PIETRO ALO' |
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Testimonianze: Pietro Alò, un bel compagno e amico da Liberazione 15 giugno 2005 Pietro Alò, un bel compagno e amico Il ricordo di una persona aperta, mai invidiosa. L'attività politica era per lui la ricerca delle vie per "liberare" il lavoro. La scommessa sulla Sinistra europea di Franco Russo Momento tristissimo: dopo Sandro, è morto Pietro Alò nel pieno dell'attività politica e intellettuale. Ho ricostruito con lui, una sera dell'ottobre o novembre 1999 al Rialto occupato di Roma, che c'eravamo incontrati negli anni Settanta, quando lui faceva parte, dopo il '68, del Circolo Lenin in Puglie - la sua amatissima terra d'origine - per tentare di mettere su un "gruppo nazionale". Poi, dopo più di vent'anni, ci siamo ritrovati in un centro sociale - con Guglielmi, Bronzini, Latella, Vecchi e tanti giovani del "Rialtoccupato" - a organizzare la "Camera del lavoro e del nonlavoro", uno dei primi esperimenti di organizzazione del precariato, base anche di un nuovo giuslavorismo. Da allora abbiamo fatto attività politica insieme. Siamo stati a Genova, con Falqui, alla manifestazione contro l'assassinio di Carlo Giuliani; siamo stati insieme nei Social forum romano e nazionale, dove continuamente cercava di animare gruppi sulle tematiche del precariato. Era stato senatore di Rifondazione comunista, poi si era allontanato dal partito, ma senza acrimonia e settarismo, tanto che in questi anni si era di nuovo riavvicinato, convinto dalla linea di Bertinotti della sinistra alternativa, e soprattutto dalla prospettiva di Sinistra europea. E con questa aveva, sollecitato da Ferrero, messo su il "Centro giuridico del lavoro", che in pochi mesi ha preso a funzionare tanto da organizzare lo scorso 20 maggio, per i 35 anni dello Statuto dei lavoratori, un riuscitissimo convegno di studio e confronto con la partecipazione di giuslavoristi e dirigenti politici, impegnati a ridefinire i diritti del lavoro sulla base di una nuova concettualizzazione della nozione di "dipendenza". Pietro stava dando un contributo a superare la vecchia nozione di "dipendenza" basata sulla "eterodirezione" per trovarne una capace di unificare le molteplici figure in cui è frastagliato il mondo del lavoro e del nonlavoro. Nella battaglia per l'estensione dell'articolo 18 dello Statuto era stato in prima fila, e nonostante l'esito negativo continuò, attraverso l'inchiesta alla "Panzieri" sulla composizione del voto, a tessere i legami con quanti erano stati attivi nella campagna referendaria: credeva che gli undici milioni di voti favorevoli fossero un fertile terreno per la costruzione della sinistra alternativa. L'attività, culturale e politica, contro la legge 30, quella che ancora una volta riduce la persona a merce e vanifica il diritto del lavoro conquistato in decenni di lotte operaie, lo ha visto protagonista. Così come era consapevole della dimensione europea della battaglia per conquistare un nuovo Statuto capace di garantire la "dignità" e libertà del moderno proletariato. Pietro era un dirigente politico vero: non parlava di politica, faceva politica. Studiava - si era anche laureato in sociologia negli ultimi anni, e gli avevo regalato per l'occasione la Folla solitaria di Riesman -, si documentava, scriveva articoli ma anche volantini e manchette, e andava davanti ai luoghi di lavoro a distribuire "materiale", organizzava incontri e riunioni. Sviluppava capacità organizzative straordinarie, consapevole che "fare politica" significava mettere insieme persone in strutture e organismi di discussione e mobilitazione, significava mettere in relazioni persone e costruire azioni di lotta guidati da un progetto. Quando si è concordato, come Forum sociale europeo, di provare a organizzare un'Assemblea di cittadini/e europei/e a Roma il prossimo novembre, la prima cosa è stata di assicurami la sua collaborazione, che generosamente aveva dato nel maggio 2004, quando con Andreina Albano e Alessandra Mecozzi organizzammo a Roma il primo seminario internazionale del Social Forum sulla Costituzione europea. Pietro era una persona aperta, mai rancoroso o invidioso, perché l'attività politica era per lui ricerca delle vie per "liberare" il lavoro, e questo lo spingeva ad agire senza cercare riconoscimenti o "posti al sole". Davvero vale per lui l'antico detto popolare, così intriso di tristezza e nostalgia, che "se vanno i migliori". Abbiamo perso un bel compagno, io anche un amico. UN RICORDO DALLA REDAZIONE DELL'ARCHIVIO STORICO BENEDETTO PETRONE: Alò e il 68/69 a Brindisi
------------------------------------------------------------------------ IL SALUTO DI VINCENZO MILIUCCI CONFEDERAZIONE COBAS
In memoria
di Pietro Alò
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