento accessorio che nasce nelle fasi
montanti e scompare nei periodi di riflusso. Il partito proprio perché
espressione politica della lotta di classe, e non di un suo momento
particolare, ha la funzione di concrescere con gli avvenimenti economici e
sociali, di rappresentare, nel perdurare del rapporto capitale forza
lavoro, un punto di riferimento politico riconoscibile sia nelle fasi
storiche in cui è palese il predominio della borghesia, sia nelle fasi più
propizie dove si pone all´ordine del giorno la presa del potere. Anzi, se
ne deve concludere che la possibilità, da parte della avanguardia
politica di imprimere una svolta rivoluzionaria al muoversi delle masse è
direttamente legata al lungo, oscuro, e molto spesso, improbo lavoro che
ha saputo svolgere nelle fasi precedenti. E´ solo attraverso la continuità
politico-organizzativa, solo attraverso la sua sopravvivenza nei periodi
controrivoluzionari e solo grazie al lavoro che ha potuto e saputo
svolgere in queste fasi, che il partito può trasformare i contatti in
legami, trasformarsi da piccola organizzazione di pochi e scelti militanti
in partito che ha dietro di sé le masse. Potremmo dire, con una facile
sintesi, che l´organizzazione dei rivoluzionari ha di fronte a sé il
destino che ha saputo costruirsi.
Due cicli di accumulazione e due guerre mondiali hanno ampiamente
dimostrato, esperienza russa a parte, come il capitalismo, pur nelle
inevitabili differenze dovute al diverso grado di sviluppo delle proprie
contraddizioni, sia costretto a ripetersi nelle crisi e nelle guerre, come
il proletariato internazionale sia stato gettato alla ribalta delle lotte
proprio in relazione con questi avvenimenti, o dalle loro immediate
conseguenze, e come il ritardo storico nella costruzione dei partiti o la
loro assoluta assenza, abbiano non solo impedito la soluzione
rivoluzionaria, ma in mancanza di questa abbiano esposto il fianco all´inevitabile
soluzione borghese.
Per cui la tesi che vuole spezzare la continuità della lotta classe e
della sua espressione politica, attribuendo all´organizzazione dei
rivoluzionari ruoli e compiti differenti a seconda della situazione
(studio dei fenomeni sociali, elaborazione teorica e costruzione dei
quadri, cioè Frazione, nei periodi controrivoluzionari, e sua
trasformazione in partito, ovvero intervento attivo nella lotta di classe,
solo in presenza della possibilità di pervenire alla presa del potere)
pone tutte le premesse per una inevitabile sconfitta politica. A meno che
non si voglia giocare sul piano della confusione delle definizioni,
attribuendo alla Frazione il compito che è caratteristico del partito, o
farne una questione di mero computo quantitativo. Nel caso preso in esame,
invece, ne consegue che, nella fase di decadenza del capitalismo, i cicli
di accumulazione devono svolgersi senza la pur minima opposizione politica
organizzata, senza che la classe, nei suoi pur minimi conati di rivolta e
di resistenza agli attacchi del capitale, possa trovare un punto di
riferimento politico. Il partito, infatti, è caratterizzato non solo
dalla capacità di preservare nel tempo i principi fondamentali del
comunismo rivoluzionario, di portare a compimento, là dove nuove
situazioni lo impongano, analisi e aggiornamenti, ma anche dalla necessità
di tradurre tutto questo bagaglio storico di esperienze in soluzioni
tattiche che abbiano come costante riferimento l´obiettivo strategico
rivoluzionario, e ciò è possibile alla sola condizione che il partito
intervenga sempre e comunque all´interno della lotta di classe
qualsivoglia sia il grado di intensità o il suo livello di
radicalizzazione.
Teorizzare la "necessità" della Frazione quando "non c´è
nulla da fare" e del partito quando il radicarsi della situazione
impone "il tutto e subito" è un errore carico di nefaste
conseguenze.
La Frazione italiana all´estero non solo operò in questo senso,
lasciandosi superare dagli eventi (secondo conflitto mondiale) ma tentò
di codificarla sommando al primo errore, un secondo, per certi aspetti
ancora più grave:
II Bureau dichiara che la costruzione dei nuovi partiti e la fondazione
della IV Internazionale non possono risultare che dallo sbocciare di
movimenti proletari che si orientano verso la rivoluzione comunista. [22]
Bisogna rileggere il passo due volte per essere certi di non aver capito
male.
Alla impostazione meccanicistica secondo la quale partito e situazione
oggettiva si legano indissolubilmente, se ne aggiunge una seconda di
carattere idealistico per cui l´attesa del salto qualitativo da Frazione
a partito viene spostata ancora più in là, a quando cioè le masse,
sospinte dalla crisi si orientino verso una soluzione comunista. A questo
punto viene spontaneo chiedersi perché non spostare a dopo la rivoluzione
la nascita del partito se si parte dall´ipotesi che le crisi hanno, oltre
al potere di muovere le masse, anche quello di orientarle verso la
soluzione rivoluzionaria? Se il rapporto crisi-masse è di per sé
ispiratore di "soluzioni comuniste", la funzione del partito
diverrebbe un fattore accessorio, secondario, di cui se ne potrebbe
benissimo fare a meno, ed è inutile esercitazione teorica la sua
collocazione storica.
Una simile impostazione del problema implica, se portata sino in fondo,
due conseguenze tra loro complementari, entrambe false sul piano dell´elaborazione
e controrivoluzionarie su quello della prassi:
che il tanto invocato e idealizzato "partito di massa", che tale
diverrebbe solo al culmine della lotta di classe, quando ormai il
proletariato avrebbe posto "autonomamente " le condizioni
politiche e organizzative per una soluzione comunista della crisi o della
guerra, cesserebbe nei fatti di svolgere un ruolo determinante nell´evolversi
degli antagonismi di classe, di avere la funzione di avanguardia politica
che gli compete, e sarebbe un elemento secondario della lotta di classe,
per non dire inutile;
che la soluzione rivoluzionaria delle crisi risieda all´interno della
classe come fattore di coscienza che aspetta solo il momento propizio per
crescere e svilupparsi (autocoscienza) per cui al partito non spetterebbe
nessun ruolo se non quello marginale di fungere da momento acceleratore di
questo "fattore -coscienza".
In entrambi i casi l´impostazione marxista del rapporto partito-classe
viene ad essere completamente stravolta per lasciare ampi spazi alle
masturbazioni anarcoidi e operaiste. [23] Va detto, anche se per inciso,
che la tendenza Vercesi all´interno della Frazione, sul problema
classe-coscienza-partito nella prospettiva della guerra (prima che questa
si verificasse), non commise questo errore, (ne commise di ben altri) ciò
non di meno la teorizzazione resta e come tale va confutata, anche perché
non pochi sono gli epigoni che, dichiaratamente o in maniera velata, ad
essa si richiamano. Anche se Vercesi si arrampicò sugli specchi nel
tentativo di attribuire a Marx la paternità di queste tesi [24], il
fondatore del socialismo scientifico si è ben guardato dal teorizzare la
"necessità" delle Frazioni e di attribuire all´auto-coscienza
delle masse il compito di risolvere in senso rivoluzionario le crisi o le
guerre del capitale. Per Marx i tracolli economici sono la condizione
"sine qua non" dell´acutizzarsi della lotta di classe, ma sulla
spinta di queste situazioni obiettive, il proletariato si muove non perché
ha coscienza del fine storico, bensì perché "non ha da perdere che
le proprie catene".
Ed è proprio nel rapporto deterministico crisi-muoversi delle masse che
Marx inserisce il problema della coscienza, ovvero la questione partito.
Il partito non è qualcosa di diverso o di estraneo alla classe né è
identificabile con la sua totalità ma è una parte di essa, la più
avanzata e cosciente che ne unifica le lotte che la dirige verso un unico
fine, quello rivoluzionario.
Non è possibile, e con Marx la storia delle lotte di classe ce lo
insegnano, che la spinta proveniente dalla struttura economica sia in
grado di orientare il proletariato in modo autonomo verso una soluzione
rivoluzionaria, senza che quest´ultimo non abbia espresso, tramite la sua
avanguardia, una tattica, una strategia, una volontà cosciente dei modi e
dei mezzi materiali per la trasformazione sociale in senso socialista.
Senza una struttura politica determinata, senza un partito che per tempo
riesca, oltre che a prevedere gli accadimenti, ad organizzarsi per
risolverli, il capitalismo potrà avere mille crisi, fare mille guerre ed
il proletariato scendere mille volte in piazza, che non una soluzione
rivoluzionaria vedrà la luce.
L´attendismo di Vercesi e compagni sembra più ispirato al confucianesimo
che al marxismo: "siediti sulla sponda del fiume e vedrai passare il
cadavere del tuo nemico". Ma aspettare messianicamente sulla sponda
del fiume vuol dire, il più delle volte, farsi sorprendere alle spalle
dal nemico e finire con la faccia nell´acqua. Così fu per la tendenza
Vercesi. A furia di attendere la crisi, la guerra e l´orientarsi delle
masse verso una soluzione rivoluzionaria, fu sorpresa da tutti questi
fenomeni senza avere il tempo e l´opportunità di organizzare un
intervento tempestivo.
Con l´ultimo punto della dichiarazione del Bureau Internazionale non si
fa altro che rincarare la dose:
Solo la maturazione della classe fornisce la base di massa indispensabile
alla trasformazione della frazione in partito. Costruire un partito di
massa indipendentemente da questa maturazione significa distruggere la
base ideologica del partito: la frazione di sinistra. [25]
Anche in questo caso il complesso rapporto crisi-partito-classe subisce la
mortificazione di una impostazione meccanicistica che preferisce
catalogare i fenomeni sociali in fissi metodi di comportamento piuttosto
che seguirne la contraddittoria dinamica. Che significa, infatti,
collocare la nascita del partito al termine di un "processo di
maturazione delle masse" quando solo la operante presenza del partito
può garantire questo processo? O le masse pervengono spontaneamente ai più
alti livelli di coscienza maturando e sviluppando un modello di socialismo
che è loro dato "a priori", come una sorta di "ricordo
ancestrale" che viene rimosso in presenza di avvenimenti eccezionali,
ed allora non ci sarebbe bisogno del partito, oppure la coscienza di
questo fine (da non confondersi con la disponibilità alla lotta), è
patrimonio di una parte ristretta della classe (la sua avanguardia) che
ritorna sulla totalità per unificarne gli sforzi, per coordinarne verso
un unico fine le molteplici istanze, per dare alla spontaneità un
programma politico, ed allora il partito ha una sua ragion d´essere, è
una necessità che accompagna la lotta di classe in ogni momento del suo
manifestarsi e non soltanto a cose fatte.
Solo un partito che è presente quotidianamente nelle lotte, che ha saputo
resistere nei momenti difficili, può determinare quel processo di
maturazione delle masse che si vorrebbe avvenisse in sua assenza.
In altri tempi e sotto altre forme, anarchismo, spontaneismo e
meccanicismo hanno dovuto ricorrere all´autocoscienza delle masse per
negare o limitare il compito del partito rivoluzionario. Una delle analisi
ricorrenti che viene prodotta come prova dell´inutilità o addirittura
della nocività dell´organismo partito e, quindi della possibilità della
classe in generale di maturare "autonomamente", risiede nella
similitudine, per quanto riguarda questo specifico aspetto, tra la
rivoluzione borghese e quella proletaria. In sintesi, secondo questa tesi,
come la borghesia europea del diciassettesimo e diciottesimo secolo, nella
sua mortale lotta contro le strutture economico-politiche del mondo della
feudalità, è riuscita ad elaborare, in quanto classe, ancor prima dell´assalto
rivoluzionario, una nuova concezione dello stato, dell´economia, del
diritto, prefigurando le strutture fondamentali di un nuovo ordinamento
sociale, senza organizzarsi in partito, od organizzandosi solo nel momento
dello scontro finale, così il proletariato, inteso nella sua accezione più
vasta, nelle sue lotte quotidiane e soprattutto in presenza di condizioni
obiettive favorevoli, sarebbe in grado di fare altrettanto.
Niente di più falso. La borghesia ha potuto sviluppare una propria
coscienza, darsi una cultura, prospettare una strategia politica senza
ricorrere ad una struttura partitica centralizzata, se non nei momenti di
attacco frontale, anzi ha mosso i primi passi come classe cosciente del
proprio fine proprio sotto l´involucro politico-organizzativo della
monarchia in quanto detentrice di capitale mercantile ed usuraio, perché,
anche se "in nuce", era depositaria di un nuovo rapporto di
produzione, e solo quando si convinse che il suo ulteriore sviluppo
avrebbe definitivamente ed inconciliabilmente cozzato contro le vecchie
strutture del feudalesimo, abbandonò il traballante carro della monarchia
per rovesciarlo. Per la borghesia di quell´epoca, nuova classe economica
emergente, sviluppo delle forze produttive e coscienza delle necessità di
questo sviluppo procedettero su binari paralleli.
Per la classe operaia le cose stanno esattamente all´opposto. Con l´avvento
del capitalismo il proletariato industriale ha assunto il ruolo di oggetto
e non di soggetto economico, e più questa forma produttiva ha saputo
svilupparsi, più l´ideologia dominante all´interno delle masse è
risultata essere "l´ideologia della classe dominante". Non per
niente il "materialista Marx" lega la ripresa della lotta di
classe ai bruti fattori economici e non all´idealistica, quanto
ipotetica, lievitazione delle coscienze. Con questo non si vuol affermare
che il proletariato non possa "maturare" politicamente, si vuole
soltanto sottolineare che i livelli di coscienza ai quali può arrivare la
classe operaia, nel perdurare dei rapporti di produzione capitalistici,
non vanno oltre i limiti del ribellismo e dello spontaneismo più o meno
organizzato. La classe operaia, proprio perché oggetto sociale,
necessariamente "mantenuta" dai ritagli economici e culturali
della borghesia, non può pervenire nella sua totalità, al fine
rivoluzionario ed ai mezzi tattici per raggiungerlo. Solo una parte di
essa, la più preparata, la più avanzata politicamente, la più
determinata per volontà e chiarezza del fine, può maturare la coscienza
rivoluzionaria. Questa parte della classe i il partito. Se Lenin non
avesse saputo magistralmente legare la rabbia delle masse, la spontaneità
alla lotta, l´odio verso lo zarismo centuplicati dalle affamanti
condizioni della crisi bellica al programma politico del partito
bolscevico, ma avesse idealisticamente aspettato che questo programma con
tutte le sue implicazioni tattiche uscisse, come per incanto, dall´autocoscienza
di decine di milioni di oppressi, la storia non avrebbe potuto vedere
nemmeno l´unico esempio di rivoluzione proletaria.
Quindi collocare la nascita del partito o, se si preferisce, la
trasformazione della frazione in partito, ovvero inserire l´avanguardia
politica, soltanto nel momento in cui si ridesta la lotta di classe con la
relativa maturazione della coscienza, significa abbandonare Marx per
correre dietro a Confucio. Vercesi si sedette sulla sponda di "quel
fiume". Qualche tempo dopo lo ritrovarono a valle, bagnato fradicio
dalla cima dei capelli- alla punta dei piedi.
La guerra e le capriole di Vercesi
Prima di entrare nel merito della questione occorre caratterizzare il
clima che andò delineandosi all´interno della Frazione, sia per ciò che
concerneva l´evolversi degli accadimenti internazionali, sia per ciò che
riguardava l´organizzazione interna, tenendo conto di tre ordini di
fattori:
A che punto era pervenuta l´analisi della Russia e della guerra e che
ruolo avrebbe giocato la prima nella seconda.
Con lo scoppio della guerra la Frazione cessò quasi completamente
qualsiasi attività politica, si allentarono i legami organizzativi tra la
sezione che risiedeva in Francia e quella belga, anche tra i singoli
compagni, all´interno delle rispettive sezioni, i contatti andarono
allentandosi. Cessarono le più importanti pubblicazioni [26]. Lo stesso
Bureau International si sciolse al primo colpo di cannone.
Per tutto il periodo bellico, ed in modo particolare tra il 43 e il 45
vanno scisse le responsabilità politiche tra ciò che restava della
Frazione e la "corrente Vercesi" [27].
Russia e centrismo furono per anni al centro delle analisi della Frazione.
Ciò le permise di sbarazzare il campo dagli equivoci più grossi nei
quali precipitarono molte delle opposizioni di sinistra, prima fra tutte,
il trotzkismo. La lunga polemica condotta in prima persona contro lo
stalinismo e le sue appendici centriste sparse in tutta Europa, le consentì
di concludere definitivamente con quella esperienza che, dopo quasi vent´anni
di controrivoluzione, non poteva più rappresentare gli interessi del
proletariato russo, nè tanto meno, quelli dei proletariato
internazionale:
... il centrismo è diventato una delle forze essenziali per la
dominazione del capitalismo in tutti i paesi. E´ certo che il centrismo,
nel corso dei futuri movimenti rivoluzionari, avrà un ruolo
controrivoluzionario di primo piano e c´è da prevedere che esso si farà
carico di organizzare spedizioni punitive per massacrare i militanti
rivoluzionari. Le rivoluzioni che hanno determinato nel centrismo la terza
forma di dominazione della borghesia, impongono ai marxisti conclusioni
che interessano non solo l´avvenire dello stato proletario di domani, per
determinarne i fondamenti sulla base critica dell´esperienza sovietica,
ma anche il processo attuale di ricostruzione del partito della classe
operaia. [28]
Se chiara, quanto radicale, era in Vercesi l´analisi del centrismo tanto
da collocarlo, giustamente, accanto alle altre due forme della
conservazione borghese (fascismo e democrazia), non altrettanto preciso
era il giudizio sulla struttura economica dell´ex repubblica dei soviet:
Il centrismo in Russia è l´espressione politica di una struttura
economica che, essendo basata sulla legge dell´accumulazione
capitalistica, determina uno sfruttamento sul proletariato. Il fatto che
il beneficiario di questo sfruttamento, la classe che può utilizzarlo
nell´interesse dell´organizzazione sociale che gli è propria, non si
trova all´interno delle frontiere dello Stato Sovietico, ma sia il
capitalismo internazionale, non cambia gli effetti di un meccanismo
produttivo fondato sull´estrazione crescente di plusvalore... D´altra
parte, il fatto che la natura di classe dello Stato, dipendente dalla
forma di società fondata sempre sulla socializzazione dei mezzi di
produzione, non era cambiata nell´interesse della restaurazione borghese,
ha permesso a questo Stato d´intervenire in misura sempre più massiccia
nel processo della lotta di classe dei vari paesi. La funzione reazionaria
dello Stato russo poteva accompagnarsi al mantenimento della sua natura di
classe, mentre il movimento operaio restava sulla posizione precedente,
che la forma dell´organizzazione sociale (proprietà privata o
socializzazione) conteneva in sè le esplosioni del contrasto di classe e
del suo scoppio. [29]
La confusione è palese. Da un lato si continua a considerare la
"socializzazione" elemento caratterizzante dello stato russo,
dall´altro si constata l´esistenza operante delle leggi dell´accumulazione
capitalistica con la relativa estorsione di plus-valore. Conclusione: la
contraddizione esistente all´interno dello stato russo tra il permanere
di un rapporto sociale basato ancora sulla socializzazione e uno sviluppo
capitalistico dei rapporti di produzione, mentre avrebbe consentito lo
spostamento dello stalinismo, inteso come organismo statale degenerato,
sul terreno della controrivoluzione borghese, non avrebbe permesso la
nascita della borghesia, intesa nel senso tradizionale, che fosse in grado
di amministrare la quota di plus-valore che scaturiva dallo sviluppo
sempre crescente dei meccanismi economici capitalistici, per cui l´appropriazione
del plus-valore sarebbe stata una questione del capitalismo
internazionale. In questo caso l´errore non fu di prospettiva ma di
analisi. Totalmente estranea fu a Vercesi l´analisi delle forme
organizzative che lo stato russo era andato costruendosi nella fase
storica che andava dallo strangolamento della rivoluzione d´ottobre alle
soglie della seconda guerra mondiale: il capitalismo di stato. Vercesi,
nel tentativo di dare, in sede di analisi, una risposta al
"fenomeno" Russia, alla sua contraddittoria esistenza, al
rapporto tra lo stato russo ed il mondo capitalistico circostante, ed al
punto di approdo dell´imperialismo alla fine degli anni trenta, privilegiò
l´uso di vecchi metodi di indagine, di superate categorie d´analisi che
se erano valide per il capitalismo pre-monopolistico, stentavano a dare
una soluzione corretta alle più complesse determinazioni dell´imperialismo
nella sua fase più matura, in altre parole, preferì voltarsi indietro
piuttosto che guardare in avanti. Ecco perché Vercesi, e con lui una
parte della Frazione, si attardò sul falso problema
socializzazione-sviluppo del capitalismo e commise l´errore di
giustificare "l´anima capitalistica" dello stato russo andando
alla ricerca di una classe borghese, tradizionalmente intesa, che non
poteva trovare. [30]
Per andare al fondo del problema bisognava legare il fallimento della
rivoluzione d´ottobre alla linea di tendenza del capitalismo
internazionale degli anni trenta, dopo cioè le devastanti conseguenze
della "grande crisi" che determinarono radicali mutamenti nel
tessuto economico capitalistico con l´abbandono delle teorie liberiste,
nel campo della politica economica, per un intervento sempre più
necessario dello stato all´interno dei rapporti di produzione. Questa
tendenza, non scelta ma imposta dall´evolversi delle contraddizioni del
capitale, non poteva consentire all´economia russa, uscita devastata
dalle guerre civili e dalla stessa rivoluzione bolscevica, impossibilitata
a progredire in senso socialista per l´isolamento da altre esperienze
rivoluzionarie, un decorso "normale". Il fallimento della
rivoluzione russa non poteva che spianare la strada al suo opposto: il
ripristino e lo sviluppo del capitalismo, ma nelle forme e nei modi
imposti dall´imperialismo internazionale.
Per il nascente capitalismo russo, ancor debole nelle strutture, in enorme
ritardo nei confronti delle economie occidentali, non si poteva
prospettare uno sviluppo tradizionale. Era illusorio, oltre che
antistorico, aspettarsi dallo sviluppo del capitalismo in Russia la
nascita di una classe borghese, espressione di una capacità
imprenditoriale privata, che percorresse le tappe storiche delle borghesie
ottocentesche (dal padrone delle ferriere al capitalismo di stato passando
dall´economia liberista al monopolio, dal monopolio privato al
capitalismo monopolistico di stato, ecc.), per due essenziali motivi:
Se la Russia di Stalin, sulla base delle strutture portanti della NEP [31]
voleva dare il "la" al processo di industrializzazione e
colmare, anche se parzialmente, il divario tecnico e produttivo che la
separavano dai capitalismi più avanzati, non poteva sperare nelle capacità
imprenditoriali di una micro-borghesia, peraltro già esautorata dalla
"socializzazione", ma affidarsi all´intervento dello stato nei
rapporti di produzione, di uno stato che assumesse in prima persona quel
ruolo economico e politico che il mondo capitalistico esterno imponeva, e
che nessuna borghesia, tanto meno quella russa, sarebbe stata in grado di
realizzare.
Per fare ciò occorreva uno stato forte, centralizzato, monolitico nella
struttura ideologica, capace di pianificare e di far rispettare i tempi di
pianificazione; uno stato, insomma, che rispondesse alle necessità
strutturali della concentrazione economica con una centralizzazione
politico-burocratica. Il fallimento della rivoluzione d´ottobre fornì
alla controrivoluzione staliniana tutto questo.
In pratica, con la chiusura, nella seconda metà degli anni venti, di una
fase rivoluzionaria apertasi con l´ottobre bolscevico, in Russia si
manifestarono, sia in senso economico che politico-amministrativo, le
condizioni per lo sviluppo del capitalismo di stato.
L´errore di Vercesi fu quello di prescindere completamente da questa
analisi, di cercare, secondo i vecchi modelli capitalistici, la
tradizionale classe borghese e, non trovandola, di attribuire al
capitalismo internazionale il compito di amministrare il plus-valore
estorto alla forza lavoro del proletariato russo. Una corretta analisi del
rapporto deterministico tra la linea di tendenza dell´apparato produttivo
capitalistico, nella sua fase più avanzata, e il nascente sviluppo del
capitalismo russo, ovvero l´inserimento di una "nuova" economia
nel tessuto sfibrato del "vecchio" imperialismo, avrebbe dovuto
concludere con la constatazione di come la prima fosse condizionata dal
secondo, sino al punto di anticiparne alcuni aspetti fondamentali, e non,
come fece Vercesi, di comprimerla entro vecchi schemi di sviluppo tipici
di un capitalismo progressivo. Nella fase di decadenza dei rapporti di
produzione capitalistici, espressa dal dominio incontrastato del capitale
finanziario, dal monopolio, dalla esasperata concentrazione dei mezzi di
produzione, dal sempre più massiccio intervento dello stato nei rapporti
economici come fattore dilazionante dell´esplodere delle contraddizioni
economiche, creare le condizioni di una autonoma sopravvivenza economica,
il più possibile competitiva, di una struttura imperialistica già data,
significa assumerne le forme e i contenuti, anticipare i passi di questa
tendenza, non tornare su di essi. Se la linea di tendenza del capitalismo
degli anni trenta-quaranta si esprimeva già in termini di capitalismo di
stato, come pretendere di trovare una borghesia in grado di assolvere a
questi compiti con un comportamento economico e politico superato dalle
stesse leggi del capitalismo? Sarebbe come pretendere che un
neo-imprenditore capitalista avesse la presunzione di inserirsi
competitivamente nell´arengo del mercato senza adeguarsi alle leggi del
monopolio. Dire che il capitalismo è pervenuto alla fase del monopolio
maturo, significa affermare che i rapporti capitalistici sono rapporti
monopolistici e sono proprio questi ultimi a scandire il ritmo del
processo di accumulazione del capitale globale. II problema non era quindi
quello di ricomporre i tasselli di un vecchio mosaico ma di aggiungerne di
nuovi.
Ma se l´errore di Vercesi sulla Russia non ebbe, al momento,
ripercussioni rilevanti, ben più grave fu quello sulla guerra. Come
abbiamo già avuto modo di documentare nella prima parte di questo lavoro,
[32] sino al 1935 Vercesi, in sintonia con le posizioni internazionaliste,
vedeva nella guerra il mezzo attraverso il quale il capitalismo
internazionale tende a risolvere le contraddizioni del proprio sistema
produttivo sul piano della violenza. Parlare di guerra significa riandare
[ritornare] alla sua matrice economica, vuol dire legare l´effetto
devastante alla sua causa prima. Il marxismo ha sufficientemente mostrato
come le guerre non cadano a casaccio nella storia del capitalismo ma che
si collocano necessariamente al termine dei grandi cicli di accumulazione,
quando al capitale, o ad una parte rilevante di esso viene meno "l´ossigeno"
del profitto. L´impossibilità o soltanto la difficoltà da parte dei
settori trainanti dell´economia capitalistica di ottenere profitti
remunerativi, in rapporto alla quantità di capitale impiegato nella
produzione, esasperano la concorrenza tra capitale e capitale, tra
monopolio e monopolio, tra i vari schieramenti dell´imperialismo per la
conquista di nuovi mercati dove reperire materie prime, mano d´opera a
minor prezzo e, soprattutto, dove collocare capitale finanziario.
Accumulazione, crisi economiche, guerre commerciali, aumento degli
armamenti e conflitti logistici sono il presupposto della guerra aperta
senza tante aggettivazioni di comodo. Da sempre, ma in modo particolare
nella fase di decadenza dei rapporti di produzione capitalistici, la
guerra è l´unico mezzo attraverso il quale l´imperialismo può
scaricare il peso delle proprie contraddizioni economiche attraverso una
lotta "fratricida" per la conquista di spazi economici
"vitali", che gli consentano, con la relativa distruzione dei
mezzi di produzione, le condizioni di un nuovo ciclo di accumulazione.
Accumulazione-crisi-guerra-accumulazione sono le leggi immanenti alla fase
monopolistica del capitalismo, in una espressione ancora più sintetica:
distruggere per ricostruire.
E´ evidente che, a questo stadio dello sviluppo contraddittorio del
divenire capitalistico, due sono le direttrici fondamentali entro le quali
si muovono le preoccupazioni della borghesia:
Operare tempestivamente sul piano dell´armamento e della militarizzazione
(ricerca tecnologica, addestramento qualificato, finanziamento statale per
le industrie che già operano nel settore, trasformazione di parte della
produzione civile in produzione bellica, ecc.).
Prevenire una possibile ripresa della lotta di classe perché alla crisi
del capitale si possa rispondere con una soluzione borghese: la guerra.
Negli anni che seguirono (`36 - `39) Vercesi andò maturando una nuova
analisi sulla guerra che ne stravolse le finalità:
La concezione corrente nel movimento socialista a proposito delle basi
antagonistiche della società capitalistica, partendo sempre dalla
considerazione di una duplice contraddizione iniziale, giungeva alla
conclusione della nascita di due corsi contrastanti: quello che doveva
opporre agli Stati che si disputano il dominio dei mercati e delle
colonie, e l´altro che vede l´opposizione delle classi, e nell´ordine,
tra borghesia e proletariato... La situazione attuale ci obbliga a
riconsiderare gli avvenimenti passati per renderci conto della legge
essenziale che è all´interno del regime capitalistico e per capire che,
anche i fatti che avevano assunto la forma esclusiva di contrasti
inter-imperialistici, in definitiva non erano che una manifestazione della
lotta tra le classi, che esprimevano un momento dello scontro che
capitalismo e proletariato si fanno sul problema centrale del mantenimento
o della distruzione delle basi della società attuale. [33]
Saremmo così in presenza di un "fenomeno", la guerra, non più
legata alle leggi della determinazione economica, bensì come evento
sovrastrutturale, staccato da quelle, come un atto di cosciente volontà
da parte della borghesia nella sua perenne lotta contro il proletariato.
Secondo questa tesi, le condizioni economiche in passato avrebbero
determinato la necessità delle guerre, pur permanendo come fatto
obiettivo, non sarebbero più operanti, in quanto:
... l´obiettivo circostanziale del capitalismo non consiste più nella
conquista dei mercati e nella distruzione violenta dei prodotti e dei
proletari, per sbarazzare l´economia dà un eccesso che fuoriesce dai
quadri del regime. Nelle situazioni attuali, il livello delle forze
produttive rende inoperante la distruzione di una data massa di produzione
e di forze umane di lavoro; benché il problema si riproponga nuovamente
in tutta la sua ampiezza, come lo provano le crisi sopravvenute nel
dopoguerra, dopo le distruzioni cicloniche del periodo 1914-18. Lo scopo
delle guerre è un altro; avendo queste perso ogni possibilità di
concludersi con un adattamento della struttura dell´economia borghese in
rapporto allo sviluppo tecnico, non hanno altro significato che quello di
deviare l´attacco rivoluzionario del proletariato. [34]
La tesi è palesemente errata. Se il capitalismo fosse in grado di
sopportare, pur senza risolverle, le sue più acute contraddizioni
economiche non esisterebbero nemmeno le condizioni per un ripresa della
lotta di classe, e quindi, la necessità da parte della borghesia di
arrivare, nel suo scontro con il proletariato, alle estreme conseguenze.
Paradossalmente Vercesi nel configurare un nuovo "perché" della
guerra, sulla base di una errata analisi economica, arriva a determinare
la sua inutilità.
Ma indipendentemente da ciò, indipendentemente cioè dalla necessità di
rifiutare l´erroneità teorica di questa tesi, esiste, come prova
contraria, l´esperienza della seconda guerra mondiale. Né Hitler come
Stalin, né il governo francese come quello inglese sono scesi sul
sentiero di guerra con lo scopo di rintuzzare gli assalti delle rispettive
classi operaie, né di prevenirne l´urto. Al contrario, se facessimo
anche solo un fugace parallelo con la fase storica che ha condotto allo
scoppio della prima guerra mondiale, dovremmo constatare la quasi assoluta
mancanza di fermenti insurrezionali da parte del proletariato europeo. Se
si esclude la guerra civile spagnola che andrebbe valutata da un ben altro
angolo visuale, non fu certamente il proletariato tedesco, con la sua
lotta, a costringere la Germania nazista ad invadere la Polonia, né l´alto
livello della lotta di classe in Russia obbligò Stalin ad invadere con la
forza la Finlandia e ad annettere, complice l´imperialismo
internazionale, Lettonia, Estonia e Lituania. Lo stesso discorso e, a
maggior ragione, lo si deve fare per i restanti paesi che furono coinvolti
nel conflitto e, non da ultimi, Giappone e Stati Uniti. La classe operaia
europea si scosse soltanto nel cuore della guerra. In Francia, Italia e
Germania si manifestarono i primi segni di "ripresa" solo nella
primavera-estate del 43 con una serie di scioperi contro i salari di fame,
contro il contenimento del costo della forza lavoro e la guerra.
Se fosse valida la teoria vercesiana della guerra come mezzo per
"deviare l´attacco rivoluzionario del proletariato", dovremmo
trarre, come unico insegnamento del secondo conflitto mondiale, che l´imperialismo
internazionale abbia confuso i tempi o che, nella foga di anticipare l´avversario
di classe, si sia fatto prendere la mano. In realtà nessuna delle due
ipotesi è verosimile. La seconda, come la prima guerra mondiale, fu l´espressione
non tanto del livello raggiunto dalla lotta di classe, quanto della
impossibilità dell´apparato produttivo capitalistico mondiale,
indipendentemente dai gradi di sviluppo al suo interno, di dare altro
sfogo al persistere della crisi economica, apertasi in America nel `29 e
mai superata definitivamente.
Guerra e rivoluzione sono sì il portato della lotta di classe, ma mentre
la seconda può nascere come risposta alla prima, questa non può mai
essere una conseguenza della seconda, perché se la borghesia fosse
costretta ad un confronto diretto con il proletariato non avrebbe né il
tempo né i mezzi per operare su di un secondo fronte. Rimarrebbe la
seconda delle ipotesi, quella preventiva, ma anche in questo caso (ammessa
per ipotesi di discorso la sua possibilità), la borghesia in esame
sarebbe costretta negli schemi del primo esempio, a fronteggiare cioè l´avversario
di classe sul terreno dello scontro civile, rinunciando così a quella che
avrebbe dovuto essere, secondo Vercesi, la sua arma segreta. Due cicli di
accumulazione e due guerre mondiali hanno dimostrato che l´alternativa
guerra o rivoluzione come risposta borghese o proletaria alla crisi del
sistema produttivo capitalistico non risiede nella formulazione astratta
di "ipotesi di lavoro", ma nel concreto operare delle due classi
antagoniste sull´ancora più concreto evolversi delle condizioni
obiettive.
Seguendo la tesi di Vercesi, o meglio la sua metodologia di analisi, sia
per quanto riguarda il problema frazione-partito che per la questione
crisi-guerra o rivoluzione si perviene sempre ad una conclusione
contraddittoria.
Si partiva dalla enunciazione teorica della indispensabilità del partito
per poi dimostrarne l´accessorietà; si attendeva la guerra come momento
culminante delle contraddizioni economiche in cui inserire l´alternativa
rivoluzionaria, per poi trasformarla "nella forma estrema della lotta
del capitalismo contro la classe operaia". [35]
In questa impostazione metodologica sta la premessa "teorica"
all´ulteriore passo falso che Vercesi compì sul finire della guerra. Tra
la fine del `44 e il `45, Vercesi con un gruppo ristretto di
"collaboratori" aderì al Comitato di Coalizione Antifascista di
Bruxelles. [36] In questo periodo si sommarono all´opportunismo personale
una serie di funambolismi teorici aberranti che comportarono la sua
espulsione dalla Frazione nel gennaio del `45. [37]
Opportunismo personale e funambolismo teorico, se furono alla base del
"terzo periodo" di Vercesi, trovarono negli errori precedenti la
base teorica su cui esprimersi. Così la guerra, da momento più propizio
per inserire l´assalto rivoluzionario e la trasformazione della frazione
in partito, si trasformò in momento di massima espansione del capitalismo
(produzione bellica), in rafforzamento dei governi borghesi e nella
conseguente "scomparsa del proletariato come classe": per cui,
nelle fasi belliche, il sillogismo vercesiano concludeva che la scomparsa
del proletariato comportava l´annientamento della lotta di classe e la
non necessità del partito. [38]
L´impossibilità della trasformazione della guerra imperialista in guerra
civile fu il presupposto del "rien à faire" per i
rivoluzionari, per i quali tutto era rimandato al dopo guerra, ribaltando
di 180 gradi l´impostazione del `33:
... domani non si tratterà più semplicemente d´eludere o di schivare il
problema, di rinviarlo a quando la guerra sarà finita. Nel momento in cui
questa sarà effettivamente terminata si tratterà di passare all´azione;
in quel momento il capitalismo che ci ha procurato la guerra lascerà il
posto al proletariato che regalerà all´umanità il socialismo e la pace.
[39]
Nel ribadire il concetto nell´ottobre del `45 Vercesi si chiariva in
questi termini:
Durante la guerra io dicevo a tutti quelli che potevo toccare, ai
militanti, agli operai: non fate niente! Si sono fatti degli scioperi. Se
io avessi potuto impedire questi scioperi, io li avrei impediti. Mi hanno
inviato delle lettere con una specie di gangsterismo politico per
invitarmi a passare all´azione, ma io posi questo problema: è vero che
durante la guerra il proletariato è nell´impossibilità assoluta di
manifestarsi? Nessuno mi ha potuto rispondere. [40]
La risposta la ebbe dalla stessa Frazione:
L´indegna posizione politica di Vercesi è stata dichiarata come
revisionista, nel momento della conferenza della nostra frazione nel
maggio del 44 e consegnata nei documenti sotto il titolo
"dichiarazione politica". La forza rivoluzionaria del
proletariato non risiede in una unità formale, ma nell´unità attorno ad
un programma rivoluzionario del suo Partito contro la guerra imperialista,
contro il capitalismo in tutte le sue forme, fascista, democratica o
sovietica, per la trasformazione della guerra imperialista in guerra
civile per la presa rivoluzionaria del potere proletario. [41]
Ancor prima aveva risposto Lenin nel marzo del `17 a proposito di guerre e
di rivoluzione:
Come è stato possibile questo "miracolo": che in solo otto
giorni, termine indicato da Miliukov nel suo presuntuoso telegramma a
tutti i rappresentanti della Russia all´estero, sia crollata una
monarchia che si era mantenuta per dei secoli e che, malgrado tutto, aveva
resistito per tre anni dal 1905 al 1907, alle formidabili battaglie di
classe del popolo intero? Nella natura e nella storia non avvengono
miracoli, ma ogni svolta repentina della storia, compresa ogni
rivoluzione, offre un contenuto così ricco, presenta combinazioni così
inattese e originali delle forme di lotta, che molte cose devono sembrare
miracoli ad uno spirito di filisteo. Perché la monarchia zarista
crollasse in pochi giorni è stato necessario il concorso di una serie di
condizioni d´importanza storica mondiale... Questa rivoluzione di otto
giorni è stata "recitata" se è lecita la metafora,
precisamente dopo una decina di prove generali; gli attori si conoscevano,
conoscevano la loro parte, il loro posto, il loro palcoscenico in lungo e
in largo a fondo e conoscevano, fino in ogni sfumatura di una qualche
importanza, le tendenze politiche ed i mezzi d´azione. Ma se dopo 12 anni
dalla prima, grande rivoluzione del 1905, condannata come una grande
ribellione dei singoli GUTSKOV e Miliukov e dai loro accoliti, ha condotto
alla "brillante" e "gloriosa" rivoluzione del `17
(rivoluzione di febbraio N.d.R.) che i Gutsckov e i Miliukov proclamano
gloriosa poiché essa (per il momento) ha dato loro il potere, a ciò è
stato necessario un grande, un forte, un onnipotente "regista"
il quale da una parte fosse in condizione di accelerare enormemente il
corso della storia universale e dall´altra parte generare delle crisi
mondiali, economiche, politiche, nazionali ed internazionali di
incomparabile intensità... Questo "regista" onnipotente, questo
acceleratore vigoroso è stato la guerra imperialista mondiale. La guerra
imperialista, doveva, per necessità obiettiva, accelerare
straordinariamente ed inasprire incomparabilmente la lotta di classe del
proletariato contro la borghesia; doveva trasformarsi in guerra civile tra
le classi nemiche. [42]
Fabio Damen 1979-12-01
Note:
[1] Tra le decine di migliaia di vittime dello stalinismo in questo
periodo vale la pena citare alcuni elementi della vecchia guardia che
pagarono con la vita il tentativo di opporsi alle direttive di Stalin e
dei suoi manutengoli. A parte Bucharin, Kamenev e Zinoviev nel 37
trovarono la morte davanti al plotone di esecuzione della NKVD, vecchi
militanti del 17 come Nazaretian, Bauman, Kosior, Kujbysev, Rikov e
Ordzonikidze.
[2] Questi accordi prevedevano inoltre la regolamentazione delle
rispettive esigenze imperialistiche nel Nord Africa, per cui l´Italia
riconosceva di fatto l´ingerenza francese in Tunisia, i nuovi confini in
Libia, mentre la Francia lasciava mano libera a Mussolini in Etiopia.
[3] Passo tratto dall´opera di Roy A. Medvedev "Lo stalinimo".
[4] Il servizio segreto americano in Germania era riuscito ad avere
informazioni precise sulla data e sulle principali modalità dell´attacco
tedesco, in codice "Operazione Barbarossa". Fu personalmente
Roosevelt a passare tali informazioni all´ambasciatore sovietico
Konstantin Umanskij.
[5] Nel 1939 i servizi segreti dello Stato erano suddivisi in due sezioni.
La NKVD, riservata agli affari interni (polizia politica) e la NKGB per la
sicurezza dello Stato (controspionaggio). Fu proprio la NKGB che il 6
giugno 1941 informò Stalin che quattro milioni di soldati tedeschi erano
stati trasferiti ai confini della Russia.
[6] Nei mesi che precedettero l´attacco tedesco, le forze del
controspionaggio vennero in possesso di un rapporto del Feldmaresciallo
Walter Brauchitsch in cui si leggevano i dettagli del piano di invasione
della Russia. Dal Giappone Richard Sorge fu in grado di far pervenire a
Stalin la data dell´attacco e l´organico impiegato. Pare perfino che l´ambasciatore
tedesco a Mosca, avversario politico di Hitler, Shulemburg, in una cena di
lavoro, alla quale parteciparono tra gli altri, l´ambasciatore sovietico
in Germania Decanozov e l´interprete ufficiale di Stalin Pavlov, volle
informare Stalin dell´imminente attacco.
[7] Nello "Stato Operaio" N. 8 dell´agosto del 36, esce un
articolo "Manifesto del PCI agli italiani" per "Per la
salvezza dell´Italia, riconciliazione del popolo italiano!", in cui
si invitano le forze sane del fascismo ad una sorta di fronte comune per
la salvezza dell´Italia.
[8] Con il trattato Stalin-Ribbentrop dell´agosto 1939, in Francia il
Governo Deladier mise fuori legge il PCF e tutti i rifugiati politici
comunisti (fra í quali Togliatti) che sostenevano la politica di
aggressione della Germania nei confronti della Francia. Fu in quei
frangenti che il centro clandestino del PCI si trasferì da Parigi a
Ginevra e infine in America sotto la direzione di G. Berti.
[9] Nei mesi di maggio e giugno del 1935 G. Berti scrisse una serie di tre
articoli sui numeri 8-9, 10 e 11 dello "Stato Operaio" contro il
bordighismo.
[10] Da "Lutte ouvriere" N. 37.
[11] Ibidem.
[12] Nel 1927, in occasione delle stragi di Kanton e di Shangai, favorite
dalla politica compromissoria e capitolatrice di Stalin e Bucharin che
consegnarono il proletariato cinese disorganizzato e disarmato alla
reazione borghese di Chang Kai-Shek, Trotzky si oppose duramente
confutando la tesi secondo la quale, nella Cina della seconda metà degli
anni 20, non ci fosse lo spazio per una soluzione di classe e che, quindi,
bisognava operare per una prospettiva progressista, appoggiando le
"forze sane" della borghesia indigena, precludendo così ogni
possibilità autonoma del proletariato cinese. Negli anni precedenti
Trotzky si oppose non solo alla falsa tesi della possibilità della
creazione del socialismo in un solo paese, ma anche alla concezione,
palesemente controrivoluzionaria, che il proletariato internazionale fosse
subordinato, da un punto di vista tattico-strategico, agli interessi dello
Stato russo.
[13] La Frazione italiana ebbe il merito di aver seguito passo passo il
processo di degenerazione della III Internazionale, dei partiti centristi
e di aver denunciato per tempo la strada imboccata dalla opposizione
trotschista. Al riguardo vedere, tra gli altri, l´articolo di V. Vedaro
(Gatto Mammone) "Un grande rinnegato dalla coda di pavone: Leone
Trotski" apparso in Bilan N. 46 del gennaio del 1938.
[14] Per una migliore comprensione del problema frazione-partito vedere l´articolo
"Frazione-partito nell´esperienza della sinistra italiana"
apparso in Prometeo N. 2 del marzo `79.
[15] Da Bilan N. 1 novembre 33. In questo articolo "Verso l´internazionale
due e tre quarti" la Frazione elabora una serie di possibilità per
condurre, in prospettiva alla vittoria il proletariato internazionale. Tra
le altre quella di recuperare i partiti centristi. Dopo il `35, questa
possibilità verrà scartata definitivamente, per cui si pose il problema
della trasformazione della fi azione in partito.
[16] Bilan N. 29 manzo aprile 1936, dall´articolo "La corsa verso la
guerra".
[17] Dal rapporto sulla situazione internazionale, presentato da Vercesi
al Congresso della frazione italiana della sinistra comunista
internazionale appai so in Bilan N. 41 del maggio-giugno 1937.
[18] Vedere Prometeo N. 2 marzo `79.
[19] Dal resoconto del Congresso della Frazione. Bilan N. 23 1935.
[20] La Frazione belga nasce ufficialmente il 21 febbraio del `37 con una
scissione della Lega dei Comunisti Internazionalisti del Belgio
(organizzazione trotzkista) sulla base dell´opposizione al
partecipazionismo alla guerra civile spagnola. In pratica, come si legge
in Octobre N. 1 del febbraio del `38, dalla Lega uscì quasi completamente
il gruppo di Bruxelles meno tre elementi (tra i quali Hennaut). La nascita
della Frazione belga fu il coronamento del lungo lavoro politico della
F.I. contro il trotzkismo. Un anno più tardi (febbraio del `38) le due
Frazioni presero l´iniziativa di costituire un Bureau dell´internazionalismo
proletario, del disfattismo rivoluzionario e per la creazione della
internazionale delle Frazioni, primo passo verso la vera internazionale di
domani.
[21] Dalla risoluzione sulla costituzione del B.I. apparso in Octobre N. 1
febbraio 1938.
[22] Ibidem.
[23] Al riguardo vedere di Marx l´Ideologia tedesca nella parte che
riguarda il problema della coscienza ed il rapporto partito-classe.
[24] Vedere in Bilan il richiamo di Vercesi alla lettera di Marx del 1860
e allo scioglimento della I Internazionale.
[25] Dalla risoluzione sulla costituzione del B.I.
[26] Con l´inizio delle ostilità la Frazione cessò ogni azione politica
ed editoriale. Non pubblicò più Octobre, organo mensile del B.I. Stessa
sorte toccò a Prometeo, giornale mensile in lingua italiana che si
pubblicava in Belgio e al Seme, bollettino di discussione in lingua
italiana.
[27] La stessa partecipazione di Vercesi al Comitato di Coalizione
Antifascista di Bruxelles non era conosciuta dai compagni
"francesi".
[28] Ripreso dal "Rapporto sulla situazione internazionale". Già
citato.
[29] Ibidem.
[30] Lo stesso errore fu commesso da Bordiga con 15 anni di ritardo. Nella
polemica con O. Damen sul problema della Russia Bordiga, non accettando la
definizione di capitalismo di stato, si sforzò di definire l´economia
russa in base all´esistenza della classe borghese tradizionalmente
intesa. Fu così che Bordiga nel 1946 credette di vedere nel capitalismo
internazionale la "classe" sfruttatrice del proletariato russo.
Nel `52, abbandonata questa tesi insostenibile, passò ad un altra, per
molti versi ancora più assurda, secondo la quale la struttura
capitalistica della Russia è provata non dall´esistenza di una classe
"statisticamente definibile" ma dalla "materiale forma di
produzione capitalistica" (dal dialogato con Stalin). In altre parole
la Russia era capitalista perché era capitalista. Solo dopo il 1960
Bordiga pensa di aver individuato nella burocrazia di stato e nella
piccola borghesia, la classe sfruttatrice, ed accetta la definizione di
capitalismo di stato.
[31] Si vuole qui brevemente ricordare che Lenin, nel dare il via alla
nuova politica economica (NEP), intesa come necessità vitale, mise in
guardia il partito dai pericoli insiti nella riapertura dei meccanismi
economici mercantili e che, comunque, questa misura economica eccezionale
era adottata temporaneamente in attesa di eventi rivoluzionari nell´Europa
occidentale che permettessero all´economia sovietica di riprendere il
cammino interrotto verso una soluzione socialista, altrimenti impossibile.
[32] Prometeo N. 2 1979.
[33] Dal rapporto sulla situazione internazionale. Già citato.
[34] Ibidem.
[35] Ibidem.
[36] Il Comitato di Coalizione Antifascista di Bruxelles era un organismo
sorto dall´iniziativa delle forze politiche "democratiche", in
modo particolare dal PSI. per assicurarsi una base di consenso politico
tra gli emigrati politici.
[37] Con una circolare del 21/1/45 il CE della Frazione italiana espelle
Vercesi dall´organizzazione con voto unanime.
[38] Vercesi approdò ad altre posizioni controrivoluzionarie sul problema
dello stato di transizione e sul ruolo della violenza di classe. Questi
due "atteggiamenti" politici si possono già trovare in Octobre
N. 2 e 5.
[39] Tratto da un articolo di Vercesi apparso su "L´Italia di
domani" N. 10 del 10 marzo 1945. L´Italia di domani era l´organo
politico, in lingua italiana del Comitato di Coalizione Antifascista di
Bruxelles.
[40] Dall´esposizione di Vercesi alla riunione del 6 ottobre 1945.
[41] Dalla circolare del 20/1/1945. Già citata.
[42] "Lettere da lontano" pubblicate sulla Pravda nel marzo del
1917.
BATTAGLIA COMUNISTA
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